Mi fa ovviamente molto piacere
che tanta gente abbia partecipato alla manifestazione di ieri a Roma per chiedere
la fine del genocidio in corso a Gaza. Mi fa piacere solo e soltanto per i palestinesi
che hanno bisogno di qualsiasi iniziativa che sostenga la loro causa. Del
resto, ubi maior, minor cessat. La questione palestinese è ben più importante
di qualsiasi altra bega politica o “politicista”. E tante persone hanno scelto
di partecipare ieri in solidarietà con il popolo di Gaza, anche se critiche o
distanti, in molti casi, nei confronti delle forze politiche che hanno promosso
l’evento.
Chiarito questo, è bene però
ribadire alcune questioni fondamentali. Del resto, il nostro giornale, L’Interferenza,
è nato per cercare di fare analisi politica lucida e razionale, non certo per portare
acqua al mulino di nessuno. La porteremo solo se e quando si creeranno le
condizioni necessarie e sufficienti per farlo, cioè se e quando nascerà una
nuova forza autenticamente Socialista, popolare e di classe, in grado di costituire una reale alternativa
politica ai due poli e all’ordine sociale esistente.
Quella di ieri è stata una manifestazione
preelettorale, diciamo una sorta di “prova tecnica di trasmissione” del
cosiddetto “campo largo” (in questo paese siamo specialisti nelle formulette…),
cioè delle forze politiche che l’hanno promossa (PD e AVS con la successiva e
quasi contestuale adesione del M5S) che si apprestano a competere con la
coalizione di centrodestra per il governo del paese.
La leadership del centrodestra o
del destra-centro o destra-destra (ciascuno scelga la formuletta che preferisce
tanto non è che cambi di molto, perché sempre di coalizioni neoliberiste, filo
atlantiste, filo israeliane, filo europeiste e antipopolari si tratta) è
saldamente nelle mani di Giorgia Meloni. Quella invece del centrosinistra o “campo
largo” o sinistra-centro (non dimentichiamoci che alla fin fine ci sarà il
problema di coinvolgere anche i due ex amici, poi litiganti, ora di nuovo “amici”,
così pare, Renzi e Calenda) è ancora da decidere anche se in pole position
sembra esserci, ovviamente, la leader pidina Elly Schlein. Naturalmente ciò che
ho detto per il centrodestra vale anche
per il centrosinistra; due facce della stessa medaglia, cioè dello
stesso “sistema” che si declina ora a destra e ora a “sinistra” in base alle
circostanze contingenti.
Ora, se vogliamo trovare una
differenza fra i due schieramenti potremmo dire che il governo Meloni era sdraiato nei confronti
degli USA quando alla Casa Bianca c’era Biden e lo è ora che c’è Trump mentre
il centrosinistra era sdraiato a pelle di leopardo con il primo mentre ora si
scaglia contro il secondo. Perché? Perché
fa parte di quella che ho definito “internazionale neoliberale”, cioè della
fazione politica che fa riferimento al mondo “dem” che lavora per far fuori
Trump e riconquistare il potere o parte del potere perduto (l’ala liberal
controlla gran parte dei vari “deep state” e ha il sostegno di una gran parte
del grande capitale, soprattutto finanziario, mondiale e della gran parte degli
apparati mediatici).
Ci si potrebbe chiedere per quale
ragione lo stesso ragionamento non vale per la Meloni. Per la semplice ragione
che Giorgia Meloni è una ex-neo-post fascista e quindi deve pagare dazio,
diciamo così. O meglio, per via della sua storia politica deve dimostrare di
essere più realista del re. Quando è stata eletta, a comandare a Washington c’erano
i dem ed era anche scoppiata la guerra in Ucraina fra la NATO e la Russia e
Meloni (che fino a qualche tempo primo tesseva le lodi di Putin e criticava
aspramente l’UE) ha dovuto necessariamente “riallinearsi” sia agli USA che alla
NATO e all’UE (il più scaltro e mellifluo fra i più “gattopardiani” e trasformisti
è un dilettante al suo confronto..).
I “pidini”, a differenza sua, non
hanno questo problema. Allineati e coperti alla fazione liberal di cui sono parte
organica, sono chiamati a svolgere il loro compito, ora che alla Casa Bianca
siede Trump. E il loro compito è naturalmente quello di sconfiggere il governo
Meloni e tornare al governo in modo da accerchiare Trump partendo (anche) dalla
(semi) periferia dell’impero. Altro non c’è. Finchè al governo negli Stati
Uniti c’era la coppia (che coppia!!) Biden-Harris il PD era vergognosamente silente
sul genocidio in corso a Gaza, tutt’al più alcuni suoi esponenti erano
impegnati in dibattiti in cui si discuteva se è più opportuno parlare di “risposta
sproporzionata” da parte di Israele, oppure di “eccesso dell’uso della forza” o,
audite audite, di “crimini di guerra” (pulizia etnica o genocidio tuttora non
vengono ancora presi in considerazione). Ora che c’è Trump e che la carneficina
a Gaza ha assunto (in realtà fin da subito) proporzioni apocalittiche e
ineludibili il PD comincia a farsi sentire chiedendo la testa di Netanyahu e
portando in piazza il suo popolo. Naturalmente occultando e facendo finta di
non sapere che quanto sta accadendo in Palestina non è certo responsabilità del
solo Netanyahu e del suo governo, ma della gran parte della società israeliana
e di tutto l’Occidente (cioè di tutti i governi e di tutte le classi dirigenti
di tutti i paesi occidentali e in parte anche delle società civili occidentali)
e dei suoi alleati che hanno sempre coperto e sostenuto le politiche criminali
di Israele in Palestina e in tutto il Vicino Oriente.
Tornando alle questioncelle di
casa nostra, queste sono in estrema sintesi le ragioni che hanno portato il PD
a indire la manifestazione di ieri a Roma alla quale il M5S ha scelto di
aderire. Perché? Perché il relativamente nuovo M5S di Conte ha scelto di
collocarsi nell’area “progressista” nella speranza di poter diventare egemone e
quindi di assumerne la guida, naturalmente con l’obiettivo di andare al governo.
Non credo che ci riuscirà (dovrebbe quasi doppiare i suoi attuali consensi) e
quindi sarà destinato a fare da stampella al PD, qualora il “campo largo”
riuscisse a scalzare Meloni da Palazzo Chigi. Il fatto è che anche il M5S è prigioniero
della logica “governista”, da “politica minima”, e non riesce ad andare oltre,
ad affrancarsene. Questo è un grave errore di natura strutturale.
Ormai molti decenni fa la
Sinistra, senza virgolette e con la S ancora maiuscola, era in grado di
condizionare le politiche dei vari governi a guida democristiana, pur stando
all’opposizione. Questo, appunto, perché era una grande forza politica con
solide radici e culturali ed aveva alle spalle un movimento organizzato dei
lavoratori e una grande massa di popolo. E’ questo tessuto che va ricostruito.
E’ un’impresa titanica che fa tremare le gambe, me ne rendo ben conto, ma non c’è
alternativa, strategicamente parlando. Il primissimo M5S di Grillo e Casaleggio
aveva avuto la brillante intuizione di rompere con i due poli e infatti era
riuscito ad arrivare ad una massa critica del 33% che equivale più o meno alla
forza elettorale di quello che era il vecchio PCI, pur non avendo alle spalle
quella forza e quella storia. Il problema è che quel M5S era, appunto, un
partito privo di solide radici, sostanzialmente organico al sistema anche se millantava
il contrario, che fondava la sua ragion d’essere su temi fondamentalmente qualunquistici
e innocui per il “sistema” stesso che lo hanno portato a sbandare da una parte
all’altra, finendo addirittura per sostenere il governo Draghi, cioè il governo
del capitale e della finanza per eccellenza, un governo di sistema che più di sistema non si potrebbe. Da lì la sua crisi
e la nuova gestione da parte di Conte, il quale però ha dei limiti strutturali.
Non è un Socialista, non ha radici antiche, come si suol dire, né tanto meno un
orizzonte politico sul lungo periodo, naviga a vista, sostiene sia pure
tiepidamente alcune battaglie sociali e, pur fra molte ambiguità e
contraddizioni, ha avuto maggior coraggio su alcune questioni di politica internazionale.
Ma non è sufficiente. Per costruire quella grande forza politica e sociale di
cui c’è urgente necessità dovrebbe andare fino in fondo, avere il coraggio di rompere
con il PD e di svelare la sua vera natura di “partito neoliberale di sistema”,
denunciare la falsa dialettica che oppone fintamente i due schieramenti di
destra e di “sinistra” e proporsi come forza alternativa, senza preoccuparsi dell’immediato,
senza essere prigioniero delle logiche “governiste” e “minimaliste” che
impongono di lavorare nel contingente con l’obiettivo di andare al governo a
tutti i costi. Credo proprio che Conte e il gruppo dirigente del M5S, assai
debole sotto ogni punto di vista a dire il vero, non siano in grado di fare ciò,
ammesso e non concesso che ne abbiano l’intenzione.
Resta naturalmente sul piatto la questione che ho, sia pur sommariamente, posto. Non possono esserci e non ci sono scorciatoie, corsie preferenziali, salti carpiati, giochi di prestigio. Solo un durissimo, lungo e immane lavoro.
Fonte foto: Corriere della Sera (da Google)