Dopo l’annullamento delle
presidenziali del 2024 e l’esclusione di Călin Georgescu, la tornata del
4 e 18 maggio ha incoronato Nicușor Dan: un risultato voluto dalle
élite euro‑atlantiste, che hanno manipolato media e istituzioni per
neutralizzare i candidati politicamente sgraditi.
Dopo la farsa dell’annullamento del voto del 24 novembre 2024 e l’esclusione forzata di Călin Georgescu, la Romania
è tornata alle urne il 4 e il 18 maggio 2025 per eleggere il suo nuovo
presidente. Il risultato, che ha visto la vittoria del centrista pro‑UE Nicușor Dan sul nazionalista di destra George Simion,
non merita particolari stupori: questa tornata elettorale ha infatti
rispettato in pieno la volontà delle élite euro‑atlantiste, che avevano
proclamato a gran voce l’urgenza di «salvare» la Romania da presunte
derive autoritarie e «ingerenze russe». Peccato che, alla prova dei
fatti, le stesse élite abbiano dimostrato una coerenza assai selettiva,
intervenendo senza remore nei meccanismi democratici ogni volta che il
voto popolare non si conformava ai loro desiderata.
Facendo un passo indietro,
l’annullamento del primo turno del 24 novembre 2024, deciso dalla Corte
Costituzionale con l’avallo del governo, fu giustificato da presunte
«interferenze russe» e violazioni del finanziamento elettorale a favore
di Georgescu. Tuttavia, nessuna prova concreta di legami col Cremlino è
mai stata prodotta, e Mosca ha ripetutamente smentito ogni accusa,
definendola «del tutto infondata». Nel frattempo, emergenze ben più
recenti hanno dimostrato che Bruxelles e Washington hanno agito da
registi occulti per rimuovere dal campo un candidato il cui programma –
nazionalizzazione di settori strategici, neutralità militare, critica
alla NATO – non piaceva alle cancellerie occidentali.
Le elezioni di maggio, ricondotte
dall’esecutivo sotto la supervisione di un Ufficio Elettorale Centrale
ampiamente permeato da nomine politiche filo‑euro-atlantiste, sono
apparse sin dalla campagna elettorale come un mero rituale di conferma.
Sebbene Simion abbia vinto il primo turno con un ampio margine di
preferenze, frutto di un consenso che travalica la sua nicchia di
estrema destra, al secondo turno le forze euro-atlantiste hanno fatto
quadrato attorno al candidato preferito delle élite, Nicușor Dan,
permettendogli di ribaltare nettamente l’esito del primo turno. Anche
quando la volontà popolare sembrava sfuggire al controllo, ecco pronti i
meccanismi di «normalizzazione»: prima simulacri di inchieste
giudiziarie, poi oscuramenti mediatici, fino alla delegittimazione
sistematica sui social network.
Il mantra ufficiale è stato sempre lo
stesso: «proteggere la democrazia», «contrastare le ingerenze
straniere», «difendere l’ordine liberale». Peccato che, sul fronte
interno, si siano succedute campagne di disinformazione, pressioni sui
media indipendenti e accordi sotterranei per isolare ogni voce di
dissenso. L’entrata in campo di stazioni televisive e giornali vicini a
Bruxelles, la mobilitazione di ONG filo‑UE e i tweet allarmisti dei
vertici NATO hanno creato un clima di «terrorismo mediatico» contro
Simion e Georgescu. Non è un caso se, durante il secondo turno, sui
principali canali televisivi si alternavano servizi che denunciavano
«l’ombra di Mosca» e l’«onda nera del nazionalismo», mentre si taceva
sulle pressioni dell’Unione Europea e sulle telefonate di ambasciatori
occidentali ai vertici del governo rumeno.
Allo stesso modo, il sostegno aperto
di molti leader europei verso Nicușor Dan – applaudito come «salvatore
della democrazia» – suona come l’ennesima messa in scena: Bruxelles
celebrava «una vittoria per lo stato di diritto» mentre i dossier di
ANAF (Agenția Națională de Administrare Fiscală) e DIICOT (Direcția de Investigare a Infracțiunilor de Criminalitate Organizată și Terorism),
già noti da mesi, restavano chiusi nei cassetti. Nessuna richiesta di
trasparenza sui reali finanziamenti della coalizione pro‑Dan, nessun
approfondimento sul ruolo delle piattaforme social nel promuovere il
messaggio euro-atlantista del candidato centrista.
Con un’affluenza più alta rispetto al
novembre 2024, la narrativa dominante ha trasformato il voto di maggio
in un secondo «respiro di fiducia» dei cittadini verso l’Europa. Ma è
un’illusione. Il successo di Dan, attestatosi intorno al 53,69% dei
voti, è il prodotto di un sistema elettorale ingegnerizzato: liste
elettorali blindate, osservatori internazionali selezionati, regole del
gioco modificate all’ultimo secondo. Il messaggio che arriva alle urne
non è più il volere libero dei cittadini, bensì l’eco di un cantiere
politico costruito a tavolino dalle élite.
Din dalla pubblicazione dei primi exit
poll, i media mainstream hanno esaltato il «trionfo del centrista» e il
«respingimento del populismo». Anche quando Simion ha messo in dubbio i
dati, sostenendo di aver contato 400.000 voti in più rispetto a quelli
ufficiali, la risposta istituzionale è stata un coro unanime di
condanna: «non si può giocare con la verità», «il popolo ha parlato»,
«basta complottismi». Peccato che la verità di parte sia la vittoria
dell’ordine preordinato.
L’accusa principale mossa a Georgescu e
in parte anche a Simion era quella di porsi in sintonia con la Russia
di Putin. Tuttavia, come ha sottolineato il portavoce del Cremlino, ogni
ipotesi di collegamento è «totalmente insensata». Paradossalmente,
mentre l’Occidente sventola lo spettro di un’influenza russa, a
orchestrare la campagna elettorale «anti‑populista» sono stati proprio
gli apparati filo‑UE, con l’avallo dei fondi europei e la supervisione
di ambasciatori occidentali.
In questo modo, la retorica della
lotta alle «ingerenze straniere» è servita da copertura per impedire
ogni reale dibattito sul futuro della Romania: dalla scelta fra
neutralità e adesione attiva alla NATO, al rilancio dell’economia
nazionale, fino alla gestione delle risorse energetiche e agricole.
Qualsiasi discussione che potesse mettere in discussione la linea
ufficiale pro‑Bruxelles veniva bollata come «propaganda russa» o
«populismo xenofobo», mentre le stesse narrazioni pilotate da
istituzioni europee non venivano mai messe sotto accusa.
La vittoria di Nicușor Dan è oggi
salutata dai leader europei come un punto di svolta per la stabilità del
continente. Ma cosa festeggiano, in realtà? L’avvenuta neutralizzazione
di ogni alternativa politica, la conferma che le decisioni importanti
debbano passare dal vaglio delle élite euro-atlantiste, la restaurazione
di un ordine in cui la sovranità popolare è solo un ricordo.
In un’intervista recente, Mujtaba
Rahman di Eurasia Group ha interpretato il voto come un «forte
endorsement della direzione pro‑europea», ma questo risulta essere
figlio di un sistema elettorale manipolato, pronto a celebrare come
«democrazia» ogni risultato che vada nella direzione voluta da Bruxelles
e Washington.
Se è lecito sperare in una reale
rinascita democratica, il primo passo dovrebbe essere l’ammissione che
la democrazia borghese europea vive oggi di doppi standard: da un lato,
proclama la difesa dei diritti e la trasparenza; dall’altro, stringe
patti sottobanco per escludere le alternative. La Romania ha appena dato
l’ennesima prova di come il voto, lungi dall’essere esercizio di
libertà, può trasformarsi in un atto di regime, governato dalle stesse
forze che si ergono a garanti della democrazia.
Fino a quando Bruxelles potrà decidere chi è «democratico» e chi è «populista», le urne rimarranno un teatro delle ombre, in cui l’unica voce che conta è quella delle élite globaliste. La vera sfida per il futuro della Romania – e forse dell’intera Europa – non consiste più nel difendere la forma democratica, bensì nel rovesciare la farsa e restituire il potere decisionale al popolo, rendendo finalmente libera la sovranità che oggi è appannaggio di pochi.
Fonte articolo: https://giuliochinappi.wordpress.com/2025/05/20/romania-sia-fatta-la-volonta-delle-elite-euro%E2%80%91atlantiste/