Ieri, con un comunicato ufficiale per celebrare la festa del Primo Maggio, la Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha dichiarato, cito testualmente “che tra le donne si registra il maggior numero di vittime di incidenti mortali sul lavoro”.
Le ha fatto eco, nel suo comizio ad Assisi, il segretario nazionale della CISL, Luigi Sbarra, che ha ribadito che le vittime sul lavoro sono soprattutto donne.
Parole tanto più surreali se pensiamo che ad averle pronunciate sono stati la Presidente del Senato e ancor più, in questo caso, il leader del secondo più grande sindacato italiano (che dovrebbe essere informato dei fatti).
Si tratta, ovviamente, di una clamorosa e gravissima manipolazione della realtà, peraltro fatta, in questo caso, con estrema e maldestra leggerezza oppure malafede. Va bene (si fa per dire…) occultare il risvolto di genere della tragedia dei morti sul lavoro, ma arrivare addirittura a deformare in modo così sfacciato la realtà, va oltre ogni nostra immaginazione.
L’ultimo dato che ho a disposizione (ma è su per giù lo stesso ogni anno, da sempre, si può discostare di pochissime unità) è quello del primo trimestre del 2021 (è sufficiente consultare il sito dell’Inail per avere i dati e le percentuali di anno in anno): 185 vittime di cui 14 femminili e 171 maschili. La percentuale oscilla mediamente fra il 93% e il 96% di morti maschili e del 4/5% femminili. Da notare peraltro che quasi tutte le lavoratrici considerate cadute sul lavoro sono decedute in itinere, cioè mentre si recavano sul posto di lavoro (per incidente stradale).
Ora, la domanda è la seguente: a chi giova questa clamorosa falsificazione della realtà? A chi giova questa vittimizzazione/celebrazione delle donne e relativa demonizzazione degli uomini (come se fossero due blocchi distinti e separati, con le vittime da una parte e i carnefici dall’altra)?
Giova forse al processo di emancipazione e liberazione delle donne (e degli uomini)? Chi ha interesse, da sempre, a deformare la realtà?
A questo punto mi rivolgo soprattutto alle donne. Che processo di liberazione (l’emancipazione da quel dì che c’è stata) può essere quello fondato sulla menzogna? E un processo di liberazione fondato sulla menzogna può essere definito tale? Oppure siamo di fronte ad un’altra cosa? Che necessità c’è di falsificare la realtà o di occultarla in una maniera così clamorosa, se si è forti delle proprie ragioni e si ritiene che siano fondate?
Come sapete, ho le mie risposte, ma è giusto che ciascuna/o si pronunci.