Idea della morte e ri-politicizzazione

Non importa qui e ora stabilire quanto in realtà il virus sia letale. Diventa essenziale comprendere che si affaccia una novità non solo nella vita quotidiana degli esseri umani ma anche nella loro percezione dell’esistenza. Percezione in netto contrasto con narrazione neo-liberale dell’eterno presente.

La sensazione – dopo anni di propaganda sull’eterna giovinezza dell’uomo nuovo liberale – che la morte sia parte integrante della stessa vita, scardina in un colpo solo le credenze quasi divinizzate dell’esistenza votata all’interesse personale. Quell’interesse che dovrebbe, nell’idea moderna di relazioni sociali, portare l’individuo a non interessarsi agli altri e perseguire pervicacemente il massimo godimento istantaneo che è un surrogato esistenziale del massimo profitto.

Il mito del restare “giovani dentro” ha sotterrato quest’idea di finitezza perché l’individuo deve vivere più vite in una e aspirare così a un’eternità terrena. Così la mobilità, il rifiuto di avere radici, ha reso noi tutti allergici ai rapporti durevoli. Questi si devono adattare alle mutate aspirazioni personali. E’ ovvio che un’idea così folle non può che assecondare la completa de-politicizzazione della società. Si asseconda passivamente e in maniera nichilista il quadro esistente e si assorbe istintivamente il meccanismo di comando del capitale. Gli apriorismi del mercato libero e globale che mi muove indisturbato si interiorizzano.

Senza l’idea che la morte è presente e che è accadimento a noi tutti familiare è impossibile costruire nessi sentimentali. Per questo oggi l’anziano diventa un costo sociale. Quei nessi non si sviluppano solo all’interno della vita intima dell’individuo ma compongono anche le strutture collettive. Non esiste politica senza l’idea più alta di partecipare a una comunità di esseri umani che, slegati dal mero interesse personale, vivono in maniera duratura rapporti interpersonali che sostanziano la lotta politica.

Non appena la realtà della vita – che comprende anche la sua fine – si riaffaccia in maniera così determinata diventano ridicole queste patetiche rappresentazioni di politici dediti al giovanilismo rampante. Dallo scimmiottamento del manager cosmopolita di un Renzi all’arroganza verbale del ragazzo da strada di un Salvini ( e sono solo due esempi). Diventano figure caricaturali. Perdono di senso immediatamente i partiti personali, i tecnici inglesizzati, la meritocrazia, la competitività, il marketing.

Solo se i rapporti durevoli, costanti – non necessariamente simpatici – tornano a strutturare l’esistenza i partiti, i sindacati, i corpi intermedi potranno ridefinire in senso non utilitaristico la società.

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Fonte foto: La Repubblica (da Google)

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