Biomercato

Il biopotere è stato sostituito dal biomercato, il neoliberismo gestisce la vita umana, ne astrae l’essenza,  il DNA,   per immetterlo negli  affari. La vita diminuita è in vendita, il mercato sembra sempre più simile alle anime morte di Gogol, tutto è in vendita i morti, i vivi ed i trapassati. Se il mercato è tutto, ogni forma di vita è assimilata ad essa al punto che siamo nella condizione di una notte in cui tutte le vacche sono nere, secondo la nota affermazione di Hegel. La notte che ci avvolge è il mercato, la privatizzazione della vita induce a trasformare ogni possibile espressione di essa in mercato. In un tale contesto la vita è niente e il plusvalore è tutto. Il tramonto della filosofia e degli studi classici impedisce che si abbiano strumenti per decodificare il sistema, sono sostituiti dagli studi specialistici e tecnici che formano alla parcellizzazione della vita.

L’incidente di Mottarone è stato abilmente isolato dal suo contesto, la verità è più terribile della già cruda cronaca. Il disprezzo per la vita è l’abitudine quotidiana del neoliberismo, la competizione e la riduzione di ogni vita alle sole potenzialità economiche ha contribuito ad indurre  gli artefici al crimine. Le responsabilità individuali non possono essere scisse dalle responsabilità sociali.

La filosofia ed i classici sono oggetto di attacchi perenni, perché insegnano una visione olistica del reale che diviene razionale, in quanto ogni elemento è riportato al contesto, ci parla dello stesso e ne denuncia verità e contraddizioni. Lo scientismo imperante insegna la forma mentis settoriale, in tal modo ci si abitua a separare gli eventi ed i fatti al punto che la razionalità profonda non emerge, e quindi il sistema può continuare a nutrirsi delle sue menzogne e delle sue funambolesche astrazioni. La razionalità profonda ci consente di scendere nell’abisso di settantamila piedi, come affermava Kierkegaard nello stadio religioso, e di restarci per capire l’inaudito in cui siamo e versiamo.

La vita è in vendita, lo Stato arretra dalla sua funzione sociale e comunitaria per essere il mezzo mediante il quale il biomercato regna. Il caso dei centenari in Sardegna è esplicativo dello Stato asservito all’economia. In Sardegna vi sono realtà rurali con un numero statistico elevato di centenari. Tutto si trasforma in denaro e censo. Gli studi e i DNA delle popolazioni  sarde sono state vendute ai privati. Vendere il DNA dei cittadini della propria patria per premettere ai privati di studiarli e ricavarne informazioni, medicinali e  diete per ricchi è un obbrobrio che conferma il disprezzo per la vita comunitaria. L’odio di classe proviene dall’alto e traduce la plebe in occasione per la pecunia infinita. Nel 2016 la società inglese “Tiziana Life Sciences” (quotata in Borsa e amministrata da un italiano)  si è comprata i campioni biologici e tutti i segreti contenuti all’interno con appena 258 mila euro. Si usa la storia genetica e culturale del paese per migliorare la vita di pochi ricchi. Il DNA è un affare che con poco denaro potrebbe procurare immensi guadagni. Lo Stato vende la popolazione a pochi spiccioli, non si perita di studiare il DNA dei centenari e della popolazione contestuale per il benessere della nazione e dell’umanità. Ancora una volta è la legge del mercato ad entrare nella carne e a succhiarne la linfa vitale per poterla rivendere. Non a caso le cronache riportano  il furto del DNA con il furto delle 25 mila provette sparite dalle stanze sterili del parco Genos di Perdasdefoguh (Nuoro) nel 2017. Il capitalismo non ruba solo le informazioni su comportamenti ed abitudini tramite i mezzi mediatici, ma capitalizza la vita, si fa beffa di ogni legge sulla privacy ed etica. In tale contesto in cui la vita è all’asta nessuno è al sicuro, ma ogni vivente è sotto la lente di ingrandimento del capitalismo assoluto, il quale ha perso la logica delle differenze, per cui ogni manifestazione vitale umana o non umana è tradotta in piano di investimento.

 

Il dramma è dentro di noi

Il dramma reale è che il capitalismo non vive fuori di noi, ma è in noi, ci abita nel linguaggio come nella percezione ed intenzionalità orientate alla sola quantità. Uscire dalla tragedia presente è possibile, ma ogni elaborazione di alternative deve partire da tale assunto incontrovertibile. Dinanzi alla vita offesa la risposta non può essere solo di tipo economico, ma dev’essere radicale, deve svelare i fondamenti nichilistici dell’assetto liberista per poter spiegare e denunciare le tragedie quotidiane ed ordinarie, le quali non sono l’effetto di un caso, ma sono organiche e coerenti con un’ideologia del disprezzo dell’umano, dell’ambiente e della vita. Il primo passo fondamentale per uscire dal linguaggio della violenza è trascendere le logiche dicotomiche ed astratte, poiché non consentono di capire e quindi neutralizzano l’indignazione ed il giudizio critico. Senza una rivoluzione culturale ogni esperienza riformista non potrà che fallire, in quanto se la struttura razionale resta invariata riforme e progetti politici non possono che durare lo spazio di un mattino:

L’intelletto astratto ama le dicotomie, vive di dicotomie, si nutre di dicotomie, e la ragione sta in ciò, che per loro natura le dicotomie sono paralizzanti, portano a ciò che si chiama in filosofia “antinomie”, in modo che la manipolazione classista dell’irrigidimento antinomico porta alla conclusione che non c’è niente da fare in pratica, in quanto qualunque azione sarebbe unilaterale, e porterebbe da Scilla a Cariddi. Una di queste antinomie è l’opposizione frontale fra il progressismo ed il tradizionalismo. Se il comunitarismo vuole essere qualcosa, deve cominciare ad essere un superamento reale della dicotomia Progresso/Tradizione. L’ideologia del progresso era estranea agli antichi ed ai medioevali, almeno come la conosciamo noi, ed è un prodotto integrale delle origini della egemonia borghese e del mondializzarsi del mercato capitalistico. L’ideologia del progresso non ha nessuna universalità e nessun universalismo, ma nel suo insieme rappresenta la razionalizzazione falsamente universalistica delle pretese di estensione a tutto il mondo dell’occidentalismo individualistico e capitalistico[1]”.

La concretezza filosofica è un sentiero possibile per emanciparsi dalla razionalità astratta che col  suo integralismo rende il reale irrazionale al punto da minacciare la vita del pianeta nella sua interezza. Guardare la realtà nella sua brutale interezza e verità è un’ulteriore difficoltà di cui si deve tener conto per elaborare un nuovo processo. Le premesse sono fondamentali per ogni nuovo inizio, senza la lucidità dell’incipit ogni percorso può essere inficiato, malgrado le buone intenzioni politiche e programmatiche.

[1] Costanzo Preve, Filosofia e politica del comunitarismo Riforma, rivoluzione e conservazione, paragrafo III pag. 3

Progetto SharDna, un incontro a Villa Devoto - La Nuova Sardegna Nuoro

Fonte foto: La Nuova Sardegna (da Google)

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