L’incriminazione dell’ex Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è ovviamente tutta politica.
I reati, circa una trentina, che gli vengono contestati e per i quali è stato incriminato sono infatti relativamente risibili, per lo meno rispetto alla stazza del personaggio, anche se non certo per un comune mortale. Fra gli altri, violazione del “Presidential Records Act” (non avrebbe restituito al governo dei documenti di cui peraltro non ha fatto mistero di essersi appropriato, quindi sottrazione di documenti ufficiali), frode elettorale e/o cospirazione (avrebbe tentato di alterare il risultato elettorale in Georgia operando una pressione indebita sul segretario di quello stato) violazione della legge sul finanziamento elettorale dello stato di New York, falso in bilancio (avrebbe utilizzato del denaro stornato dalle sue aziende per comprare il silenzio di una pornostar e di una modella con le quali aveva avuto relazioni sessuali onde evitare che le rendessero pubbliche e potessero danneggiarlo in campagna elettorale).
A coronamento di tutto ciò, ciliegina sulla torta, non poteva mancare “l’arma fine di mondo”, cioè l’accusa di stupro lanciata pubblicamente da una reporter, che a distanza di venticinque anni ha pubblicato un libro dal titolo “A cosa servono gli uomini?” in cui ha denunciato di essere stata violentata da Trump nel 1996.
Con quest’ultima accusa, dalla quale, indipendentemente dalla colpevolezza o dall’innocenza, non potrebbe salvarsi neanche Gesù Cristo, sono stati fatti fuori Dominique Strauss-Khan, già Presidente del FMI ma un po’ troppo “socialdemocratico” per i gusti delle lobby del grande capitale internazionale che lo ha giubilato (comprando la tizia che lo ha accusato di stupro e rovinandolo anche se successivamente verrà assolto per non aver commesso il fatto), e il giornalista Julian Assange, fin dall’inizio della sua drammatica persecuzione, accusato da due donne svedesi (naturalmente comprate…) di aver subito violenza sessuale perché avrebbe fatto sesso, sia pur consensuale, con loro manomettendo il preservativo in modo tale che si sfilasse prima della conclusione (per la legge svedese equivale a stupro).
Accusa retroattiva di stupro a parte, sulla quale ovviamente non ho nessun elemento per poter affermare nulla di certo, i capi d’accusa contestatigli sono, come dicevo, modesti rispetto all’entità del personaggio. Accusare un ex Presidente degli USA di violazione della legge sul finanziamento elettorale o di tentativo di corruzione o pressione indebita su un segretario o un governatore di uno stato – prendendo in prestito una frase del celebre film cult di F.F. Coppola “Apocalypse now” – è come fare la multa per eccesso di velocità alle mille miglia di Indianapolis. Trovatemi un presidente americano, democratico o repubblicano, che sia scevro da brogli elettorali e losche manovre di palazzo ma soprattutto non abbia le mani lorde di sangue per aver scatenato guerre di aggressione, fatto uso di armi di distruzione di massa o non convenzionali, essere stato mandante di assassinii politici (esterni e interni), aver ordito colpi di stato, addestrato torturatori, sostenuto feroci dittature militari, affamato popoli con embarghi criminali e tanto altro ancora. Se proprio si doveva incriminare Trump (e sarebbe stato più che giusto), lo si doveva fare per essere stato il mandante dell’omicidio del generale iraniano Soleimani (applaudito invece trasversalmente da tutto l’establishment statunitense) o per aver appoggiato la scellerata nonché criminale proposta di trasferire la capitale di Israele a Gerusalemme. Ma ovviamente sono solo delle boutade, nessun presidente degli States sarà mai incriminato per questo.
L’attacco a Trump è quindi dettato da ragioni esclusivamente politiche. L’establishment USA, non solo quello dem ma anche buona parte di quello repubblicano, vuole disfarsi di questa specie di outsider fuori controllo (ma carico di quattrini e con un ampio seguito popolare) che potrebbe entrare e forse è già entrato in rotta di collisione con il cosiddetto “deep state” (FBI, CIA, apparato militare-industriale, grandi lobby finanziarie e industriali) soprattutto perché potrebbe, in linea teorica, imprimere una svolta sul piano geopolitico, chiamando fuori l’America dalla guerra in Ucraina e cercando una soluzione politica con la Russia di Putin. E le classi dirigenti americane non possono permetterlo e non possono permetterselo, perché la guerra è propedeutica al mantenimento dell’egemonia del grande capitale multi e transnazionale di cui l’imperialismo USA è scudo e spada nel mondo.
Sia chiaro, sia i dem che Trump sono animati da una viscerale ostilità nei confronti della Cina (oltre che da un altrettanto viscerale antisocialismo) che, se ne avessero le possibilità, distruggerebbero in un nano secondo. Ma la loro strategia per arrivare alla messa fuori gioco o comunque al ridimensionamento della Repubblica Popolare Cinese è completamente diversa. Trump punta (puntava…) al dialogo, sia politico che ideologico, con Putin con l’obiettivo di strapparlo o quanto meno di renderlo meno dipendente da Pechino, cosa questa che implicherebbe conseguentemente anche un riavvicinamento fra la Russia e l’Europa. I dem invece, ma a mio parere anche una parte dei repubblicani, più la gran parte del “deep state”, sono per la guerra totale, globale e permanente, per la riduzione della Russia ai minimi termini (se non al sogno della sua frammentazione), per la separazione totale (risultato già acquisito) della Federazione russa dall’UE e in particolare dalla Germania e per l’isolamento economico, commerciale e militare della Cina nel quadrante asiatico e in quello del Pacifico. In questa chiave vanno ovviamente letti tutti i vari trattati e accordi, sia commerciali che militari, che sono stati anche di recente stipulati fra gli USA, l’Australia, il Giappone, le Filippine, la Corea del Sud, ma anche con l’India, l’Indonesia, la Malaysia, il Brunei, Singapore, con Taiwan sullo sfondo (si fa per dire…) dove sono già presenti da tempo truppe americane. La massiccia presenza della flotta e delle centinaia di basi navali e militari USA in quell’area è il suggello o per meglio dire, la garanzia, diciamo così, di questa “Santa Alleanza” anticinese (e ideologicamente antisocialista).
L’incriminazione di Trump va quindi letta in questa chiave politica (interna, liquidazione di un avversario scomodo) e geopolitica. Il tutto viene ovviamente colorato dai media mainstream neoliberali americani e occidentali come il trionfo della democrazia, se è vero, come è vero, che per la prima volta nella storia un (ex) presidente americano viene incriminato. Ma è altrettanto vero che anche il genocidio atomico è stato attuato per la prima – e finora, fortunatamente, l’unica – volta da un presidente americano. Che però non è stato incriminato per questo.
Fonte foto: Vatican News (da Google)