Era circa il 2001 o 2002, lavoravo per il settimanale Avvenimenti
e mi trovavo in Palestina, a Gerusalemme. Non ricordo bene in quale circostanza
conobbi un giovane israeliano sui trent’anni, simpatizzante del Meretz, una
formazione di sinistra radicale moderata con una base elettorale modesta.
Proprio il giorno prima, nella Striscia di Gaza, non ricordo
esattamente dove, un cacciabombardiere israeliano aveva sganciato una bomba da
una tonnellata su una casa uccidendo un dirigente di Hamas e insieme a lui nove
bambini e altri civili. Allora faceva ancora relativamente scalpore un fatto
del genere, al punto che quel giovane mi disse:“Me ne voglio andare da qui perché
questo paese ormai è fottuto (nel senso di finito, morto, “fucked”, disse testualmente),
penso di emigrare in Europa”. Gli chiesi il perché e lui mi rispose: ”Quando in
un paese e in una società civile diventa normale uccidere nove bambini per
ammazzare un terrorista o comunque un nemico, vuol dire che quel paese e quella
società sono fottuti, sono finiti, che non c’è futuro”.
E invece Israele ha continuato ad esistere. Da un anno e
mezzo i bambini uccisi dall’esercito israeliano a Gaza sono circa ventimila,
più migliaia e migliaia di feriti e mutilati e quelli che moriranno ancora
sotto i bombardamenti, freddati dai cecchini oppure per fame o assenza di
medicinali.
Come definirebbe oggi quel (ormai non
più) giovane lo stato di Israele?
Oggi in molti tentano di circoscrivere le responsabilità del genocidio
in corso all’attuale governo di estrema destra razzista e integralista guidato dal
nazista Netanyahu. Ma è soltanto un tentativo, debole e meschino nello stesso
tempo, di salvare Israele, la sua società, il suo popolo, la sua storia, in
parte per convinzione e in (gran) parte per
mero opportunismo politico.
Vorrei farlo anch’io, se fosse possibile. Ma non lo è. Bisogna avere il coraggio di andare fino in
fondo e di dire le cose come stanno. Tranne una esigua e coraggiosa minoranza,
la società civile israeliana è complice delle politiche del suo governo. Una
società civile relativamente sana sarebbe già insorta contro questo scempio. Ma non è così. E non è così perché la grande
maggioranza della società “civile” israeliana è intrisa di razzismo, del
peggiore. Né più e né meno di come lo erano le società civili del Mississippi o
dell’Alabama fino ad una settantina di anni fa. Mi correggo, peggio, molto
peggio. Perché i bianchi razzisti del Mississippi o dell’Alabama non erano
arrivati al punto di concepire lo sterminio dei neri, li segregavano, li
tenevano in una condizione di oppressione e di semischiavitù, li consideravano degli
esseri inferiori, ma non pensavano di eliminarli, magari soltanto perché gli
servivano come manodopera semi schiavile.
Oggi il governo israeliano sta pianificando e ponendo in
essere il progetto di levarsi di torno i palestinesi una volta per tutte,
eliminandoli o deportandoli. Soluzione finale? Ci siamo. Gaza deve diventare
israeliana, costi quel che costi. I governi americani (l’attuale e quelli
precedenti) e quelli europei sono complici di questo criminale progetto che
nasconde anche interessi economici e commerciali che vedono coinvolti anche
alcuni stati arabi, oltre che quelli europei e gli USA. I desiderata ideologici
della destra integralista sionista si sposano con gli interessi economici e
geopolitici dell’”Occidente collettivo” e dei suoi alleati. Un combinato disposto molto robusto.
In tale contesto fanno sorridere, per usare un eufemismo, le
proposte di alcuni governi europei di modificare gli accordi commerciali con
Israele per ottenere una tregua e consentire agli aiuti umanitari di entrare a
Gaza (a proposito, Italia e Germania, insieme ad altri, hanno espresso voto
contrario perfino in questo caso); sono soltanto dei miserabili e ipocriti
squittii di classi dirigenti corrotte e asservite.
Come andrà a finire non lo so. Ma potremmo doverci preparare
al peggio. Del resto non sarebbe certo la prima volta nella storia che popoli interi vengono eliminati.
Personalmente credo che Israele, per quello che è concretamente
diventata, dovrebbe fare la stessa fine della Germania nazista. Sogno che un
giorno la bandiera palestinese sventoli sulla Knesset così come una volta quella
sovietica sventolò sul Reichstag a Berlino.
Dopo di che, non so che fine farò dopo questo articolo, ma è
più forte di me (per citare la frase del grande Dott. Schultz nel film “Django
unchained” di Quentin Tarantino, subito dopo aver sparato ad un negriero schiavista
e proprietario di piantagione e restare ucciso a sua volta). Le mie armi sono
quelle della critica e la penna e la parola sono i soli mezzi di cui dispongo
per combattere.
Palestina libera.
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