Critica del femminismo ed essere di sinistra


Per caso ho letto su un sito che da tempo si occupa di critica del femminismo un articolo  contenente alcune considerazioni riguardo all’attuale rapporto tra sinistra e antifemminismo. Si faceva riferimento in particolare ad alcuni autori di contenuti, tra i quali Yasmina Pani, e il loro dichiararsi “di sinistra” insistendo che questa fosse una contraddizione logica che ne sminuisce il valore, come se questi autori fossero in eterna attesa che qualcuno di “sinistra” dica qualcosa che riconoscesse la loro critica del femminismo. Una frasetta buttata lì accennava anche al convegno che Uomini e Donne in Movimento e L’Interferenza hanno organizzato il 15 marzo scorso: “Chi l’ha seguito riporta che, con l’eccezione dei nostri …, è stato più un momento di onanismo marxista collettivo che non un approfondimento sulle questioni di genere“.

A parte la ridicola posa di considerare due degli autori partecipanti “i nostri” perché scrivono sul sito in questione, come se fossero dei giocatori della propria squadra in trasferta nella sede di un’altra, in competizione con la propria, e aver dimenticato che al convegno del 15 marzo c’erano anche Armando Ermini ed Andrea Zhok, non proprio gli ultimi arrivati in fatto di critica al femminismo, e anche prescindendo dal fatto che uno dei “nostri” lo conosco da ben prima che esistesse il sito dell’articolo (tanto che l’ho invitato io personalmente), i ragionamenti fatti sono, a dir poco, sbilenchi e nemmeno si capisce cosa vogliano dire a parte il solito generico “non ci sono più destra e sinistra“. Pertanto, credo che valga la pena chiarire alcuni punti che sfuggono ad una visione molto superficiale delle cose.

Una precisazione: non ho visto il video in cui la Pani e gli altri sembrano, come dice l’articolo, lamentarsi che il loro “essere di sinistra” non venga accolto dal mainstream ufficiale, né mi interessa farlo, nemmeno conosco gli altri citati per cui quanto segue non è un commento a quel video, se questi autori e gli altri vorranno rispondere lo faranno altrove chiarendo per loro cosa significhi “essere di sinistra”, se davvero da orfanelli soffrono la mancanza di mamma “sinistra” o no? Io posso parlare per gli “onanisti” del 15 marzo, che posso assicurare non hanno affatto questo problema, ma in senso lato poiché, quanto segue, ha una validità generale in tutti i casi in cui questa apparente contraddizione è stata manifestata da cui il titolo di questo articolo. Per cui il riferimento all’articolo originale sul sito in questione deve essere preso solo per analogia, nel senso che non tutto quanto segue potrebbe avere un diretto collegamento con esso.

In questi casi il primo errore è la confusione tra la sinistra storica, quella che è stata tale almeno fino al riflusso degli anni 80, con la “sinistra” attuale. La “sinistra” liberale attuale, l’uso delle virgolette è voluto (ed è sull’Interferenza usato fin dal primo articolo del 2014), non è la sinistra almeno per come la intendono gli organizzatori del 15 marzo, perché non ha nulla a che fare con la tradizione storica del movimento operario, con la lotta di classe e con i diritti sociali. È, come ha scritto Marco Revelli già nel 1996, una seconda destra [1], ormai del tutto convertita ai valori neoliberali. Questo vuol forse dire essere i nostalgici adoratori del Diamat o del pensiero marxista classico? Niente affatto, il marxismo di Marx oggigiorno è in una certa parte inutilizzabile perché lui si riferiva ad una situazione storica completamente differente. Per questo esso va riletto cum grano salis tenendo conto che il positivismo tardo ottocentesco (dovuto per la verità più ad Engels che a Marx) è ormai desueto e che il mondo attuale è molto più complicato di come lo si poteva pensare alla fine del 1800. Non esiste alcuna inevitabilità nella storia e anche la classe operaia, tradizionalmente intesa, ha subìto un processo di profonda trasformazione.  

Nonostante tutto esiste ancora una sensibile differenza tra le classi sociali che pone i pochi molto ricchi, Elon Musk è un esempio, molto molto al di sopra di un ceto medio e popolare sempre più schiacciato verso il basso. In questo senso per colmare questa diseguaglianza ci si può ancora dire di sinistra, mentre la destra non è interessata a colmare nulla sostenendo che essa è qualcosa di strutturale o naturale che non può essere cambiata. Va specificato che questo non ha nulla a che vedere con la sinistra radicale attuale, per intenderci i “centrosocialari”, gli “Zero-cervello” o “sinistrati”, poiché invoca un cambiamento radicale, nei casi estremi rivoluzionario, della società al momento lontano nel tempo (ma in tempi come questi la storia potrebbe anche improvvisamente accelerare). In questo senso ci si può dire ancora di “essere di sinistra”, e l’esserlo comprende ovviamente anche, ma non solo, la tradizione marxista, nonché le altre esperienze che possiamo dire socialiste, rilette alla luce del mondo attuale, cosa che molti autori hanno fatto [2].

Peraltro, c’è anche un altro errore derivato dal primo: quello di confondere la tradizione della sinistra col progresso o il progressismo, ormai questo non può essere più sostenuto: numerosi autori, a cominciare da Walter Benjamin, hanno iniziato a criticare l’ottimismo positivista legato al progresso. Anzi, alcuni autori post-marxisti si sono spinti a dire che le Rivoluzioni Russa e Cinese sono state rivoluzioni “contro il progresso” in quanto realizzate non dalla classe operaria, ma da una forte componente contadina in paesi arretrati [3]. Per cui il transumanesimo alla Musk, per intenderci, ammesso che le sue promesse siano vere (cosa che essendomi occupato a lungo di scienza credo molto improbabili), non è affatto qualcosa che ha a che fare con la sinistra storica.

Il secondo errore fatale è quello di identificare il femminismo come di sinistra e non con la “sinistra”. Il disaccoppiamento tra sinistra storica e l’attuale “sinistra” è avvenuto anche quello intorno agli anni ‘80, o per meglio dire tra i ‘70 e gli ‘80, grosso modo nello stesso periodo in cui Carla Lonzi  “sputò” su tutta la tradizione storica della sinistra per finire all’incirca negli anni 80 a Paola Tavella che afferma: “Ricordo tutte le loro critiche marxiste leniniste del cazzo (parola scelta con cura), tutta la menata della contraddizione principale“. Tuttavia, il femminismo non ha rinunciato a restare attaccato come una piattola alla “sinistra” liberale perché ha abilmente sfruttato lo spostamento dai diritti sociali ai diritti umani, che è stato uno dei modi in cui l’attuale “sinistra” si è progressivamente distaccata dalla tradizione precedente. Cosa meglio dei diritti umani si presta alle rivendicazioni c.d. identitarie, quindi uomini contro donne, immigrati contro autoctoni, omosessuali contro eterosessuali, tutte cose che non possono che essere ben viste dalle classi dominanti in quanto spostano, per fare l’esempio della prima coppia, il problema della differenza di classe a quella della differenza di genere (che è interclassista) [4]?

Il terzo errore è che per combattere il nemico, il femminismo, non si possa essere di sinistra. Come se dichiararsi di sinistra, nel senso specificato sopra ovviamente, ma antifemministi sia una contraddizione, mentre dichiararsi di destra (con le attuali paturnie della presidente del Consiglio sul ddl femminicidio, precedute dalla nomina di una femminista dichiarata a garante dell’infanzia) sia perfettamente compatibile esserlo e non porta a nessuna contraddizione. Sembra quasi che dietro chi dichiara di “essere di sinistra” si debba per forza intravedere il profilo inconfondibile di Elly Schlein? Certo perché “sinistra” oggi è Elly, Clancy (vicesindaco, divenuta celebre per certi manifesti che non gli piacevano), Merola (sindaco, che ha invocato l'”odio della destra”) e il placido Bersani (con il suo pacioso accento sembra sempre dire “noi siamo dalla parte giusta”). Affermare questo significa non aver compreso bene il livello al quale l’ideologia femminista è penetrata nelle istituzioni liberaldemocratiche europee e mondiali (con le dovute eccezioni di alcuni paesi… per fortuna), questo è simile alla pia credenza che Trump rimetterà tutto a posto e salverà il mondo (da cosa? Prescindendo che a lui sembri interessare solo l’America dalla quale se continua così rischia di essere espulso come un corpo estraneo).

Spesso mi è stato detto, quando mi sono occupato di padri separati, “perché non facciamo un partito?“. Un partito politico non può limitarsi ad un’unica istanza sociale, esso deve prendere posizione su ogni aspetto del mondo attuale compresa la geopolitica o le tasse. Abbiamo avuto l’esempio lampante del M5S il quale è nato come somma di diverse istanze a volte in contraddizione tra loro, ha raggiunto un massimo e poi si è spaccato in mille rivoli, prima di trovare, per sopravvivere, una collocazione nell’ambito di una “sinistra” liberal anche se più critica rispetto ad un PD destrorso (partito che per quanto ci riguarda è un nemico).

Un movimento di opinione, quale di fatto è l’antifemminismo, non ha in linea teorica bisogno di un riferimento politico sia esso di destra o di sinistra, può ben essere apartitico finché resta un movimento, per cui che esso comprenda elementi di destra o di sinistra non ha un’importanza fondamentale. Al contrario chi appartiene ad un movimento di opinione non è necessariamente apartitico a meno di non credere all’illusione di un’Aventino o rifugiarsi nell’apolitico o antipolitico, nel rifiuto stile “black pill”, la qual cosa evidentemente crea un distacco che porta all’isolamento danneggiando alla fine il movimento stesso. Chi dice di “essere di sinistra” si appoggia ad una precisa tradizione di giustizia sociale o eguaglianza che è, nel suo pensiero o sentire, più congeniale a combattere il nemico, ma non ha, come detto, nulla a che fare col “centrosinistra” italico o crede ancora nel materialismo storico. 

Un movimento d’opinione ha poi bisogno di associazioni, alle quali chi è danneggiato dalle conseguenze dell’ideologia femminista può rivolgersi per aiuto; convegni, nei quali esporre le proprie tesi;  manifestazioni in piazza, manifesti per le strade e un rapporto con la società reale, che non sia esclusivamente virtuale (questo è la ragione per cui L’Interferenza e Uomini e Donne in Movimento hanno deciso di promuovere un convegno dal vivo). Fare un’eccellente divulgazione online e una buona raccolta dati ha enormi meriti, ma non basta.

 [1] Marco Revelli, Le due destre, Bollati-Boringhieri 1996.

[2] Cito da una nota di Alessandro Visalli presa da un articolo su questo sito: “alcune declinazioni della tradizione marxista, in particolare sulla linea delle concrete rivoluzioni nel Novecento (ovvero quella da Lenin a Mao, e poi il marxismo caraibico, quello africano e via dicendo), e riarticolazioni teoriche (il marxismo newyorkese di Baran e Sweezy e la seguente “teoria della dipendenza” di provenienza sia Sud Americana sia Africana o le teorie del capitalismo razzializzato e post-coloniale intorno a figure come Maurice Thorez, José Carlos Mariategui, Ceril James, Huey Newton, Amilacar Cabral, Raymond Williams, Gayatri Spivak, e altri) hanno cercato di superare alcuni di questi limiti. Limiti riconducibili soprattutto alla posizione storicista, teleologica e universalista che presuppone il modello Occidentale storicamente dato come modello”.

[3] Alessandro Visalli, Classe e partito, Meltemi 2023.

[4] Tanto per dire l’intervento di Andrea Zhok, al convegno del 15 marzo, era dedicato proprio a questo distacco tra le tendenze identitarie, nate già col sessantotto, da quelle della sinistra classica.

Fonte foto: da Google

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