Cosa ci dice la vicenda dei sette Tiepolo acquistati da Alessandro Benetton

Premesso che, dopo l’acquisto da parte di Alessandro Benetton delle sette grandi tele del Tiepolo, ancora godibili nelle sale del Centro Palladio a Vicenza, il Mibact è corso ai ripari avvalendosi del diritto di prelazione per acquisirle e farne un bene artistico di proprietà dello Stato e quindi pubblico, la vicenda induce a delle riflessioni necessarie e agli insegnamenti che se ne possono trarre.

Ricostruiamo rapidamente la storia degli affreschi dei Tiepolo a Villa Valmarana Franco ai Nani di Vicenza. Giandomenico con il padre Giambattista, nel 1757, furono incaricati dal proprietario, Giustino Valmarana, di realizzare una serie di affreschi per la Palazzina e la Foresteria. La villa comprende, infatti, anche la Scuderia nei suoi tre edifici circondati da un parco in cui, all’epoca, erano disseminati 17 nani, ora posti sul muro di cinta della proprietà

passata alla famiglia Franco e tuttora sua.

 

Giambattista Tiepolo si dedicò agli affreschi della Palazzina, prediligendo temi epici con episodi famosi dal forte impatto emotivo quali Il sacrificio di Ifigenia, nella sala omonima, o nella sala dell’Iliade la vicenda di Briseide, tolta ad Achille e condotta dal suo nuovo padrone, un maestoso Agamennone, contro cui nulla può l’ira del guerriero trattenuto per i capelli da Minerva e confortato dalla madre Teti.

Giandomenico intervenne in questa sala dipingendo la scena campestre dell’ultima parete. La sua mano diversa dal padre, è visibile nella Foresteria, composta da sette stanze interamente affrescate. In questi ambienti, è possibile ammirare contemporaneamente la grandezza dei Tiepolo e di compararne lo stile. Tuttavia, i sette lavori che sono stati oggetto dell’acquisto di Alessandro Benetton, furono realizzati venti anni dopo per una seconda committenza, rappresentata da Gaetano Valmarana, figlio di Giustino.
L’esecutore è Giandomenico che cambia il suo registro artistico, sotto l’influsso palladiano, volgendosi a una pittura monocroma e teatrale. Il che amplia il valore di queste opere per la intrinseca creatività di Tiepolo che si lega allo splendore dell’architettura di Andrea Palladio.

 

 

La villa, nel ‘900, nella bufera della seconda guerra mondiale, fu custodita dal figlio di Giuseppina Valmarana, l’ingegnere Fausto Franco, soprintendente di Trieste. Egli, temendo trafugamenti, dispersioni, bombardamenti, si adoperò con tutte le sue forze presso la Soprintendenza di Vicenza affinché fossero messi in salvo gli affreschi di famiglia. Un’operazione complessa che richiedeva perizia tecnica e spese notevoli. L’infuriare della guerra, le sue devastazioni, mal si conciliavano con le esitazioni del soprintendente vicentino. Dopo i gravi danneggiamenti subiti dal palazzo dei cugini Valmarana, adiacente alla villa, a causa di un bombardamento alleato nel marzo 1945, il soprintendente diede frettolosamente all’ingegnere Franco l’assenso verbale per “strappare” gli affreschi e metterli al sicuro. Operazione eroica e commovente per l’imponente preparazione e movimentazione dei dipinti. Alla fine, 17 “strappi” di Villa Valmarana, giunsero integri a Venezia.
Fausto Franco fu un salvatore. Certamente pensò ai beni di famiglia ma non lo mosse unicamente una gloria ristretta e avida. Il suo sguardo, probabilmente, si proiettò al dopo, a quando tutto sarebbe finito, e ai posteri a cui non precludere la sorte di vedere il segno luminoso dell’arte italiana del ‘700. Una ipotesi di lungimiranza a cui non seguì la previdenza di vincolare alla città di Vicenza le suddette opere. Che furono sparpagliate. Nel 1972, nella casa di Giustino Franco, ricomparvero solo sette degli affreschi. Dal 2017, i discendenti Franco hanno messo a disposizione della fruizione collettiva i dipinti superstiti” nel Palladio Museum di Vicenza. Esiste anche un comodato con Palazzo Barbaran per la durata di quattro anni.

 

Arriviamo a maggio 2021. Gli eredi rimasti della famiglia, decidono di vendere per 1.850.000 euro, le sette tele ad Alessandro Benetton.  Il resto è noto.

Prima di chiudere qualche domanda:
Dov’era lo stato quando avvenivano tali trattative? Perché non si è pensato a vincolare le opere a Vicenza? Come è possibile che in un paese così ricco di un patrimonio inestimabile, da tutelare per il bene di tutti, si debba correre ai ripari dopo e non agire prima per impedire certe storture?

La Bellezza ha un valore assoluto, ideale, al di là del tempo e dello spazio. Ma se il suo godimento avviene in cerchie di pochi, magari straricchi, è sterile, non produce frutto, non educa, non fa emozionare e sussultare. Resta un piacere solitario e triste. Al contrario, quando è condivisa, essa risplende, sorride e consola tutti, chi potrebbe comprarsela e chi non ci riuscirebbe neanche se vivesse cento vite.
L’ingegnere Franco sottrasse alla follia devastatrice della guerra quelle meraviglie, con caparbietà e coraggio. Di questo gliene siamo grati. Di meno a chi dimentica che la bellezza è crescita collettiva, è filantropia, è civiltà, è democrazia.

Concludendo, a proposito della dispersione di tante opere d’arte nel nostro paese, come non ricordare una donna straordinaria, la cui storia varrebbe la pena di studiare e approfondire? Si tratta di Anna Maria Luisa de’ Medici, detta Ludovica in famiglia. Conosciuta come l’elettrice palatina giacché aveva sposato Giovanni Carlo Guglielmo I, Principe Elettore del Palatinato, dopo la morte del fratello Gian Gastone, ultimo granduca di Toscana che sarebbe passata ai Lorena, guidata da una volontà ferrea, da una finissima intelligenza, da un amore immenso per l’arte, nel 1737 stipulò il Patto di Famiglia. In sintesi, con questa convenzione, la nuova dinastia regnante si impegnava a non portare fuori da Firenze il patrimonio artistico mediceo.
Si riporta di seguito, il terzo articolo del Patto, il più importante per la preservazione delle opere d’arte che i fiorentini, noi italiani, il mondo intero, possiamo ammirare in quello scrigno di tesori che è la città di Firenze :

«La Serenissima Elettrice cede, dà e trasferisce al presente a S.A.R. per Lui, e i Suoi Successori Gran Duchi, tutto il patrimonio ivi compresi Mobili, Effetti e Rarità della successione del Serenissimo Gran Duca suo fratello, come Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioie ed altre cose preziose, siccome le Sante Reliquie e Reliquiari, e loro Ornamenti della Cappella del Palazzo Reale, che S.A.R. si impegna di conservare, a condizione espressa che di quello [che] è per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri, non ne sarà nulla trasportato, o levato fuori della Capitale, e dello Stato del Gran Ducato».

Sette grandi tele del Tiepolo finiscono in casa Benetton

Fonte foto: Il Fatto Quotidiano (da Google)

 

 

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