Dopo l’ultima aggressione armata all’Iran,
conclusasi con una rapida tregua dopo aver decapitato i più alti e validi
esponenti militari e scientifici del paese, molti analisti militari arabi e
internazionali, focalizzano nell’Iraq, la prossima mossa di Israele, in quanto, quello
iracheno “è l’ultimo fronte rimasto”,
al momento non coinvolto degli obiettivi sionisti.
Infatti, mentre
stanno compiendo il genocidio e la pulizia etnica in Gaza, mentre stanno
destrutturando militarmente e territorialmente la Cisgiordania e i Territori
occupati palestinesi, dopo
aver sfibrato militarmente e politicamente Hezbollah e le forze della Resistenza
in Libano,
dopo aver partecipato alla distruzione della Siria araba e sovrana,
occupandone poi grandi aree e mentre continua
la conflittualità militare a distanza, per ora, con lo Yemen di Sana’a,
molti analisti stanno riflettendo e valutando se il prossimo tassello, per
finire il lavoro di destabilizzazione regionale, sia quello di mettere in
ginocchio l’Iraq, destrutturandolo a proprio interesse strategico.
Questo perché lì è presente il PMF, le “Forze di Mobilitazione Popolari”, l’ultima forza consistente dell’”Asse della resistenza”, quest’ultima alleanza al momento gravemente sfibrata.
Le PMF, sono una coalizione di milizie, in gran parte sciite irachene di circa 136.000 uomini, che diventano circa 170.000, sommata ad altre forze resistenti locali, tra cui Kata’ib Hezbollah, Nujabaa, Kataib Sayyed al-Shuhada, Ansarullah al-Awfiyaa. l’Organizzazione Badr e ad una minoranza di brigate sunnite, cristiane, yazide e shabak, tutte unificatesi per combattere contro le forze statunitensi durante l’invasione USA dell’Iraq.
Asse
Resistenza
Una cosa è certa: il paese mediorientale
è oggettivamente in un momento di estremo rischio, una situazione di delicatissimi
equilibri, a rischio di tentativi, neanche nascosti, di processi di
destabilizzazione, schiacciato in mezzo alla situazione intorno, di guerre e
sovvertimenti forzati e imposti. L’Iraq,
rappresenta oggi un fronte, divenuto, dopo gli ultimi eventi, fondamentale, per
l’Iran, se non l’unico rimasto, dato
che Israele ha lavorato in questi
anni per distruggere l’”Asse della
Resistenza”, indebolendolo duramente, colpendolo nelle varie sue realtà, da
Gaza alla Cisgiordania, dal Libano
alla Siria, allo Yemen, con il contributo degli USA.
Lo dimostra l’estrema cautela di
dichiarazioni delle autorità di Baghdad,
che ha dichiarato la sua critica ai bombardamenti sull’Iran, alla situazione a Gaza
e in Palestina, senza però alzare
eccessivamente i toni e tornando poi sotto traccia. C’è anche da rilevare che
l’Iraq, dopo la sua distruzione e l’assassinio
di Saddam Hussein e del governo baathista,
continua a NON essere più uno stato sovrano e indipendente, è stato frantumato
e parcellizzato, con i partiti mafiosi e corrotti dell’entità curda, al
servizio degli interessi politici ed economici degli USA, con alcune aree ancora intrise della presenza di unità dell’ISIS, ampi territori senza alcun
controllo, che di fatto sono una realtà estranea alle autorità centrali. Un
esercito debole e disorganizzato, una economia ancora distrutta e non
ricostruito industrialmente, a 22 anni dalla cosiddetta “liberazione”…
In questo quadro
le PMF sono la spina dorsale e più
strutturata e organizzata, dell’apparato militare iracheno, con equipaggiamenti
e dotazioni anche moderne, grazie alla storica alleanza con l’Iran ed Hezbollah in Libano finora
e la Siria di Assad prima.
Dal premier iracheno ai
leader religiosi più moderati, l’ordine èimpedire che le voci e le
spinte più
radicali all’interno del paese, portino ad un confronto militare con Israele. Già dall’inizio dell’anno i gruppi combattenti avevano
congelato le operazioni contro Usa e
Israele, come parte di un accordo sancito col governo centrale di Baghdad. Va ricordato che per due anni,
fra il 2023 e il 2024, le milizie irachene avevano partecipato al conflitto
multi-fronte, lanciando droni verso Israele
e prendendo di mira le Alture siriane del
Golan occupate ed Eilat.
Nell’ottobre dello scorso anno due soldati israeliani dell’Idf erano stati uccisi in un attacco di droni lanciato dalle
milizie locali.
Un alto esponente della milizia al-Nujaba, una delle fazioni irachene,
ha confermato al quotidiano libanese Al-Akhbar, che a dicembre era stato
raggiunto un “patto” per fermare le attività militari. Inoltre, il 14 giugno il
quotidiano saudita Asharq Al-Awsat ha rivelato che le autorità di Baghdad avrebbero trasmesso un messaggio
simile a quello che Beirut ha inviato
a Hezbollah: stare fuori dalla guerra
tra Israele e Iran. Il primo ministro
iracheno Mohammed al-Sudani ha
parlato coi capi delle milizie e nella partita è entrato anche l’influente Muqtada al-Sadr, non nuovo a
capovolgimenti improvvisi, il quale avrebbe esercitato pressioni sulle milizie
per il blocco delle operazioni. “L’Iraq e il suo
popolo non hanno bisogno di nuove guerre” ha scritto il leader sciita il 13
giugno. “…Chiediamo di far tacere le voci
spericolate che chiedono il coinvolgimento dell’Iraq nella guerra e di
ascoltare la voce della saggezza e le direttive dei capi religiosi più saggi…”.
Ad AsiaNews, lo studioso giordano Al Sabaileh definisce “credibili” le
voci di una forte e massiccia richiesta di disarmo, perlomeno parziale, delle
milizie attive in Iraq. Decisiva la
pressione ed i ricatti degli Stati Uniti
e la minaccia dell’apertura di un ultimo fronte di guerra dopo Gaza, Siria, Libano e Yemen. Ma se il
piano di disarmo avvenisse è oggettivo che, con la fine della Resistenza contro
il sionismo e le intimazioni statunitensi, il loro peso specifico politico e
influenza nel paese, in prospettiva non sarebbe più lo stesso e andrebbe
disperso.
Infatti gli
emissari di Washington hanno pubblicamente
avvertito le autorità di Baghdad, che,
senza un decisivo intervento per bloccare e disarmare le milizie filo-iraniane,
la risposta sarebbe di natura militare con attacchi e raid aerei sul paese, in
una deriva di guerra e con le conseguenze inevitabili sui civili.
Il
ruolo e la progettualità di lunga data della CIA in Iraq, ha inizio
nel 2001, infatti il progetto statunitense
di destabilizzare l’Iraq prima di
invaderlo, iniziò in quel periodo, con sabotaggi, omicidi, guerre psicologiche,
corrompendo e asservendo i capi locali della minoranza curda, come affermato da
Colin Powell; i due leader curdi Barzani e Talebani, è dall’aprile 2002 che sono a libro paga degli USA, concordato dal capo zona di allora, Maguire.
Secondo la testimonianza dell’allora segretario di
stato Colin Powell allaCommissione
sull’11 settembre, “…Wolfowitz,
sosteneva che l’Iraq era in definitiva la fonte del problema terroristico e
doveva quindi essere attaccato”. L’11 settembre, nello stesso giorno degli
eventi drammatici nel Paese, l’allora direttore della CIA George Tenet
autorizzò la creazione dell’Iraq
Operations Group (IOG), nel giro di 24 ore fu pianificato il progetto per
la sovvertimento dell’Iraq. Nome in codice
DB/ANABASIS (“DB” era il criptonimo
della CIA per l’Iraq), il piano fu attivato molto prima di qualsiasi dichiarazione
formale di guerra, e ben prima che l’opinione pubblica statunitense fosse preparata
circa la falsa accusa di armi di distruzione di massa in Iraq.
Ed oggi, la domanda di molti analisti ed esperti di Medio Oriente è se potrebbe arrivare la
violenta tappa finale di quella progettualità.
Intanto le PMF hanno lanciato nel paese una serie
di marce popolari con centinaia di migliaia di partecipanti, pacifiche ma con
parole d’ordine dure e determinate, di condanna delle aggressioni sioniste
nella regione mediorientale, in ultimo l’Iran.
A cura di Enrico Vigna, IniziativaMondoMultipolare/CIVG
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