Tra Essere e Non Essere. Le incognite dell’Intelligenza Artificiale


All’università di Cassino è stata discussa la prima tesi di laurea di un Avatar. Nelle scuole si assiste ad un uso massiccio dell’intelligenza artificiale. Gli studenti la consultano per risolveri problemi, compiti e traduzioni. L’intelligenza artificiale sta assumendo una valenza che la rende comparabile ad una ritualità magica della contemporaneità. Si esprime il desiderio e, in modo immediato, essa  soddisfa le esigenze più disparate, tutto in modo rigorosamente anonimo. L’impegno e le tensioni causate dal confronto con se stessi sono così superati dalla magica presenza. L’intelligenza artificiale è dunque  presenza inquietante e sconosciuta nella vita ordinaria di ogni giorno. Decenni di addestramento programmato al fatalismo e alla legge del “si può dunque si deve” hanno fondato una società ipertecnologica e superstiziosa nel contempo, in quanto la ragione pubblica ed etica è ormai considerata desueta, al suo posto regna la sodisfazione immediata dei desideri. L’intelligenza artificiale è ora la protagonista indiscussa e osannata di tale postura irriflessa. La seduzione è nella comodità, senza sforzo alcuno è possibile risolvere ogni quesito. I primi effetti sono già tra di noi, giacchè non si ragiona, ormai, in termini di lungo periodo, pertanto irresponsabilità e irrazionalità dominano dietro l’apparente razionalità del sistema. Le risposte immediate hanno distorto la percezione del tempo  sempre più simile ad uno spazio breve lungo quanto una risposta dell’IA e  mai trasformata in concetto.

A scuola, mentre si proibisce l’uso degli smartphone,  si acclama all’intelligenza artificiale con i fondi del PNRR. I progetti afferenti al PNRR hanno sempre l’obiettivo di incentivarne l’uso e mai di pensarlo. Sono finalizzati a destrutturare dubbi e resistenze mediante la fascinazione delle sue potenzialità e dei prodigi. La riflessione collettiva è volutamente agirata, in tal modo si resta semplicemente stupiti, da stupor, a bocca aperta, dinanzi alla “meraviglia”. La depoliticizzazione comporta automatismi da cui non si sollevano domande e  pertanto non ci si pone il problema dei gestori dell’IA, tutti rigorosamente privati. Siamo dinanzi alla spallata finale, in modo simile al Cavallo di Troia, come già è stato per smartphone e PC, si introduce  il “nuovo”  senza preparare gli utenti alle sue potenzialità e ai suoi pericoli e quindi senza definirne gli usi e i tempi per l’impiego. Con la scomparsa della dimensione del pubblico dalla vita politica, che non è più tale, perché risponde agli interessi delle multinazionali e dei potentati, i  nuovi strumenti tecnologici che potrebbero donare più tempo libero e meno lavoro quotidiano, sono in realtà usati  per la produzione,  i cui utili cadono nelle tasche dei soliti noti. Il suddito ha tra le mani il mezzo che gradualmente si sostituisce a lui rendendolo servo inconsapevole dell’intelligenza artificiale e del sistema. La tossina scorre a fiumi e si rafforza quotidianamente, giacchè l’IA si nutre dei nostri dati  e del nostro lavoro. Lo sfruttamento assume, nel nostro tempo una nuova forma capziosa e a volte impercepibile; si è sfruttati sempre,  al lavoro come fuori di esso. Nutriamo il nostro padrone al punto da apparire come servi volontari. “Disinformazione, ignoranza e abitudine a dipendere” sono la triade che consente la regressione della democrazia. Cittadini abituati alla delega di compiti intellettuali disimparano a pensare e diventano sempre più sudditi volontari, tanto più che il manganello e l’olio di ricino sono sostituiti dalla scatola magica a cui tutto “si chiede e tutto si dona”. Informazioni e temi sono, naturalmente, debitamente sorvegliati dai padroni del nuovo ordine mondiale tecnocratico. I primi effetti sono già evidenti,  alunni e nuove generazioni delegano alla magica presenza ogni problema, e similmente, anche non pochi adulti “giocano” con essa.

L’IA si sta sostituendo all’intelligenza individuale e collettiva e ciò non può che favorire l’omologazione e il pensiero unico. La democrazia, e ancor più, la ragione critica capace di individuare le contraddizioni sociali ed economiche e di risolverle è sostituita dalla ragione digitale che insegna a mitizzare in modo acritico le nuove tecnologie. Siamo dinanzi ad una deriva senza pari. Incoscienza e complicità sono le peculiarità “poco etiche e poco politiche” del nostro tempo. La tecnica al comando delle multinazionali e dei padroni, stanno per diventare i veri soggetti della storia, mentre i popoli si accingono a diventare le obbedienti comparse della società dello spettacolo, sempre più degradato e degradante. Siamo dinanzi ad un attacco senza pari alla natura creativa e razionale dell’umanità, se non si avvierà una profonda discussione sugli usi e sui limiti dell’IA il deserto del pensiero unico rischia di travolgerci. La discussione politica è urgente, in quanto non abbiamo modelli sociali del passato minimamente paragonabili con l’accelerazione tecnologica attuale e per cui siamo indifesi.

Il potere dei padroni approfitta di tale condizione e spinge  sull’acceleratore della trasformazione, in modo da  limitare le resistenze e rappresentarle come  posture di soggetti nostalgici e fuori dal tempo. È  ora di discutere e di sospenderne l’uso per comprendere politicamente e scientificamente l’IA. Scuole e università si stanno mostrando, con i loro addetti, luoghi di conformismo notevole, anziché essere istituzioni al servizio del popolo e della conoscenza condivisa, servono i padroni.

Come G. Anders ha già denunciato nel suo testo L’uomo è antiquato, le tecnologie si fondono per diventare un’unica macchina che tutto governa. L’illimitatezza, attributo sostanziale del capitalismo, ha dunque trovato una nuova formula per il dominio totalitario. I sudditi nutrono la macchina dell’IA, tentacolare nella sua presenza, e consentono al capitale un dominio senza precedenti.

Su tutto questo si tace e si acconsente. In questo momento storico bisogna riprendere il cammino della resistenza con lo studio e con l’azione. G. Anders è autore e filosofo che ha profetizzato la malvagità del nostro tempo travestita con le parole buone della propaganda. Le sue parole risuonano, inascoltate, nel nostro presente:

“Voglio dire che <<noi>> e con <<noi>> intendo la maggioranza dei nostri contemporanei viventi nei paesi industriali, inclusi i loro uomini politici abbiamo rinunciato (o ci siamo lasciati costringere a questa rinuncia) a considerare noi stessi (o le nazioni o le classi o l’umanità) come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati (o lasciati detronizzare) e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un solo altro soggetto: la tecnica, la cui storia non è, come quella dell’arte o della musica, una fra le altre, bensì la storia, o perlomeno è diventata la storia nel corso del più recente sviluppo storico; il che trova terribile conferma nel fatto che dal suo corso e dal suo impiego dipende l’essere o il non essere dell’umanità[1]”.

Siamo dinanzi alla battaglia finale tra “essere e non essere”, tra il “pensiero e il niente”. La condizione, in cui siamo situati è pericolosa, non solo per la tecnocrazia imperante, ma specialmente, in quanto stiamo vivendo, forse, l’ultima fase del capitalismo. Il capitalismo senza padri e senza madri, come potremmo definire l’attuale stato di dominio del mercato, si incrocia con l’assenza di ogni vincolo etico e ciò espone, specialmente i più giovani, a pericoli estremi. L’IA può diventare, e sta diventando, il genitore  digitale che alleva e addestra  sudditi incapaci di pensare e di provare un sano senso di scandalo dinanzi ad una situazione nazionale e internazionale fondata sempre e solo sullo sfruttamento. Abbiamo il compito di difendere l’essere e ciò non può che avvenire già nei luoghi di lavoro e nella vita privata e pubblica nella quale, senza titanismo, dobbiamo rendere vivo il problema prima che il “non essere” soverchi “l’essere”.

L’IA insegna l’impotenza, se non vi è una salda direzione etica e politica alla stessa. I popoli addestrati alla passività pianificata non sono più tali, ma sono plebi che dipendono dalla parola della macchina manovrata dagli oligarchi. Oggi la sfida è restare umani e restare popolo in cammino. Ciò che potrebbe sembrare ed essere una grande opportunità, dunque, per emanciparci da lavori faticosi e alienanti, nel contesto capitalistico, non può che tramutarsi in un nuovo strumento di dominio di massa, anzi ha lo scopo di massificare le coscienze nel silenzio dell’obbedienza.  Il capitalismo, dobbiamo ripeterlo, è sfruttamento e accumulo infinito di plusvalore, pertanto curva le potenzialità  liberatrici in nichilismo; di questo dobbiamo prendere atto per poter decodificare l’IA nell’inquieto e inquietante presente.

Uscire dalla fascinazione e dall’abbaglio è il grande problema. L’IA è utilizzata senza mediazione della ragione, pertanto il soggetto ha la percezione di essere al comando del sistema, mentre in realtà è solo un fugace granello del medesimo. Dobbiamo rietrare nella storia, siamo ad un bivio epocale.

Siamo in una cornice storica che necessita di umanesimo comunista, riporre al centro l’essere nella forma dell’umanità nella concreta comunità è oggi battaglia teoretica e politica  non più rimandabile.

L’Umanesimo pone al centro il bene nella interalità sociale, solo all’interno di questa prospettiva, non relativista, è possibile teorizzare e progettare la tecnica al servizio di ogni essere umano. Umanesimo comunista quindi  che integra le tecnologie, conoscendole nella loro effettualità tecnica e sociale, all’interno della comunità che le gestisce dal “basso” per il “basso”. Solo in tal modo l’umanità tornerà ad essere “soggetto della storia” e non oggetto di forze “anonime e misteriche” che la rendono solo “spettrale presenza”. Solo un nuovo Umanesimo nel solco della tradizione ma reso attuale può emanciparci dall’antiumanesimo che si profila all’orizzonte in forme sempre più distruttive. 


[1] G. Anders, L’Uuomo è antiquato, VolumeII, Bollati Boringhieri Torino, pag. 258

Fonte foto: da Google

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