L’antisemitismo indotto che fa il gioco di Israele


Cresce l’allarme sui media mainstream per la presunta impetuosa crescita dell’antisemitismo nei Paesi occidentali.

Precisiamo – ove mai ce ne fosse bisogno, e non ce n’è – che per “antisemitismo” politici e giornalisti intendono non una generica avversione nei confronti delle popolazioni semitiche, arabi in primis (in tal caso si parla genericamente di islamofobia, anche se non tutti gli arabi sono musulmani e non tutti i musulmani sono arabi…), bensì l’odio contro gli ebrei. Si badi che l’ostilità verso un gruppo etnico in quanto tale è considerata razzismo, un fenomeno che, secondo la morale corrente, è qualcosa di peggio e più riprovevole rispetto al timore (=fobia) suscitato da chi professa un’altra religione, magari bollata come oscurantista e intollerante. In pratica: l’islamofobia è socialmente (quasi) accettabile, l’antisemitismo un peccato mortale.

Ma se davvero il contagio va diffondendosi, quali sono le cause, le possibili spiegazioni della recrudescenza di un male che, dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, pareva finalmente debellato?

Le risposte le abbiamo sotto gli occhi: il quotidiano sterminio “in diretta” di innocenti del quale le autorità israeliane spudoratamente si vantano, la tracotanza di comunità ebraiche all’estero che reagiscono con violenza (morale, ma pure fisica) alla minima critica, l’atteggiamento ruffiano e di complicità con i massacratori esibito dai principali governi “democratici” dell’Occidente. Il c.d. antisemitismo odierno è di tipo non ideologico, ma reattivo, indirizzandosi contro un esercito di assassini e una popolazione che, a larga maggioranza, appoggia uno dei governi più sanguinari della Storia. In poche parole è istintiva ripugnanza verso chi si sta coprendo di indicibili, ingiustificati misfatti.

Dirò di più: non è neppure antisemitismo, anche se la confusione terminologica ingenerata dai media lo fa passare per tale persino agli occhi di chi esprime rabbia e indignazione. Accuseremmo forse di razzismo coloro i quali, ottant’anni fa, provavano odio e rancore per i tedeschi reputandoli tutti nazisti? Si trattava di una generalizzazione che, all’interno una di situazione limite, appariva scusabile, anche se ingiusta – e attenzione: pericolosa – verso quei cittadini del Reich che erano mondi da colpe e si erano magari opposti al regime hitleriano.

Al pari di altri consimili nazionalismi europei il sionismo, ideologia ufficiale dello Stato d’Israele e dei suoi sostenitori sparsi per il mondo, è una dottrina laica e fortemente sciovinista elaborata nella seconda metà del XIX secolo da intellettuali del Vecchio Continente – essenzialmente tedeschi di ascendenza ebraica – che trovano in alcuni passi della Bibbia convenientemente interpretati alla lettera la giustificazione delle loro pretese su un’ipotetica “patria perduta” quasi due millenni prima. Sionista non è sinonimo di israeliano e tantomeno di ebreo (altrimenti varrebbero le equazioni italiano uguale fascista, russo uguale bolscevico ecc.), visto anzitutto che tantissimi ebrei si sentono assai più legati a una tradizione culturale o alla religione dei padri che a un territorio loro estraneo in cui non sono nati né cresciuti e – va aggiunto – spesso contestano con grande veemenza le politiche brigantesche di Israele e la sua presunzione di avere l’esclusiva della rappresentanza di un popolo sparpagliato in centinaia di contrade. È in nome di principi etici e del rispetto per se stessi e per la propria storia – non certo per snobismo anticonformista – che molti di loro, credenti o meno che siano, assumono un tono critico con riferimento all’operato di Israele in questi ottant’anni e difendono i diritti calpestati degli autoctoni palestinesi.

Perché allora si seguita a fare confusione tra concetti niente affatto equivalenti, rischiando addirittura di evocare sinistri fantasmi? Non per ignoranza o per errore. Quando un Presidente della Repubblica Italiana, all’epoca in carica, affermava che “dietro l’antisionismo si nasconde l’antisemitismo” possiamo essere certi che la mistificazione fosse intenzionale e finalizzata ad obiettivi precisi: colpevolizzare i contestatori e screditarne gli argomenti dinanzi all’opinione pubblica in primo luogo, ma anche – e la mossa è cinicamente subdola – garantire a una specifica entità statuale un’immunità perenne e incondizionata derivante da una tragica serie di eventi che l’hanno riguardata solo indirettamente. L’attuale governo israeliano e i suoi propagandisti/tifosi sono andati anche oltre: essi hanno interesse a che lo sdegno ovunque comprensibilmente manifestatosi si diriga contro il mondo ebraico nel suo complesso per coinvolgerlo moralmente obtorto collo, farsene scudo e potersi presentare, grazie magari a qualche episodio d’intolleranza “opportunamente” verificatosi fuori dai confini, nella comoda veste della vittima.

Questa chiamata in correità proveniente da Tel Aviv e dai suoi megafoni mercenari radicalizza le posizioni favorevoli oppure contrarie dei destinatari designati: non v’è dubbio che parecchi cittadini di origine ebraica, sentendosi minacciati dalla marea montante di insofferenza e sospetto, finiranno per prendere le parti della potenza che promette di tutelarli ovunque essi siano. È evidente che di questo spurio “antisemitismo” indotto è proprio Israele il maggiore sponsor nonché il principale beneficiario: la gestione del dramma degli ostaggi e il ricorso (probabilmente anche in questa crisi e sin dai suoi inizi) alla famigerata Direttiva Annibale sono emblematici, poiché testimoniano una propensione radicatasi nei decenni a perseguire gli scopi prefissati a qualsiasi costo. Persino occasionali pogrom potrebbero essere accolti favorevolmente: alla luce di accadimenti tutt’altro che remoti non ritengo questa un’esagerazione.

Tocca a coloro che si rendono conto di ciò che sta avvenendo distinguere – e aiutare gli altri a distinguere – tra le responsabilità di un regime, accoliti compresi (parlo di Stati, ma anche di individui), e quelle di una “razza”, onde evitare che la situazione si faccia incandescente offrendo il destro a governanti proni e in malafede di introdurre misure coercitive e liberticide. La condanna dei crimini di Israele e di chi li supporta e li esalta dev’essere ferma e senza sconti e tradursi in un’azione lato sensu politica mirante a sottrarre la cura della res publica a un pugno di lerci guerrafondai teleguidati da un’élite economico-finanziaria apolide che ha nella canagliesca superpotenza statunitense il suo braccio armato e sopraffattore.

Essere antisemiti è inaccettabile (così come proclamarsi russofobi), essere antisionisti sacrosanto e doveroso, visto che il carnefice che si spaccia per vittima è doppiamente colpevole.

Fonte foto: Libreria Palazzo Roberti (da Google)

1 commento per “L’antisemitismo indotto che fa il gioco di Israele

  1. Vannini Andrea
    18 Ottobre 2025 at 17:13

    Gli ebrei non sono di per sé né un popolo, né una etnia, né una “razza”. Se lo sono stati, é stato prima della diaspora, quando ancora era possibile ipotizzare una coincidenza fra una religione e una etnia fedele a quella specifica credenza. Ciò non é più sostenibile oggi dopo secoli, millenni dalla fuga dalla Palestina. L’ ideologia razziale e razzista dei fascisti di ieri e di quelli di oggi (cioè dei fascisti-sionisti in primis) sosteneva e sostiene delle categorie prive di ogni fondamento scientifico quali: semitismo-antisemitismo (o ariano, o caucasico, ecc.). Ciò che é da combattere e battere é il fascismo, nella sua versione sionista (non meno di quella ucraina). Ciò che é da cancellare dalla faccia della terra é Israele, il mostro colonialista, figlio bastardo dell’imperialismo, e il padre suo.

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