Giornalismo di regime

Il giornalismo di regime – grandi quotidiani, magazine, televisioni, riviste con firme ‘’prestigiose’’ – accusa i pubblicisti anti-sistema, ovvero tutti coloro che si oppongono al neoliberismo economico, di diffondere fake news e di fare propaganda per conto di paesi ostili all’occidente. Non si può essere giornalisti di successo e stimati (emarginati, derisi senz’altro…) se si sostengono posizioni politiche non pregiudizialmente ostili alla Russia, alla Cina e ovviamente anti-sioniste. Quest’accusa, grave ed insensata, pone alcuni problemi seri che non possono essere elusi.

La contrapposizione al capitalismo e all’ imperialismo è legittima, degna di lode ed ammirazione, date le gravi conseguenze. Un giornalista, oppure uno scrittore, un blogger o un editore hanno il sacrosanto diritto di essere dei socialisti, di criticare le politiche imperialistiche statunitensi e di denunciare il colonialismo israeliano. In occidente il comunismo ed il socialismo non vengono sanzionati per legge – sarebbe il colmo, dato che in Europa la liberazione dal nazifascismo la dobbiamo prevalentemente ai comunisti e ai socialisti – ma pagano la contrapposizione al neoliberismo, all’arroganza statunitense ed al razzismo sionista, con l’emarginazione politica. Molte volte, a causa di un clima insostenibile dettato da un conformismo sociale asfissiante.

Coloro che vogliono fare carriera come giornalisti devono avere una discreta puzza sotto il naso, un accentuato servilismo verso il potere, una fede demenziale nei confronti delle elite, diventare dei loschi figuri degni di entrare nella Fattoria degli Animali di George Orwell; dei maialini parlanti che, senza vergogna, si lasciano uscire di bocca insostenibili parole del tipo: ‘’Devono prendere decisioni soltanto le persone competenti, i titolati, il popolo è per definizione ignorante, non possiamo permetterci di sottostare al suo giudizio’’. Insomma, i giornalisti liberali somigliano alle bestiole di Animal Farm, fedeli al porco Napoleon, il dittatore di turno, ciò che i popoli meritano quando si fidano ciecamente delle oligarchie. L’animale, grasso e sporco, oggigiorno chi è? Il cittadino comune magari martoriato dalla crisi economica oppure il giornalista neoliberista, assoldato da editori miliardari come Berlusconi e De Benedetti? L’accusa di diffondere ‘’fake news’’ è una bestialità politica degna – a parti invertite – dell’opera di Orwell. Una “dittatura liberale”, fedele alla patria (nord-americana) della menzogna. I giornalisti venduti vanno tutti lì, anche senza essere convocati, rigorosamente in ginocchio. I neoconservatori dettano l’orizzonte strategico: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. Orwell ci aveva avvertiti.

Il grande informatore Julian Assange ha delineato la strategia dei giovani ambiziosi che vogliono intraprendere la carriera giornalistica. Bastano tre semplici mosse: (1) prendere un grande evento globale, (2) accusare la Russia di starne dietro, (3) massimizzare i profitti. Le sue dichiarazioni riprendono quelle, sempre molto puntuali, di Glenn Greenwald: “Le rivendicazioni infiammatorie riguardanti la Russia si accendono senza sforzo da parte dei media, quasi sempre basate su richieste prive di prove da parte di funzionari governativi, solo per crollare poi alla prima vera verifica, perché sono assolutamente… prive di prove”. Assange e Greenwald sono giornalisti investigativi diun certo calibro, ma il gruppo Repubblica – L’Espresso preferisce tradurre col linguaggio liberale gli sproloqui guerrafondai di Luttwak. Riempiti di dollari, scrivono per guadagnare, non hanno principi nè ideali e disonorano questa professione.

Orwell ha descritto molto bene il servilismo degli intellettuali, e prendendo alcuni suoi scritti è sufficiente sostituire URSS con USA (Israele sarebbe ancor meglio) per far quadrare il cerchio. Vogliamo provarci, leggete quest’analisi profetica: ‘’Questa contraddizione si può spiegare in un unico modo, e cioè con il desiderio vigliacco di stare dalla parte della maggioranza dell’intellighenzia, il cui patriottismo è diretto verso Israele (Orwell scrisse ‘’verso l’Urss’’) piuttosto che l’Inghilterra. So che l’intellighenzia inglese ha ragioni in abbondanza per la propria viltà e disonestà: conosco infatti a memoria gli argomenti che usano per giustificarsi. Finiamola però con le sciocchezze sul difendere la libertà contro il fascismo. Se la libertà ha un significato, è di poter dire alle persone ciò che non vogliono sentire’’. Gli intellettuali, accademici e giornalisti, italiani hanno uguali ragioni per essere vili e senza schiena dritta. L’americanismo ed il sionismo avanzano dietro la cortina fumogena dei giornalisti venduti, gli stessi che vorrebbero chiudere la rete, attaccando a testa bassa i blogger ed i pubblicisti indipendenti, mettendo il bavaglio, per conto delle lobby guerrafondaie, all’informazione libera.

Quanti giornalisti di La Stampa, Il Corriere della sera, La Repubblica o Il Giornale hanno mai criticato la politica imperialista israeliana? Israele, secondo il giornalista di Haaretz, Gideon Levy, è uno Stato del male, ma i pennivendoli di La Repubblica la difendono alla pari dei neoconservatori di estrema destra definiti – giustamente – neofascisti, dalla sinistra sudamericana. La schiena dritta è un dono di natura. L’hasbara sionista è la protesi ideologica della pulizia etnica della Palestina, l’ennesimo furto che si aggiunge ai tanti altri della storia. Nessun giornalista ne parla con consapevolezza. Le ‘’prostitute della carta stampata’’ omettono come le operazioni dell’estrema destra ‘’talmudica’’ richiamino molto da vicino – e gli storici dovrebbero saperlo – i massacri nazisti. Come mai? La lobby pro-Israele è davvero così potente oppure sono i ‘’nostri’’ giornalisti ad essere codardi? La domanda resta aperta.

Negli ultimi vent’anni i media hanno conquistato una anomala convergenza con gli interessi dei partiti conservatori, costringendo – ad esempio in America Latina – la sinistra a governare sotto le ‘’bombe mediatiche’’. La destra conservatrice sudamericana e la sinistra imperiale occidentale hanno fatto un blocco comune contro il patriottismo antimperialista bolivariano. Così facendo il giornalismo è diventato una stampella dell’imperialismo ostile al socialismo ed alla prospettiva di un mondo migliore. I giornalisti di ‘’sinistra’’ sono disposti ad ammetterlo? Mi aspetto da parte loro, quanto meno, un po’ di dignità; una timida ammissione sarebbe il minimo per guardarsi allo specchio la mattina. Leggiamo cosa scrive, nel merito, l’ex presidente dell’Ecuador, Rafael Correa: ‘’Le nostre democrazie dovrebbero essere ribattezzate <<democrazie mediatizzate>>. A volte, la stampa ha un ruolo più importante dei partiti politici nei processi elettorali: quando la sinistra è al governo si converte nella principale forza di opposizione, rappresentando il potere dei conservatori e del settore privato. Ha trasformato lo Stato di diritto in Stato di opinione’’. Che cosa dire dei mass media italiani i quali, durante l’ultima campagna elettorale, hanno fatto di tutto per pompare (fortunatamente senza successo) le organizzazioni neofasciste ed anti-immigrati creando una pericolosissima dicotomia: neoliberismo ultra-capitalistico o destra nazionalista ed imperialista? Il populismo democratico ed anti-neoliberista – sul modello sudamericano – potrebbe essere, nell’attuale fase storica, una degna soluzione per i lavoratori e i ceeti popolari, ma i media preferiscono ovviametne appoggiare le forze reazionarie ed oscurantiste. Il Pd è il maggior responsabile del declino, politico e morale, di questo paese.

Il centro-sinistra getta benzina sul fuoco neofascista – oramai confluito nella destra nazionalista, dalla Lega Nord a Fratelli d’Italia – facendo passare per ‘’populista’’ (il populismo non è un blocco monolitico, ma ha diverse correnti fra cui alcune componenti antimperialiste) qualsiasi istanza di libertà, giustizia sociale e di critica al neoliberismo. I media tradizionali fanno eco al sionismo e all’imperialismo USA trasformando le operazioni sporche della CIA in ‘’difesa della democrazia’’. La NATO è una organizzazione finalizzata alla guerra ma la sinistra imperiale l’appoggia; vergogna ai radical chic. Questi “maialini”, ritornando ad Orwell, riferimento imprescindibile, sono impresentabili, il popolo li detesta e ha ragione.

I governi progressisti ed i movimenti antimperialisti subiscono continui attacchi da parte delle elite e dei mass media che strumentalizzano ogni loro minimo errore. La sinistra di classe deve aprire una riflessione autocritica e rilanciare un programma anticapitalista, rivolto ai lavoratori e ai ceti piccolo e medioborghesi. Il giornalismo deve essere democratizzato. La lezione più grande lezione di Orwell, volta alla realizzazione di una società decente, è proprio questa.

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-julian_assange_vuoi_essere_un_giornalista_occidentale_nel_2017_facile_bastano_queste_tre_mosse/82_21699/

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Foto: greenMe (da Google)

1 commento per “Giornalismo di regime

  1. Alessio
    28 Marzo 2018 at 12:56

    Ricordiamo il senso delle parole di George Orwell (…) a proposito dei tentativi del potere di legittimare il dominio e difendere l’indifendibile attraverso l’utilizzo di eufemismi, tautologie, oscurità e vaghezze. I differenti predicati non mettono in discussione le cause strutturali del sottosviluppo, aggiungendo al più, inefficaci e contraddittorie preoccupazioni di carattere sociale o componenti ecologiche alla crescita economica, allo stesso modo in cui si era aggiunta in passato una dimensione culturale. In tal senso lo sviluppo si articola in veri e propri ossimori, come nel caso del sintagma “ingerenza umanitaria”, un’ingegnosa alleanza di parole contraddittorie a giustificazione di paradossali unioni fra la violazione del diritto internazionale, la violenza e il conflitto, con la compassione; la legge del più forte con l’assistenza ai più deboli; la pace con la guerra; la scorta armata con il carattere neutro delle azioni, la crescita con l’ambiente; lo sviluppo con la riduzione delle disuguaglianze, la partecipazione con il controllo [Malighetti R., a cura, 2005, Oltre lo sviluppo, Roma, Meltemi].

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