L’ingresso dell’ideologia femminista nel diritto penale


Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

E’ stato depositato in commissione al senato un disegno di legge che prevede l’introduzione del reato di femminicidio. Tale reato consisterebbe nell’omicidio di una donna “in quanto donna” e prevederebbe la pena dell’ergastolo.

Nel testo, allegato a questa breve presentazione, esso verrà indagato e discusso, traendo come spunto un contributo che caldeggia l’approvazione del DLL, pubblicato dal Procuratore della Repubblica Francesco Menditto.

Nel primo paragrafo verrà analizzata la definizione del termine («Uccisione delle donne in quanto donne»), citata dallo stesso Menditto, che è quella tratta da un testo di  Jill Radford e Diana E. H. Russell (due esponenti del movimento del femminismo radicale) e il contesto in cui essa è stata inizialmente proposta (le faide tra narcotrafficanti di Ciudad Juarez).

Verrà quindi riportato e commentato il testo del DDL, il quale consta di sette articoli, di cui solamente il primo dei quali apporta modifiche al Codice penale introducendo per l’appunto il nuovo delitto di “Femminicidio” (art. 577-bis). Esso prevede i moventi dell’odio o della discriminazione e l’elemento soggettivo dell’odio di genere (uccidere una donna “in quanto donna”).

Saranno quindi presi in esami gli argomenti presentati da Menditto a difesa del DDL, ovvero quelli secondo i quali  le donne sarebbero vittime di una oppressione millenaria da parte degli uomini attraverso un sistema sociale metastorico e universale definito “patriarcato”; questo sistema si riprodurrebbe attraverso una dominazione maschile violenta che gli uomini metterebbero in atto contro le donne; queste ultime sarebbero strutturalmente svantaggiate (pagate di meno rispetto ai maschi, discriminate nelle vita pubblica e privata), costrette a versare in condizioni di intollerabile inferiorità rispetto al genere maschile  e sarebbero esposte alla sua brutalità. La loro uccisione diffusa, violenta e indiscriminata, sarebbe quindi il vertice di questa piramide di violenza e sopraffazione che le attanaglia.

Questi argomenti non saranno nel testo esaminati e confutati singolarmente, ma verrà rilevato come la loro diffusione e affermazione abbia prescisso dalla mediazione del dibattito pubblico, ma sia stata invece calata dall’alto, imposta in maniera sostanzialmente antidemocratica e quindi senza possibilità di un confronto pubblico e democratico. A riprova di questo, nello stesso testo scritto di suo pungo in cui Menditto propugna l’approvazione del DDL, lo stesso autore non è in grado di indicare quali degli omicidi di donne avvenuti nel 2024 in Italia siano da considerarsi come femminicidi e quali no; tanto che, per uscire dall’impasse,  ricorre all’espediente di indicare la percentuale ma non i casi concreti. Questa strategia argomentativa non è il risultato di una semplice svista, ma, come abbiamo detto,  è connaturata all’impossibilità di individuare quei casi in cui un uomo ucciderebbe una donna non mosso da odio o da un raptus diretto contro un individuo unico e irripetibile, ma come “braccio armato del patriarcato”.

Il tentativo di passare dalla sfera mediatica e ideologica (quella in cui l’impiego del termine è stato speso negli ultimi anni) a quella del riconoscimento giuridico mostra la scelta del legilsatore  di optare per un ingresso della politica criminale di stampo femminista nella scienza penale, attraverso la medazione della legislazione (l’introduzione della nuova fattispecie).

Questa scelta, che soddisfa i propositi degli esponenti delle lobby femministe (il travaso delle tesi femministe di politica criminale nella scienza penale), ha un prezzo altissimo: essa condurrà infatti ad un bivio; da un lato la prospettiva di considerare ogni uomo che commette un omicidio la cui vittima è una donna, un’agente del patriarcato; dall’altra quella del rimettere al giudice, di volta in volta, una valutazione degli elementi soggettivi generici e specifici che possano far propendere per “omicidio comune” o “omicidio in quanto donna”.

Nel primo caso, il prezzo della certezza sarebbe quello della amoralità (valutare la vita di una donna di più di quella di un uomo). Nel secondo non vi sarebbe nessuna certezza, poiché la questione sarebbe di volta in volta rimessa a valutazioni del singolo giudice. Fallito quindi il proposito della certezza del diritto, o raggiunto al prezzo di una discriminazione inaccettabile, che sembrerebbe sancire il ritorno alla legge del taglione o alle faide dei clan mitteleuropei.

Nell’ultimo paragrafo rifletteremo sul fatto che le criticità (per usare un eufemismo) introdotte da questo DDL non sono, per chi scrive, oggetto di sorpresa. Siamo sempre stati consapevoli che Il pensiero femminista spinge alle estreme conseguenze una specie di teoria della duplice morale, – la morale che secondo femministe va tenuta in conto per le donne non deve avere alcun rapporto con la morale applicata agli uomini (i “maschi”) – ma anche che una qualsiasi morale è inconcepibile per coloro che il femminismo designa come oggetti di demofagia (è infatti interessante rilevare l’uso iterativo della parola «maschio» nel lessico femminista, per indicare sia gli uomini che commettono alcune azioni o che godono – secondo il pensiero femminista – di particolari privilegi, sia la categoria degli uomini tutta quanta: il termine «donna» invece, mai è sostituito o diventa sostituibile con quello di «femmine». Tale prassi suggerisce che gli uomini, come corpi sessuati maschili, non abbiano sostanzialmente “natura umana”: sono «maschi» appunto, animali non umani, in contrapposizione alle donne, che «donne» rimangono). L’obiettivo quindi è quello dell’esercizio di un dispotismo femminista. Il mezzo, la riduzione dello Stato a preordinata agenzia femminista (e quindi macchina androcida). Inventare emergenze, manipolare dati, feroci campagne mediatiche e persecuzioni giudiziarie contri gli esponenti dei movimenti di critica del femminismo e contro questi stessi movimenti, altro non sono che occasioni per moltiplicare tutte quelle occasioni funzionali a impedire l’esaurimento del serbatoio (serbatoio che permette alla narrazione femminista di alimentarsi e sopravvivere).

Ridurre le garanzie processuali per gli uomini, la libertà di espressione, rendere obbligatoria la diffusione delle tesi femministe in tutte le agenzie formative pubbliche e private e al tempo stesso trasformare l’attività di critica del femminismo in un reato, sono i mezzi attraverso i quali questa volontà di potenza della ideologia femminista cerca di sgombrare la strada del dominio da ogni ostacolo.

Da questa concezione del «diritto» alla strage di Stato non mancano che più articolate transazioni con la razionalità (da qui la necessità del monopolio rispetto a ogni agenzia di formazione e comunicazione, l’introduzione della politica criminale femminista nella scienza penale e nel Codice Penale), e le mitologiche frenesie della «razza colpevole» (gli uomini, che sembrano non opporsi in alcun modo a tutto questo).

Fonte foto: Facebook (da Google)

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