A partire dall’elezione di Papa Giovanni Paolo I, passando
per Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco I ed oggi Leone XIV, ciò che mi
ha sempre colpito è che ad ogni elezione opinionisti, commentatori, ecc. hanno interpretato
le prime dichiarazioni del neo eletto pontefice alla ricerca di risposte a domande personali. Solo in seconda battuta si sono
soffermati sull’aspetto teologico politico ed anche in merito a questo tema l’approccio
mi è sempre sembrato molto legato ai desiderata di chi commentava piuttosto che
ad una analisi svestita dei panni mondani
nel senso di parte. Capisco che spogliarsi della mondanità è una cosa molto difficile da farsi, per cui non escludo
che io stesso sono alla ricerca di risposte a domande personali che attengono
il senso dell’esistenza, lo stare al mondo, l’escatologia della Storia. In
attesa di leggere le prime encicliche ci sono un paio di dichiarazioni che
lasciano intendere su come, il nuovo Papa, vorrà condurre la Chiesa. Prima di riportare
le dichiarazioni alle quali intendo fare riferimento mi preme sottolineare che il
Papa ha la doppia veste di monarca assoluto di uno Stato eletto da un numero
ristretto di membri, a loro volta cooptati dai Papi precedenti, e di capo di una
religione che annovera 1,406 milioni di fedeli, dato in crescita rispetto al
2022. Doppia veste da non sottovalutare.
Leone XIV ha 69 anni per cui è il
Papa che guiderà la Chiesa almeno fino alla metà del secolo in corso, anni che
vedranno il mondo cambiare radicalmente. Ai cambiamenti contribuirà con il suo
Magistero il nuovo pontefice. Partendo da questo dato un agostiniano che
diventa Papa scegliendo un nome antico come appunto quello di Leone non può che
richiamare alla mente il contesto storico e politico nel quale matura la
teologia di Agostino di Ippona, il Padre della Chiesa per eccellenza. Per
inciso Agostino di Ippona era di etnia Berbera, quindi un nord africano. Fatte
queste premesse la prima dichiarazione che mi ha colpito di Papa Leone XIV è
relativa a quando appena eletto, rivolgendosi in inglese ai cardinali, ha
dichiarato << Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli , questo
tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto ne sia fedele amministratore a
favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; cosi che essa sia sempre più
città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della
storia, faro che illumina le notti del mondo.(..). >> . L’ altra dichiarazione
che mi ha colpito ha riguardato la scelta del nome. Il nuovo Pontefice ha detto
che la scelta del nome è un omaggio a Papa Leone XIII e alla sua Enciclica
Rerum Novarum. Enciclica che ha aperto la Chiesa alle questioni sociali legate
alla Rivoluzione Industriale. Le due coordinate che possono, quindi, indicare
una possibile teologia politica di Leone XIV sono quindi l’agostinismo e il lavoro.
Entrambi i temi sono antichi e toccano le origini stesse della Chiesa. Parlando
di S. Agostino la prima cosa che viene in mente è la relazione tra Civitas Dei
e Civitas Mundi. Il dualismo tra le due
città non bisogna intenderlo come conflitto politico ed ideologico tra la
dimensione religiosa e quella terrena rappresentata in primo luogo dal livello
politico. Il pensiero di S.Agostino è cosa nota che è stato utilizzato in età
medievale per affermare il potere papale su quello imperiale. Il primo atto in
tal senso porta alla mente l’incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale
dell’800 da parte di Papa Leone II, Papa Leone X commissionerà a Raffaello
l’affresco che rappresenta l’incoronazione di Carlo Magno ad Imperatore dei
Romani; voleva essere il suggello del presunto primato della Civitas
Dei sulla Civitas mundi. A partire da quel momento tutti gli Imperatori fino a
Carlo V, nel 1530 in questo caso ad opera di Clemente VII non a Roma ma a Bologna, sono
stati incoronati dal papa di turno. Il
conflitto tra Civitas Dei e Civitas Mundi è stato superata spostandolo nella
coscienza di ciascun cristiano il quale pur avendo l’obbligo di obbedienza
verso le leggi di uno Stato se queste violano palesemente i valori Cristiani
può liberamente ( il libero arbitrio) decidere di disobbedire seguendo
l’imperativo della propria coscienza di cristiano. Di martiri cristiani che
hanno seguito la loro coscienza pur dichiarandosi fedeli allo Stato dei quali
si è sudditi è ricca la storia. Un episodio tra i tanti che merita di essere
menzionato è quello di Franz Jägerstätter,
contadino austriaco obiettore di coscienza condannato a morte per essersi
rifiutato di arruolarsi nell’esercito nazista, beatificato da papa Benedetto
XVI. L’appello alla coscienza del Cristiano lo evinco dalla prima omelia di
Leone XIV quando dice <<oggi non sono pochi i contesti in cui
la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco
intelligenti; contesti in cui a essa si preferiscono altre sicurezza, come la
tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere (…) Non mancano poi
contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una
specie di leader carismatico o di superuomo, (…) e ciò non solo tra i non
credenti, ma anche tra molti battezzati, a questo livello, in un ateismo di
fatto>>. Richiamo quello appena citato che crea conflitti di coscienza in
una società fortemente secolarizzata ed egemonizzata dalla logica del mercato
che rende l’Uomo, a partire dal proprio corpo, semplice valore di scambio.
Sempre restando in tema di conflitto di coscienza per comprendere quanto sia
profondo e coerente con il pensiero di Agostino di Ippona è sufficiente dare
una scorsa, anche rapida, a “Le Confessioni”. Papa Francesco I nella “Omelia
per la solennità di S.Agostino” tenuta il 28 agosto 2013 nella chiesa di
Sant’Agostino a Roma esordisce citando il seguente passo tratto a da Le
confessioni I,1,1 “ Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finchè non
riposa in te”. In questo passo dice il
Teologo Bergoglio << c’è la sintesi di tutta la sua vita. “ Inquietudine”
, questa parola mi colpisce e mi fa riflettere. Vorrei partire da una domanda:
quali inquietudini ci invita a suscitare e a mantenere vive nella nostra vita
questo grande uomo e santo? Ne propongo tre: l’inquietudine della ricerca
spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine
dell’amore.>> Inquietudine che è da intendersi come conflitto interiore,
come tensione tra le cose del Mondo e l’aspirazione alla Città di Dio. Dicevo,
quindi, il conflitto non è più per l’egemonia tra Papato e Impero, il conflitto
si sposta nella coscienza di ciascuno di noi: da una parte l’aspirazione alla
Civitas Dei, dall’altra l’immanenza. Aspirare alla Civitas Dei diventa l’
invito a seguire i valori Cristiani tra i quali, in primo luogo, vi è quello
della Pace o meglio quello dell’Amore anche per il nemico restando in linea con
il pensiero di Agostino di Ippona. Nell’Amore come valore assoluto il senso
dell’appello per una “pace disarmata e disarmante” ma anche definitiva legata
alle questioni “mondane”. Dell’attualità dell’agostinismo vi è traccia nei diversi scritti di teologia e
filosofia di Woytila, Ratzinger, Bergoglio. Papa Giovanni Paolo II a proposito
del XVI centenario della conversione di S. Agostino, nella Lettera Apostolica
del 28 agosto 1986 e nel discorso tenuto il 17 settembre a Roma ai partecipanti
al congresso su Sant’Agostino invita i presenti a studiare il pensiero del
Vescovo di Ippona (questo per citare un documento che merita da solo una
riflessione approfondita comprandolo magari con l’ “ Omelia” di Francesco I
citata in precedenza). A partire quindi
da Giovanni Paolo II è possibile intravedere una prima coordinata della Teologia
politica di Leone XIV e cioè l’agostinismo come contrapposizione al manicheismo
che caratterizza la contemporaneità. Solo per inciso l’attualità del pensiero
di S.Agostino non ha impegnato solo i pontefici appena citati, c’è tutto un
filone di studi che hanno visto impegnati filosofi del calibro di Etienne
Gilson, di Sergio Cotta – mi onoro di averlo avuto come professore di Filosofia
del diritto – Reinhold Niebuhr, di recente le riflessioni del filosofo Massimo
Borghesi dalle quali ho attinto a piene mani per queste mie riflessioni.
Se la prima coordinata è
l’agostinismo per provare a definire la possibile Teologia politica del nuovo
pontefice, altra coordinata è il tema del lavoro che per il cristiano è uno
strumento di fede per cui il semplice richiamo all’Enciclica di Leone XII, se
non ben inquadrata, per come è stata presentata dai media, appare riduttiva e incapace di cogliere il
valore che il lavoro ha rivestito nella teologia e nella filosofia pratica
cristiana come lascia intendere lo stesso Pontefice in merito alla scelta del
nome. Il tema del lavoro è noto che è una
delle questioni più dibattute sin dalle origini del Cristianesimo come si
evince dalla lettere ai Tessalonicesi di San Paolo di Tarso per proseguire con
la regola voluta da San Bendetto da Norcia dell’ora
et labora. L’Umanità cacciata dal Paradiso terrestre deve
ricavare il necessario per sopravvivere dal lavoro che è sofferenza, travaglio,
termine quest’ultimo che si trova in diverse lingue sia per indicare il lavoro
che il partorire. Come scrive Antonio Maria Baggio[1] <<
La lingua ebraica non ha un termine tecnico per designare il lavoro,
corrispondente all’idea moderna che ne abbiamo noi; usa dei vocaboli che
indicano la fatica, lo sforzo che sovente non sono premiati dal risultato.
Nell’Antico Testamento s’incontra spesso l’esempio dell’uomo che coltiva la
terra senza riuscire a raccogliere, oppure del servo che lavora per un altro e
non può quindi avere per sé i frutti. La figura del servo, anzi, diviene
immagine della stessa condizione umana, in quanto affaticata in un lavoro che
non è certo di essere ricompensato. Il disegno originale di Dio però non è
smarrito, rimane fondamentale il giudizio positivo sull’esistenza umana e sul
lavoro. In ebraico, ad esempio, il termine avoda
designa sia il lavoro che il culto e conferisce al lavoro un particolare senso
sacrale: di attività che «tende a liberare l’uomo dalla pesantezza della
natura». Il termine “lavoro”, insomma, dopo il peccato originale, indica il
duplice carattere dell’attività umana: positivo, se l’uomo lavora per l’unità
del creato, valorizzando se stesso nell’ordine stabilito da Dio; negativo, se
lavora per affermare se stesso contro gli altri. Questo duplice volto del
lavoro diventerà, nel corso della storia, uno dei criteri fondamentali per la valutazione di un sistema economico,
trovando piena espressione nell’enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II
quando scrive : «Il lavoro umano è una chiave, e probabilmente, la chiave
essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente
dal punto di vista del bene dell’uomo. È una fondamentale dimensione dell’umano
esistere, con la quale la vita dell’uomo è costruita ogni giorno, dalla quale
essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è anche contenuta la
costante misura dell’umana fatica, della sofferenza e anche del danno e
dell’ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale>>. Con il
Cristianesimo la filosofia che sottende il lavoro muta radicalmente. Nelle
civiltà antiche il lavoro era compito assegnato agli schiavi mentre alle classi
sociali dominanti spettavano le attività legate al comando. Ancora in età
medievale il lavoro, nonostante l’influenza crescente del Cristianesimo e della
Patristica, [2]soprattutto
quello della terra, era appannaggio degli ultimi nella gerarchia sociale: i
servi della gleba, i contadini. Con la nascita dei comuni e quindi con la
borghesia fatta di artigiani e mercanti la società tende ad essere più
articolata e il lavoro non è solo più quello dei campi. Con la modernità nasce
e si afferma una nuova filosofia del lavoro. Dicevo, sin dalle origini il
Cristianesimo ha valorizzato il lavoro attribuendogli appunto la funzione di
ricostruire il rapporto con Dio. <<
Per Paolo il lavoro è un modo di farsi povero, per poter essere di
Cristo; non si può annunciare la croce adottando uno stile di vita prestigioso
o comunque superiore a quello di chi deve lavorare per vivere. È per questo che
Paolo lavora, pur avendo diritto a farsi mantenere dalle comunità che fonda o
visita; vuole anche evitare di essere scambiato con filosofi o retori, numerosi
nelle città greche, che si facevano pagare le lezioni. Il lavoro serve anche ad
ordinare la comunità, eliminando per esempio il parassitismo di coloro i quali,
ritenendo vicina la fine del mondo, pensano non valga la pena di lavorare; a
questo proposito è nota l’espressione paolina: <<Vi ordiniamo , o
fratelli , in nome del Signor Nostro Gesù Cristo, di evitare ogni fratello che
vive oziosamente e non secondo l’insegnamento che avete ricevuto da noi. Voi
sapete bene che è necessario che ci imitiate: noi non ci sottraiamo al lavoro
presso di voi, né mangiammo gratuitamente il pane di nessuno. Notte e giorno,
con fatica e con pena, lavorammo per non essere a carico di alcuno di voi. Ciò
non perché non ne avessimo diritto, ma per offrirvi in noi stessi un esempio da
imitare. Perciò quando eravamo tra di voi vi davamo questo precetto: se
qualcuno non vuole lavorare, non mangi neppure. Ci è riferito infatti che alcuni
tra voi vivono nell’ozio, senza far nulla e sempre affaccendati. A questi tali noi
ordiniamo e li scongiuriamo nel Signore Gesù Cristo a guadagnarsi il pane che
mangiamo lavorando serenamente>> [3], rivolta
ai Tessalonicesi. Il contesto storico
nel quale operava S.Agostino si caratterizzava per il confronto sul lavoro e
sul suo significato valoriale. Vi era all’epoca una corrente di pensiero
teologico e filosofico che sosteneva che i religiosi dovessero essere esentati
dai lavori manuali, più in generale dal lavoro. L’occasione per affrontare il
tema è offerta a S. Agostino da una discussione apertasi sul tema a Cartagine[4] in un
convento agostiniano. Le argomentazioni a favore della esenzione dal lavoro da
parte dei religiosi traevano spunto da un passo del Vangelo di S. Matteo, su
invito del vescovo di Cartagine, Aurelio, interviene sul tema prendendo le
mosse proprio dalla lettera di S.Paolo ai Tessalonicesi citata in precedenza.
S. Agostino chiarisce il passo del Vangelo nel quale il Signore ha detto :
guardate gli uccelli dell’aria che non seminano e non mietono ma non raccolgono
neppure nei granai e non cuociono né preparano il cibo che mangiano. Dovete
fare altrettanto voi, evidenziando un
aspetto che riferito alla contemporaneità in chi è Cristiano e non solo
dovrebbe creare qualche problema di coscienza. La risposta di S.Agostino è
molto semplice: la predicazione del
Vangelo non deve servire per arricchirsi perché va esso va predicato solo per
amore e il lavoro non deve essere
strumento per alimentare l’avidità e il conflitto tra gli uomini. [5] La
filosofia che ispira il lavoro quindi con il Cristianesimo muta radicalmente.
Ulteriore passaggio nella valorizzazione del lavoro si ha con le trasformazioni
della struttura sociale ed economica che vedrà la nascita del bourgeois [6] a partire dal Basso Medio Evo con l’ascesa
della civiltà comunale, la nascita delle Repubbliche Marinare in Italia, della
Lega Anseatica nel Mare del Nord, in generale con l’affermarsi del mondo
mercantile. In questo arco di tempo a partire dalla Prima Scolastica [7] attività
lavorative un tempo ritenute non compatibili con il messaggio Cristiano
finiranno con l’essere legittimate sul piano morale e teologico. Scriveva S.
Tommaso d’Aquino << il commercio non implica nella sua natura nulla di
peccaminoso e di immorale. Perciò niente impedisce di ordinare il guadagno per
un fine necessario o moralmente utile (…) Come quando uno ordina il modesto
guadagno cercato nel commercio al sostegno della propria famiglia, o a soccorrere
i bisognosi>>[8].
Come scrive Giorgio Faro [9]<< L’etica aristotelica e cristiana mai potranno
essere etiche del risultato esteriore: non interessa in primis il che
dell’obiettivo, ma il come si cerca di ottenerlo. Tale atteggiamento ci renderà
poi anche capaci di conseguire obiettivi esterni. Vero fine dell’etica è la
vita buona del soggetto agente: non ciò che ha, ma ciò che è. Anche se è
necessario avere qualcosa: almeno un po’ di beni esterni e un po’ di educazione
etica. (…) Ora, il lavorare non ha solo un risultato immediato, ma il fine
ultimo del lavoro, analogamente all’etica ( diventare buoni), è il servizio
volontario alla persona: la propria e l’altrui. Lo riconosce Tommaso (…). Il
lavorare, rendendosi utili a sé e ad altri, è un bene relazionale della
persona>>. A partire dall’ascesa
della società mercantile legata all’affermazione dei comuni la stessa filosofia
del lavoro si posiziona diversamente se alcuni spunti li troviamo già con S.
Tommaso a proposito di “giusto guadagno”, è soprattutto con la Seconda
Scolastica che la filosofia del lavoro cambia l’approccio. Le istituzioni che
con l’ascesa delle società comunali portano alla nascita delle Corporazioni di
Mercanti e Artigiani comportano una diversa gerarchia sociale rendendo la
Società più complessa. Sia chiaro non perché prima non vi fossero artigiani e
mercanti, è il sistema sociale ed economico che muta. Per il Cristianesimo la
differenza sociale impone un ripensamento o meglio una interpretazione della
realtà coerente con i dettami della fede. Il lavoro, come abbiamo visto, è il
Cristianesimo a liberarlo dall’essere riservato solo agli schiavi, dei servi e
più in generale delle classi subordinate per diventare elemento capace di
ricongiungere l’uomo a Dio. Nel passaggio dalla società feudale a quella
mercantile rappresentata dai Comuni il lavoro da essere centrale perché in
grado di riconciliare l’uomo con Dio acquista una caratteristica che è tutta
interna all’essenza stessa del lavoro.
La svolta verrà data in modo profondo dalla Riforma Protestante con
Calvino[10] e
Lutero. Il trionfo del sistema Capitalista e l’ascesa della borghesia farà si
che il lavoro diventi la caratteristica fondamentale dell’uomo borghese. La
trasformazione sociale ed economica dovuta alla Rivoluzione Industriale
iniziata alla metà del XVIII secolo in Inghilterra, da li interesserà prima l’Europa
continentale, poi gli Stati Uniti e in estremo Oriente il Giappone porterà
conflitti sociali tra borghesia capitalista e classi sociali subalterne, in
particolare la nascente classe operaia legata all’attività produttiva delle
nascenti industrie. Le innovazioni tecnologiche che caratterizzano la
Rivoluzione industriale non riducono il lavoro, creano altro lavoro anche in
presenza di una riduzione del lavoro. A
partire dalla fine del XIX secolo, in vari Paesi industrializzati verranno
emanate leggi che fisseranno un orario di lavoro inferiore a quello delle prime
fasi dell’industrializzazione, limiti verranno posti al lavoro minorile e a
quello delle donne, aumenterà la produttività e con essi i salari. Il passaggio
dalla società agricola a quella industriale farà aumentare le ore di lavoro. Se
nelle società prevalentemente agricole i tempi del lavoro erano scanditi dalle
stagioni e quelle giornaliere dai rintocchi della campana della chiesa, con la
società industriale i tempi dell’esistenza mutano, sono il fischio del treno e
della fabbrica che scandiranno i tempi
del lavoro e dell’esistenza. Il lavoro
nell’accezione liberale è lo strumento attraverso il quale si acquisisce la
proprietà privata. Scriveva J. Locke [11]
<<Sia che si ascolti la legge naturale, la quale ci dice che gli uomini,
una volta nati, hanno diritto alla sopravvivenza, e dunque a cibo, bevanda e a
tutto ciò che natura offre per la loro sussistenza; sia che si ascolti la
rivelazione, la quale ci descrive la donazione che del mondo Dio fece ad Adamo,
a Noè e ai suoi figli, è comunque evidente che Dio, come dice re Davide (
Salmi, CXIII, 16), “ ha dato la terra ai figli degli uomini”, l’ha data in
comune a tutta l’umanità. Ciò posto, ad alcuni sembra difficilissimo spiegare
come si sia venuti ad avere singolarmente proprietà di qualcosa. (…). Dio, che
ha dato la terra in comune agli uomini, ha dato loro anche la ragione, onde se
ne servissero nel modo più vantaggioso per la vita e il benessere loro. (…).
Benchè la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini,
ciascuno ha tuttavia la proprietà della sua persona: su questa nessuno ha
diritto alcuno all’infuori di lui. Il lavoro del suo corpo e l’opera delle sue
mani, possiamo dire, sono propriamente suoi. Qualunque cosa dunque egli tolga
dallo stato in cui natura l’ha creata e lasciata, a essa incorpora il suo
lavoro e vi intesse qualcosa che gli appartiene, e con ciò se l’appropria.
Togliendo quell’oggetto dalla condizione comune in cui la natura lo ha posto,
vi ha aggiunto col suo lavoro qualcosa che esclude il comune diritto degli
altri uomini. Tale lavoro essendo infatti indiscutibile proprietà del
lavoratore, nessun altro che lui può aver diritto a ciò cui esso è stato incorporato,
almeno là dove avanzano, per la comune proprietà degli altri, ben sufficienti
altrettanto buoni.>> Nel contesto rappresentato dalla Rivoluzione
industriale si inserisce L’Enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII che
comporta anche un diverso impegno da parte dei cattolici rispetto alle
questioni sociali e alla partecipazione alla vita politica. Rispetto ai
mutamenti che interessano il mondo occidentale a cavallo tra 800 e 900 la
fenomenologia di Husserl ha la sua importanza nella ridefinizione della
filosofia del lavoro rispetto al pensiero cristiano nello specifico ad opera di
Max Scheler [12].
L’impostazione di Scheler si pone oltre l’Aquinate. Mentre per S. Tommaso il lavoro è l’attività che caratterizza
l’uomo per Scheler[13] è solo
una delle attività che caratterizza l’uomo. Con Scheler cambia la visione del
lavoro. Non a caso chi apprezzerà
Scheler sarà Marcuse. Karol Woytila riprenderà Scheler [14] sostenendo
che << in quanto immagine di Dio è persona, ossia soggetto capace di
decidere autonomamente, che tende all’auto – realizzazione >> ( …)
tramite il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura, adattandola alle sue
necessità, ma si perfeziona anche come essere umano e, in certo senso, diviene
un essere più umano >>. D. Verducci[15] scrive
in merito a Scheler << La questione sociale, innescata nel mondo
contemporaneo dal diffondersi della preminenza del lavoro su ogni altro essere
attivo, è dunque portatrice di una domanda di filosofia pratica : come si può
ripristinare su scala sociale la dinamica lavorativa corretta, rilevata nel
caso più elementare del lavoro, in cui all’interno del singolo artigiano che
lavora a un solo oggetto, ha luogo quello sdoppiamento tra soggetto morale e
soggetto lavorativo, dal quale il lavoro trae la sua validità antropologica? In
altri termini: in che modo si può ricostruire la dimensione etica, depositaria
di finalità oggettive in soggetti che, interpretando la propria vita come
lavoro e trascorrendo la parte preponderante della vita a lavorare, sembrano
diventati incapaci di staccarsi dal rassicurante meccanismo del mero eseguire e
trasformare, sul quale anzi sempre più ogni altro essere attivo? >>
Questo in Marx è il tema dell’alienazione che trova due interpretazione nel
Marx giovane e Marx maturo. << Scheler propone di ovviare con
l’istruzione e la formazione un nuovo sviluppo della coscienza etica nei
soggetti lavoratori, così che essi possano dar vita, politicamente, a una
costituzione statale per la quale “ i fini riconosciuti da tutti i cittadini
come obiettivamente validi per tutti ritornano su tutti i cittadini nella forma
di una totalità sistematica >>. I passi riportati molto sinteticamente
riportano i termini delle riflessioni, almeno alcune, sul senso del lavoro. Passando direttamente da Woytila a Papa Leone
XIV il tema del lavoro ritorna ad essere centrale in un contesto nel quale è stato
svalutato, ridotto a semplice merce, messo in discussione da innovazioni
tecnologiche, come l’Intelligenza artificiale, precarizzato, svilito nella sua
funzione sociale di autonomia, di partecipazione politica e di realizzazione
personale. Sul tema non può passare inosservato Avvenire del 13 maggio u.s.. La
rubrica Agorà riporta l’intervista ad Axel Honneth uno dei maggiori pensatori
tedeschi contemporanei chiaramente schierato su posizioni di sinistra.
L’intervista riguarda la pubblicazione del suo ultimo lavoro dal titolo “ Il
lavoratore sovrano. Lavoro e cittadinanza democratica”. Il titolo
dell’intervista è già di per se significativo
<< Il lavoro produce la libertà>>. In un passo
dell’intervista alla domanda del perché il lavoro non è più al centro del
dibattito filosofico – politico e se questo dipendesse dall’ascesa del
neoliberalismo, la risposta di Honneth è << No, non credo. Questo
disinteresse è iniziato già prima, già negli anni Sessanta, quando la filosofia
e la teoria sociale hanno contribuito a diffondere l’idea che il lavoro avesse
perso rilevanza etica e funzionale di orientamento nella vita di ognuno
(…)>> Oggi, con la crescente precarizzazione e frammentazione del lavoro,
dobbiamo cambiare rapidamente modo di vedere e renderci conto che è ancora il
posto del lavoro a determinare le possibilità di vita, il benessere e la salute
mentale delle persone. Ecco perché penso che il lavoro debba tornare al centro
dei dibattiti filosofico – politici>>. In altri passi dell’intervista
Honneth richiama implicitamente gli artt. 3 e 4 della nostra Costituzione. Ad
Honneth sembra rispondere il cardinale Zuppi quando intervenendo, a Bologna, ad
una mostra storica sul lavoro “richiama l’ urgenza di restituire dignità alla
condizione lavorativa come fondamento della vita sociale per cui serve un
impegno educativo e culturale. Se questo è il contesto mi sembrano chiare che
le due categorie utili per comprendere quella che potrebbe essere la Teologia
politica di Leone XIV sono il richiamo all’agostinismo con tutte le
implicazioni che attengono l’essere Cristiani e il Lavoro da rivalutare sul
piano etico, religioso, politico ed economico.
[1] A.M-
Baggio Lavoro e dottrina sociale della Chiesa. Dalle origini al 900. Città
Nuova Editrice
[2] Agostino
Di Ippona Vita, Pensiero, Opere Scelte da Armando Massareti Edizione Speciale
per il Sole 24 Ore 2006
[3] San
Paolo – Le lettere – Ed . Einaudi
[4] Povertà
e lavoro nell’ideale agostiniano di P. Agostino Trapè
[5] Per approfondire il pensiero di Agostino di
Ippona https://www.augustinus,it
[6] Storia
Economica Cambridge Vol. 1 L’agricoltura e la società rurale nel Medio Evo ed
Einaudi 1976,
Vol. 2
Commercio e industria nel Medio Evo ed Einaudi 1976,
Vol. 3 Le
Città e la politica economica nel Medio Evo ed. Einaudi 1976;
A cura di
Franco Franceschi Storia del lavoro in Italia. Medioevo. Dalla dipendenza del
Lavoro al lavoro contrattato . ed. Castelvecchi 2017
[7]Tommaso
D’Aquino Vita, Pensiero, Opere Scelte da Armando Massarenti Edizione speciale
per Il Sole 24 Ore 2006
[8] Tommaso
d’Aquino – Summa Theologica
[9] G. Faro
– La filosofia del lavoro e i suoi sentieri – Pontificia Università della Santa
Croce . Facoltà di Filosofia 2014
[10] Max
Weber – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo – ed Sansoni
[11] J.
Locke Trattato sul Governo Editori riuniti anno 1974
[12]
Verducci D. Il segmento mancante. Percorsi di filosofia del lavoro. Ed Carocci
2003
[13]Scheler
M. Lavoro ed etica Ed. Città Nuova 1998
Scheler M.
Lavoro e Weltanschauug in : Lo spirito del capitalismo. Guida Editori 1988.
[14] Wojtila
K. Persona e atto, a cura di G. Reale e
T. Styczen Ed. Rusconi 1999
Giovanni
Paolo II Laborem excercens ………
[15] Ibidem nota 12
Fonte foto: da Google