Dopo la strage di Lampedusa, l’Italia e conseguentemente l’Europa non sono riuscite a dare risposte concrete sul tema immigrazione. Ma prima delle soluzioni servirebbe capire chi sono queste persone e per quale motivo rischiano la vita in mare.
Mediterraneo. 700 o 900, non si sa di preciso, ma questi i morti nel Mediterraneo il 19 Aprile scorso. Numeri che ci fanno comprendere la gravità dell’ennesima strage: la più imponente degli ultimi anni. Dall’incertezza delle cifre purtroppo si passa all’incertezza politica, in altre parole all’incapacità di trovare una soluzione per rimediare ad una situazione che ha tutto l’aspetto di un’emergenza umanitaria. Ma, come al solito, prevalgono gli egoismi, l’ipocrisia e gli slogan da campagna elettorale. Nel frattempo il Mediterraneo continua ad essere il mare che divide, luogo dove i migranti rischiano la vita e spesso conoscono la morte.
L’Europa degli egoismi. Nei giorni successivi il circo mediatico si è concentrato sul tema dell’immigrazione. A Bruxelles si sono riuniti i leader degli stati europei per aprire un dibattito sulla questione. Urgono risposte da dare ai cittadini, d’altronde servivano 700 (o 900) morti per essere costretti a porre rimedio ad una crisi che conosciamo da almeno dieci anni… Alla fine della giornata viene estratta dal cilindro la soluzione provvisoria: sono triplicati i fondi per l’operazione Triton (da 3 a 9 milioni ogni mese), nonostante fosse stata ampiamente criticata perché inefficiente. Nell’anno in cui è stata attiva Triton, il numero di morti è quintuplicato rispetto a Mare nostrum. Il vero problema di quest’operazione è il modo in cui è stata concepita, nonché l’organizzazione: essa ha il compito di proteggere i confini europei e non quello di salvare vite umane (come faceva invece Mare nostrum); in secondo luogo Triton è un’operazione coordinata dalle forze di Polizia e non dalla Marina Militare. Qual è la differenza? Un corpo di Polizia viene usato per missioni di guerra, ma non esiste nessun conflitto nel Mediterraneo. Infatti la Marina Militare, ai tempi di Mare Nostrum, è stata molto più efficace, perché possedeva le competenze per affrontare il vero problema: non far naufragare i migranti in mare. Insomma il messaggio dell’Europa dopo il vertice è chiaro: proteggere i confini.
Qualche settimana dopo il Consiglio europeo si è espresso nuovamente sulla vicenda, affermando la necessità di accogliere i migranti. Quindi ogni stato dovrà prendere una quota di persone in base ad alcuni parametri che misurano ricchezza e numero di immigrati già presenti. Finalmente una risoluzione valida? Ovviamente no, Gran Bretagna; Francia e Spagna hanno fatto retromarcia. Loro sono disposti a investire per i mezzi, ma non vogliono altri profughi nei loro territori. Anche in questo caso alcuni stati europei si sono dimostrati egoisti ed ipocriti, bloccando una risoluzione comunitaria, nonostante sappiano benissimo che la questione immigrazione non può essere a carico di un solo Paese.
Ma per colpa di pochi non si possono rovinare le buone intenzioni dei molti; e da qui la domanda: è possibile che un’istituzione come il Consiglio europeo non sia in grado di dettar legge su questioni che interessano l’intera Comunità? Purtroppo è così, da qui la vera cifra dell’Unione: un insieme di stati dove prevalgono gli individualismi ed il volere dei singoli, praticamente una scatola fatta di forma ma non di contenuti. E davanti alle prime difficoltà emergono tutti i limiti strutturali del sistema.
La repubblica degli slogan. Se le risposte europee non sono state propriamente “brillanti”, quelle italiane hanno raggiunto picchi di qualunquismo non indifferenti. Il motivo è semplice, siamo in piena campagna elettorale: tra pochi giorni si svolgeranno le elezioni regionali. Come da copione i politici non hanno fatto mancare promesse irrealizzabili per racimolare gli ultimi voti. Sostanzialmente più ampio è il problema, più è semplice strumentalizzarlo ai fini del consenso. Partiamo dal premier Matteo Renzi, il quale preso da una fervente indignazione, forse senza riflettere molto, ha individuato la soluzione agli sbarchi: inviare droni armati in Libia, riconoscere le barche degli scafisti e abbatterle. Ed ecco fatto, questione chiusa. Come mai nessuno ci aveva mai pensato? Forse perché non è così semplice distinguere le barche degli scafisti da quelle dei pescatori (lo diceva anche Travaglio a Servizio Pubblico). Anzi, non c’è differenza; gli scafisti usano proprio dei pescherecci per imbarcare i profughi. E’ banale dire che nei porti libici se ne trovano a migliaia. D’altronde che i migranti non viaggiassero su lussuose imbarcazioni già in molti lo avevano notato, purtroppo il nostro “maleducato di talento” no (definizione di Ferruccio De Bortoli). Se la prima motivazione non bastasse, ce ne sarebbe anche una seconda. Attaccare i porti è un’esplicita dichiarazione di guerra nei confronti della Libia e, dopo la fallimentare impresa bellica del 2011, non è il caso di intervenire nuovamente. Anche perché sarebbe già difficile comprendere chi è il nemico: il governo di Alma o quello di Tobruk? Non lo sappiamo, poiché in Libia esistono due parlamenti diversi che si sconfessano a vicenda. Alla fine Renzi, sconfortato dal poco seguito che hanno avuto le sue parole, ha deciso di abbandonare posizioni improbabili per allinearsi con le direttive della Commissione Europea.
Invece la destra conservatrice (Lega e Fratelli d’Italia), fortemente contraria agli sbarchi, ha affermato la necessità di un blocco navale immediato. Questo significherebbe dispiegare la Marina militare in acque internazionali per intercettare i barconi, dare una prima assistenza medica, dopodiché farli tornare verso le coste libiche. Ennesimo slogan da campagna elettorale. Il trattato di Dublino obbliga un paese europeo ad accogliere i migranti per dare la possibilità ad essi di chiedere asilo politico, fatto sta che i profughi non possono essere respinti in mare. Conclusione? Il blocco navale non è attuabile. Già nel 2009 Maroni (Lega nord) aveva provato a rendere legge il respingimento ma la Corte costituzionale ci ha bacchettati definendo illegittima la proposta. Oltretutto quest’operazione sarebbe decisamente più dispendiosa rispetto a quella che è in atto ora.
In mezzo a tanto populismo si può ancora notare un segnale distensivo. Il Vaticano ha intenzione di creare un corridoio umanitario, concedendo i visti agli immigrati nei paesi d’origine attraverso le nunziature apostoliche; i profughi verranno trasportati in aereo e accolti a Castel Gandolfo, evitando così i terribili viaggi in mare. Don Virgilio Colmagna spiega: “E’ una proposta concreta e al tempo stesso provocatoria, che però fa intravedere la drammaticità e l’urgenza della situazione. Non credo, infatti, che la concessione di visti ai profughi da parte della Santa Sede possa rappresentare una soluzione alla questione migranti, ma credo che possa contribuire a evidenziare l’ipocrisia delle politiche europee in materia, soprattutto per quello che riguarda il diritto d’asilo”.
Semplicemente un simbolo, nulla di più, che può fungere però da faro per illuminare una giusta strada da intraprendere.
Uomini prima di tutto. Prima ancora di trovare una soluzione agli sbarchi è doveroso interrogarsi su chi sono coloro che cercano di raggiungere le coste europee. Mai come oggi ci siamo dimenticati un concetto fondamentale: l’umanità. E’ come se questi migranti non fossero persone con gli stessi nostri diritti. Quindi lasciamo stare le chiacchiere di alcuni politici i quali ci dicono che accogliendo questi profughi sprechiamo soldi che servirebbero agli italiani. Poniamo per assurdo che esista un nesso logico tra le due cose (il quale ovviamente non c’è, sono due ambiti diversi). Un cittadino italiano che si trova in difficoltà economica possiede pur sempre la possibilità di far fronte a bisogni primari (cibo, sanità, un posto dove dormire). Invece gli immigrati lottano per la vita. Non occuparsi di queste persone significherebbe lasciarle morire, per di più a 30 chilometri dalle nostre spiagge.
Costoro oltre a essere uomini, poi, sono anche migranti. Alcuni sono chiamati migranti economici, cioè fuggono dalla povertà del loro Paese per assicurarsi una vita dignitosa, altri invece richiedono asilo politico perché provengono da Stati dove c’è un conflitto in corso. Queste sono le due definizioni esatte per descrivere le reali condizioni dei profughi. Spesso purtroppo alcuni esponenti politici (diciamo quelli più destrorsi) utilizzano il termine “clandestini”, che ovviamente etichetta queste persone come dei malviventi. Ma di quale reato si sono macchiati? Forse quello di voler scappare da una guerra oppure di voler mangiare? Rivolgete queste domande a quei politici che illudono i cittadini con spietato cinismo.
Solo quando avremo abbandonato il nostro egoismo tipicamente occidentale, allora saremo in grado di trovare delle soluzioni concrete e a lungo termine, forse anche umane. Perché come dice giustamente Marco Damilano (“L’Espresso”): “Anche se oggi il Mediterraneo è un mare di morte, non si ferma la vita!”.