Dal dialogo fra Matteo Salvini e Alain de Benoist all’evoluzione lepenista dell’Alberto da Giussano
Superando il 6%, la Lega Nord di Matteo Salvini si posiziona al quarto posto nella graduatoria dei partiti più votati dagli italiani alle elezioni europee 2014. E dire che il Carroccio che gli era stato lasciato era traballante, piagato da un lascito tutt’altro che nobile: le diatribe di potere dell’ultima gestione del senatur Bossi nel “cerchio magico”, capace di svendere gli obiettivi del partito per il piatto di lenticchie berlusconiano, le vergognose figure mediatiche dell’illetterato figlio Trota e soprattutto i fatti di malaffare che hanno coinvolto un partito esploso nel 1992 per archiviare le ruberie pentapartitiche, e le collusioni a livello locale con la ‘ndrangheta calabrese. Neanche il partito 2.0 del governatore della Lombardia Roberto Maroni era riuscito a risalire la china in così poco tempo. Il trionfo salviniano e della sua nuova Lega è avvenuto grazie ad un forte spostamento a destra dell’asse ideologico del partito. La campagna “no euro” è stata importata attorno ad una piattaforma nazionalpopulista simile a quella di soggetti populisti di destra come il Fpö di Heinz-Christian Strache, l’erede del “fascista yuppie” Jörg Haider, di Marine Le Pen e del suo Front national, del Pvv di Geert Wilders e dei localisti fiamminghi del Vlaams Belang, con cui la Lega ha rapporti, opzione che ha senz’altro pagato in termini di voti. Appena confermato il boom leghista, Salvini ha subito incontrato la leader populista francese per un faccia a faccia per discutere sulle mosse da coordinare assieme a Strasburgo. «Il nostro e’ un clamoroso risultato, ci davano per morti – sono le prime parole del segretario leghista –. Ci dicevano che eravamo estremisti e invece abbiamo fatto una campagna elettorale moderata, basata sui contenuti e siamo stati premiati. Grillo invece ha ‘sbroccato’ e i risultati si sono visti?». «Voglio parlare col 40% degli italiani che è rimasto a casa che a Bruxelles saremo alleati con Marine Le Pen», toccando così pure il nodo scoperto dell’astensionismo, sottovalutato da una stampa asservita all’altro Matteo, Renzi, il premier rottamatore. L’apparentamento con il Die Freiheitlichen, partitino nazionalpopulista sudtirolese che si ispira al Fpö, conferma ulteriormente tale svolta in senso lepenista: ma da dove parte? Per capirlo bene dobbiamo fare un salto indietro di qualche mese, durante le primarie del Carroccio, quando il rampante Salvini sfida l’anziano Bossi. È lì che il giovane candidato, con l’aiuto di alcuni circoli culturali di area «fascio-leghista», costruisce l’immagine della Lega Nord come di un partito vicino alle posizioni anti-euro di Marine Le Pen.
Siamo a Milano, ed è la sera del 2 dicembre 2013. Il convegno inizialmente si sarebbe dovuto svolgere nella Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi. Ma non era abbastanza capiente, e il pubblico milanese, circa duemila persone fra quelli seduti e quelli in piedi, composto principalmente da militanti della Lega Nord e di Fratelli d’Italia e qualche esponente della destra radicale meneghina (come Marco Mantovani, segretario milanese di Forza nuova), è stato fatto convergere nella più capiente Sala del Consiglio Provinciale. Motivo dell’incontro? Il circolo culturale “Il Talebano”, diretto dal giovane moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6–Milano per la Lega Nord, ha indetto il terzo di una serie di incontri coi vertici del Carroccio alla presenza del candidato alla segreteria del partito ed eurodeputato Matteo Salvini, lo studioso di economia Marco Della Luna e il filosofo di punta della Nouvelle droite francese Alain de Benoist (il cui intervento si fondava sul libro Sull’orlo del baratro, edito nel 2012 dall’Arianna Editrice di Eduardo Zarelli, casa editrice bolognese “non conforme” che da voce non solo alla Nuova destra, ma che si occupa di localismo, bioregionalismo, “ecologismo profondo”, decrescita, critica all’economia finanziaria, signoraggio bancario e antimodernità). Incontro, quindi, successivo a quelli col giornalista Massimo Fini – fondatore del Movimento zero, il cui Manifesto dell’antimodernità è firmato anche da de Benoist – e con Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore siciliano un tempo di area nazional-alleata, avvicinatosi poi alla Fiamma tricolore di Luca Romagnoli e “infatuatosi” infine di CasaPound e del movimentismo dei «fascisti del III millennio».
Il tema del convegno – attualissimo – era «La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli». Fra il pubblico – ma era presente solo per salutare il filosofo e scappare subito dopo a Bruxelles a una seduta del Parlamento europeo – il plenipotenziario e tramite fra il Carroccio e le destre radicali europee, Mario Borghezio. Una serata interessantissima. Non solo per le critiche e le analisi fatte sul sistema economico liberista impostoci da Bruxelles – condivisibili da chiunque non sia un banchiere o il titolare di una multinazionale – esposte da Della Luna e da de Benoist, ma per l’intervento conclusivo di Matteo Salvini, in corsa alle primarie del Carroccio e, a metà dicembre 2013, incoronato segretario di un partito populista in piena evoluzione, e risalito sulla cresta dell’onda alle ultime elezioni europee.
L’economista Marco Della Luna – che per i tipi di Arianna Editrice ha pubblicato diversi libri contro l’Ue e la dittatura delle banche (come Euroschiavi e Cimiteuro) – e il filosofo Alain de Benoist – cofondatore del Grece, il Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne, principale think tank della Nouvelle droite, fautore dell’”Europa dei popoli” regionalista – dopo aver ricordato assieme al moderatore Sofo un «anticonformista» scomparso di recente, il filosofo marxiano Costanzo Preve, hanno iniziato il loro interessante intervento descrivendo gli elementi storici che hanno contribuito a creare le odierne condizioni del Turbocapitalismo, un capitalismo dai tratti disumani, sconnesso dall’economia reale e disciplinato esclusivamente da logiche antinazionali e guidato da speculatori di borsa il cui obiettivo è quello di annichilire i popoli attraverso la morsa usuraia del debito pubblico. Questo “nuovo” liberismo, soggiogato ad una nuova classe di imprenditori senza più radici né legami di tipo territoriale, scaturirebbe quale inevitabile risultato di scelte politiche che negli anni passati, dagli anni ’80, hanno introdotto la progressiva deregolamentazione e la successiva delocalizzazione. Gli interessi del debito pubblico, che crescono esponenzialmente e che costituiscono un peso sia per gli Stati che per le future generazioni, sono il mezzo che i vertici dell’Unione europea – vertici che nessuno ha mai eletto, e che si ergono a tecnocrazia sui popoli d’Europa – hanno per assoggettare un’Europa in crisi economica, a cui si aggiunge l’immigrazione dal Terzo Mondo, con le multinazionali che, in crisi di profitto, affamano quei paesi determinando le cause per una migrazione di popolamento deleteria per loro e per i popoli autoctoni. La Nouvelle droite, dalla metà degli anni ’80, in un’opera di restyling ideologico, ha smussato i toni apertamente reazionari degli inizi al punto di perdere settori non indifferenti del Grece, capaci di accusare il filosofo di esser diventato «comunista». De Benoist iniziò a rompere, almeno ufficialmente, col neofascismo europeo nonostante la sua militanza nell’Oas, esperienza che si fondava sulla nostalgia della grandeur francese in Algeria e sul razzismo biologico, che presupponeva la superiorità dell’uomo bianco. Come spiegavo in un’altro mio scritto, Alain de Benoist
«abbandonò questo approccio per il cosiddetto differenzialismo etnopluralista “culto della differenza”, sposando l’antimondialismo/antiglobalizzazione, fenomeno che impoverirebbe il Terzo Mondo, innescando sia l’immigrazione che il melting-pot imposto, cioè l’Occidentalismo e American way of life. Il Grece abbandonò anche il culto acritico verso la scienza e verso il progresso illimitato (positivista e progressista, senza però tornare ad un bieco reazionarismo) e l’idea secondo cui il nemico principale era il comunismo, ormai in crisi. Il nemico, da quel momento, erano gli Stati Uniti, che esportavano la loro democrazia col commercio, con la globalizzazione e con le armi, dando all’Europa l’aspetto di una Disneyland senza identità. Tutte critiche simili a quelle della sinistra radicale neomarxista. De Benoist, pur di rinnovare il Grece, iniziò ad interessarsi a dottrine nate a sinistra, come l’ecologismo, la decrescita e il comunistarismo, sintetizzandole con suggestioni identitarie di destra. Il filosofo arrivò a queste teorie dopo aver intavolato un dialogo proficuo con diversi intellettuali della “nuova sinistra”, come Alain Caillé e Serge Latouche, animatori del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali) e ideologi della “decrescita felice”. De Benoist, inoltre, iniziò a vedere con un certo interesse la nascita dei Verdi, precedentemente snobbati, a collaborare con «Telos», rivista della “sinistra critica” statunitense di Noam Chomsky, e ad animare da 1988 «Krisis», periodico aperto a personalità di sinistra».
Certi articoli del “maestro” e del “guru” della Nouvelle droite – come Alain de Benoist è stato definito da Salvini all’inizio del suo intervento – che si trovano su riviste di area grecista come «Éléments», «Nouvelle École», «Krisis» utilizzano la stessa identica sintassi antiliberista che potremmo ritrovare sulle pagine del quotidiano comunista «il manifesto» o su «Le Monde diplomatique», il mensile francese della «sinistra colta». Ma un’analisi accurata dell’intervento debenoistiano rivela che il pensiero del filosofo è tutt’altro che “progressista”. De Benoist attacca senz’altro il Turbocapitalismo alla pari di molti filosofi marxisti, ma lo fa arrivando a dire che è fenomeno «sconnesso dall’economia reale» e che per superarlo suggerisce di tornare alle comunità locali – suscitando il plauso del pubblico leghista, in astinenza di secessionismo dai tempi dell’alleanza con la Casa delle libertà – e ridare potere alle comunità interclassiste di «produttori» (perchè è questa, in centoni, la soluzione auspicata dalla Nouvelle droite e dai circoli vicini al Grece). Soluzione che non può che interessare il pubblico leghista, composto da moltissimi piccoli imprenditori spaventati per gli squilibri creati dalla globalizzazione, e che rivela la natura esplicitamente classista del suo pensiero che in teoria, col desiderio di creare una «terza via» tramite “nuove sintesi” fra valori di destra e di sinistra, supera idealmente le due categorie, ma nel concreto si sposta a destra dal momento che fa altresì leva su un pubblico radicato in una zona d’Italia (il Nord-Est) composto da un forte tessuto economico-sociale formato da piccole e medie imprese che, con l’appoggio alla Lega, inizia a percepire la regione come una sorta di «comunità d’interesse dei produttori padani» (in senso propriamente interclassista) e al contempo come una «comunità etno-culturale» (una «comunità di lavoro etnicamente coesa»).
L’analisi che de Benoist fa sulla crisi economica, è condivisibile solo a metà. Perché se è vero che il problema da una parte sono le banche, l’euro o il capitalismo finanziario apolide, l’analisi di de Benoist “dimentica” che il sistema produttivo vigente tout court è fondato sul libero mercato e sul sistema capitalista e, quindi, sul profitto. È superando tale modello che si uscirà dalla crisi, non replicando in forma ridotta all’interno degli steccati di una mitica “piccola patria” regionale o in una Europa dei popoli e dei produttori, autarchica verso l’esterno ma altrettanto liberista e produttivista verso l’interno in una realtà localista in cui comunque si perpetra lo sfruttamento del lavoratore. La soluzione euro-federalista auspicata da Alain de Benoist inoltre, si appella a valori ancestrali e tradizionali, cioè il Mito dell’Impero che affonda le sue radici in quello carolingio e ghibellino. Nel libro L’Impero interiore,che raccoglie alcuni saggi sul mito, l’autorità e il potere in Europa, la riflessione del filosofo normanno parte dalle primissime forme storiche di consenso e di autorità politica – riprendendo temi dal libro Rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola, la “bibbia” del tradizionalismo antimoderno, anch’egli alfiere di un’Europa imperiale e federale –, per approdare alla visione di un nuovo autoritarismo imperiale capace di garantire tutte le differenze comunitarie ma anche una capacità superiore di sintesi. La polemica anti-illuministica della Nouvelle droite è fondamentale: la scomparsa del mito in nome della razionalità e dell’approccio materialista è una perdita per l’Europa, mentre il mito invece è un patrimonio fondamentale ed è sempre spendibile – anche a livello politico – per vivificare il sistema di relazione tra individui e comunità etniche che animano il Vecchio continente. Il riferimento al mito è presente da sempre nella Nuova destra, come spiegava Marco Tarchi nel 1981 al convegno «Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale». L’esponente neodestrista sottolineava l’urgenza del «saper creare miti fondatori, quindi di aver capacità mitopoietica, e di saper esprimere una liturgia, una sorta di rito comunitario». Così il mito irrazionale dell’Impero, nella lettura fatta da de Benoist, è la risposta alla crisi di rappresentanza e di investitura che costituiscono il punto debole dell’Europa liberale nata a Maastricht: «L’Europa può realizzarsi esclusivamente sulla base di un modello federale, ma un modello federale portatore di un’idea, di un progetto, di un principio, cioè in ultima analisi secondo un modello imperiale».
Ma è l’intervento di Matteo Salvini a interessarci maggiormente. Perché è questa la tappa fondamentale – assieme ai precedenti convegni indetti dal circolo “Il Talebano” – della citata svolta lepenista del Carroccio. Nel suo intervento – e nelle interviste rilasciate fuori da Palazzo Isimbardi – egli traccia le alleanze europee della “sua” personale Lega Nord partendo dall’alleato più forte, il Front national di Marine Le Pen (il politico non fa riferimenti, però, al piccolo Bloc Identitaire, che si ispira esplicitamente al Carroccio, per ovvie ragioni di convenienza. Fra il “nano” regionalista e un “gigante” nazionalista, Salvini, che pragmaticamente vuole rilanciare un partito in crisi, opta per chi è vincente, ovvero il Front national, che in Francia avanza, arrivando al 26% sottraendo voti al politicamente corretto Françoise Hollande e mietendo consensi fra i lavoratori) e gli altri partiti populisti, alcuni dei quali, come il Vlaams Belang o il Fpö intrattengono da tempo rapporti col neodestrismo: si pensi all’europarlamentare austriaco Andreas Mölzer, ex consigliere politico ed ideologo di Haider, amico di Borghezio e teorico della «Neue Rechte», colonna del mensile neodestrista schmittiano «Zur Zeit» e curatore, assieme a Jürgen Hatzenbichler, del saggio Europa der Regionen, che comprende scritti del leader del partito e di Bossi. Questa alleanza escluderebbe sia gli ungheresi di Jobbik che i greci di Alba Dorata, liquidati da de Benoist in quanto «impresentabili» perché filonazisti. Un’unità composita di elementi politici destrorsi così diversi fra loro, che va dai localisti etnoregionalisti della Lega, del Vlaams Belang e del Fpö, ai nazionalisti del Front fino ai “libertari” del Pvv, antislamici perché nel mondo musulmano le donne non hanno diritti, aperti sostenitori delle battaglie abortiste, ha come minimo comun denominatore la creazione di un’“Eurodestra” al Parlamento europeo, e non il localismo o il regionalismo. Per queste battaglie – e lì si che il Bloc Identitaire di Fabrice Robert servirà un domani – c’è sempre tempo. Ora il nemico comune è l’Unione europea. Poi si vedrà. Perché «Se per portare avanti certi temi a cui tengo – ha detto Salvini – come un’idea diversa di Europa, devo ragionare con la destra, ci ragiono volentieri».
Salvini inizia indossando virtualmente il berretto rosso dei bretoni, evocativo delle rivolte fiscali nella Francia del XVII secolo e che hanno infiammato la Bretagna per alcune settimane nell’ottobre-novembre 2013, modello per le manifestazioni del Movimento dei forconi in Italia, scoppiate qualche giorno dopo il convegno, che hanno visto, come in Francia col sostegno diretto della Le Pen, la presenza dell’estrema destra. Quella dei berretti rossi, si noti bene, è stata definita da de Benoist in un’intervista rilasciata al periodico online Barbadillo.it come una legittima e inevitabile rivolta contro il Turbocapitalismo. E Salvini il berretto rosso lo “indossa” proprio a suggello dell’alleanza ideologica con il teorico del Grece, dato che è tempo «di iniziare a fare sul serio» e le proteste antifiscali contro Hollande sembrerebbero offrire un ottimo pretesto al leghista rampante. Salvini, infatti, annuncia per il prossimo futuro azioni dimostrative contro Roma e contro l’eurodittatura di Bruxelles: «Dobbiamo prendere esempio dai berretti rossi bretoni che sono scesi in piazza in massa contro l’ennesima imposizione fiscale, loro non si limitano ad urlare ma bloccare le autostrade e immobilizzano la Francia. E alla fine il governo Hollande ha dovuto cedere». Dopo pochi giorni sono scoppiati in Italia, a livello nazionale, i Forconi. È de Benoist a fornire il la per interessanti riflessioni ideologiche che condizioneranno l’intervento salviniano, il che conferma l’esistenza di una sinergia culturale fra il Carroccio, i movimenti indipendentisti europei schierati a destra e la Nouvelle droite. Ovvero di quei contatti che in Italia risalgono ai primi mesi del 1993, poco dopo la firma del Trattato di Maastricht.
Oltre all’aperto elogio del Front national e di altre formazioni populiste di destra, Salvini elogia anche la Russia di Vladimir Putin, dicendo che forse è il caso che l’Italia inizi a guardare a Mosca, dove regna «la legge e l’ordine». Dimenticando che in nome della legge e dell’ordine, Mosca non è senz’altro un baluardo di democrazia rappresentativa, e i giornalisti che non si piegano ai voleri dell’autorità vengono uccisi sull’uscio di casa … Ok! In un futuro, nell’ottica di Salvini per la nostra incolumità scriveremmo tutti per «La Padania»! Al congresso leghista del Lingotto, a incoronare Salvini segretario, vi erano infatti come ospiti d’onore – oltre alle delegazioni populiste di mezza Europa – rappresentanze della Russia putiniana, ovvero Viktor Zubarew, responsabile delle relazioni internazionali del governo, e l’ambasciatore russo all’Onu Alexey Komov, due che non sembrerebbero né campioni di democrazia né campioni di diritti civili.
«Il Vescovo di Como Maggiolini», ricorda inoltre Salvini, «mi aveva rimproverato per l’atteggiamento troppo moderato della Lega [verso gli immigrati]». «Dobbiamo alzare il tiro e iniziare a far capire a Bruxelles e ai suoi gabellieri di Roma che la pazienza è finita». La Lega Nord che ha in mente il rampante Matteo Salvini non è più la Lega dell’anziano leader Umberto Bossi, che predicava il fuoco alle polveri contro «Roma ladrona», capace di intrallazzare con la destra radicale e coi fondamentalisti cattolici, come avveniva nella sua fase di isolamento negli anni ’90, ma poi, stretti i contatti col centro-destra, pronta ad archiviare tutto, secessione, baracche e burattini, per entrare nel governo del Cavaliere e predicare all’unisono una più blanda «devolution». No. La Lega Nord di Salvini non è quella 2.0 di Maroni, ma è una formazione 3.0 che ha per programma l’«indipendenza e [la] disobbedienza», una politica – concetto oggi molto di moda – fatta con «un occhio di riguardo per la nostra gente», capace di andare contro ai poteri forti di Roma e di Bruxelles, che spremono il Nord fino all’ultima goccia, una Lega «indipendentista a casa propria, […] con l’obiettivo di salvare il lavoro rottamando l’euro a Bruxelles». Salvini si scaglia contro la dittatura degli “eurocrati”, che col neoliberismo si presenta come un “totalitarismo dal volto umano”: «Se ci muoviamo in questa direzione dobbiamo aspettarci una dura repressione da parte di chi non accetta il dissenso», continua Salvini. «C’è chi è convinto, come gli europirla in Ucraina, che la libertà di espressione sia tutto, per poi ritrovarsi schiavi nell’Europa delle agenzie di rating e delle banche. Hanno distrutto il ceto medio, riducendoci tutti da cittadini a consumatori se non addirittura debitori». Questo Matteo Salvini “di lotta e di governo”, antiborghese al punto giusto, è però rispettoso dell’ordine naturale, un rispetto che si tramuta, all’occasione, in sana omofobia padana, plaudendo al referendum che in Croazia ha bocciato il matrimonio gay, visto che «preferisco fare il cattivo che inginocchiarmi al politicamente corretto», chiosa Salvini.
Quella che abbiamo di fronte, visto che il moderatore del convegno, il neoleghista Vincenzo Sofo, definisce il suo partito come desideroso di andare «al di là della destra e della sinistra» e desideroso di dar vita a “nuove sintesi” per costruire un’Europa dei popoli, è una Lega diversissima da quella che conoscevamo. Approfittando della crisi economico-finanziaria, la “nuova” Lega Nord sta cercando di riempire il vuoto lasciato a destra dopo la scomparsa di Alleanza nazionale e di fronte all’esistenza di una galassia composta da tantissimi neo e postfascisti, così multivariegata che raccapezzarsi è veramente un’impresa. La destra postfascista, inoltre, che sta cercando di ricostruire il partito nato a Fiuggi che qualche anno fa ha ucciso sacrificandolo sull’altare dell’interesse berlusconiano, non riuscirà a ricalcare il percorso finiano: Fratelli d’Italia di La Russa e Meloni è troppo autoreferenziale, e il fatto che si autodefinisca sempre e comunque «centrodestra nazionale», non fa che accentuare il “disgusto” di un certo elettorato neofascista, stufo di tuffi carpiati e di rinnegamenti storico-ideologici e di nuove alleanze nazionali 2.0. Per i fascisti, in sintesi, il male assoluto è Fiuggi, come testimoniano molti forum neofascisti su Internet, nei quali i vari ex camerati Fini, Gasparri, La Russa, Alemanno, Urso e compagnia cantante vengono dipinti come traditori e «badogliani». Giorgia Meloni ad esempio, che su quotidiani come «il Giornale» è stata dipinta come la “Le Pen italiana”, si dimostra agli occhi del popolo “nero” una “bufala”. La Le Pen originale – come Salvini – vuole l’uscita immediata dall’eurozona, mentre l’ex presidente della Camera ed ex leader di Azione giovani, dato che milita in un partito che non ha il coraggio di definirsi più “di destra”, predica tutt’al più riforme di struttura per dare più sovranità all’Italia senza rompere definitivamente né con Forza Italia (nel Ppe con la Merkel) né con l’Unione europea. La guerra all’euro, se si escludono sigle velleitarie che non si sono presentate alle elezioni europee è portata avanti solo dalla Lega Nord, che, da maestra di vero populismo, cavalca la crisi economica parlando alla pancia della gente, che non vuol sentir più parlare di sacrifici, di austerity e di riforme, proposte, per di più, dall’immancabile “casta” dei politici “scrocconi” e corrotti.
La Lega, politicamente scorretta, appoggia la rivolta dei forconi, ed è, per così dire, dalla parte della gente (intesa in senso interclassista). Questo vuoto viene riempito con l’adesione di fette della “fascisteria” italiana al Carroccio, le quali, indipendentemente dall’origine dei suoi aderenti, vedono nella Lega Nord un mezzo per far valere le proprie battaglie identitarie senza per questo apparire apertamente fascisti. Questo è evidente dalle dichiarazioni del prof. Roberto Chiarini, docente di storia dei partiti politici alla Statale di Milano, il quale, nel suo intervento durante il ciclo di conferenze organizzato all’Università di Pavia dal gruppo di studi europeisti TRAM:E relativo alla riemersione delle destre radicali e populiste in Europa tenutosi il 25 e 26 novembre 2013, ha evidenziato che soltanto all’estero i politologi classificano il Carroccio come un partito populista di destra. L’opportunismo politico italiano, invece, caratterizzato da alleanze che sarebbero ritenute inaccettabili dai reciproci elettorati qualora la verità ideologica fosse rivelata, ha tutto l’interesse di non dire che il Carroccio è un partito di estrema destra, visto che i fasci littori e le svastiche non ci sono. L’adesione di importanti fette del neofascismo alla Lega Nord è evidente dalla presenza di personalità come Mario Borghezio, con un passato in Jeune Europe dell’ex SS Jean Thiriart, a figure di Ordine nuovo come Salvatore Francia e alla “Legione”, l’acronimo della «Lega giovanile nazionale europea», collegata al Fronte nazionale del golpista Junio Valerio Borghese, leader della X MAS e, negli anni ’80, collaboratore di «Orion», il mensile della destra radicale antimondialista filoislamica e antiebraica, noto per esser stato il più noto laboratorio del «nazionalcomunismo» italiano. Fu lo stesso Maurizio Murelli, fondatore del periodico ed editore di area (dirigeva la Società Editrice Barbarossa e oggi l’AGA Edizioni), a consigliare all’avvocato torinese e ad altri giovani vicini al suo primissimo gruppo, il Centro culturale Barbarossa di Saluzzo, di aderire nel 1987 a Piemont Autonomista (e poi nella Lega Nord nel 1991), visto l’interesse dell’estrema destra nazional-rivoluzionaria – da sempre vicina alla causa islamica in chiave antisionista/antisemita – per il regionalismo (proprio come la Nouvelle droite, da cui prese alcuni spunti riflessivi), anche se successivamente, dopo l’11 settembre 2001, di fronte alla conversione antislamica, filoccidentalista dell’esponente leghista, questi definì Borghezio «personaggio stomachevole»:
«Un personaggio stomachevole che riempie sempre più spesso il video è l’onorevole padano Mario Borghezio, che oggi fa della guerra al terrorismo e all’Islam la sua bandiera di lotta. Un altro che ha fatto presto a cambiare cavallo. Il lettore deve sapere che tra il 1985 e il 1990 l’onorevole Borghezio era ospite a casa mia praticamente tutte le settimane. Fu l’ideatore di «Orion-finanza», supplemento a «Orion». Anch’io passavo per terrorista e più di me passava per terrorista Claudio Mutti che amorevolmente Borghezio soprannominava “Muttim” e della cui amicizia, fin dai tempi di Giovane Europa, menava vanto. Dunque, oltre a frequentare amabilmente me, Salvatore Francia (più volte accusato di essere il terrorista numero uno di Ordine nuovo), Adriana Pontecorvo (sempre di Ordine nuovo) e Oggero di Carmagnola (che stampava una rivista intitolata, ma guarda caso, «Jihad»); oltre ad accompagnarsi a sedicenti “colonnelli” del fantomatico Stato del Sahara Occidentale Spagnolo; oltre ad essere accusato lui stesso di atti terroristici (e, mi pare di ricordare, processato) per una lettera anonima della “Falange armata” inviata all’allora giudice di Torino Violante; ebbene, a parte queste “pericolose” ed “equivoche” frequentazioni ciò che lo [a Borghezio. Ndr] contraddistingueva era la sua ideologia ferocemente antiamericana e antigiudaica. Oggi, e cito lui perché è il più insopportabile nei suoi atteggiamenti provocatori e mistificatori di “bassa lega”, è diventato come molti altri campione dell’intransigenza anti-islamica».
Borghezio, era stato espulso dal gruppo parlamentare euroscettico Europa per le Libertà e la Democrazia (ma non dal Carroccio) per un’intervista rilasciata nel maggio 2013 a «Panorama» contro il meticciato. «Io – sostiene Borghezio – esalto la razza indoeuropea. Anzi, diciamo etnia. Il termine razza è meglio non usarlo». L’eurodeputato si vantava inoltre – con fare alquanto neocolonialista – di esser stato in Zaire negli anni ’70 al servizio del dittatore Mobutu e di aver provato il «prodotto locale», cioè le bellissime donne del posto, «profili europei», «nulla a che vedere con la Kyenge», ovviamente usando le «dovute precauzioni» per non sentirsi in colpa, per non prendere malattie e non dover far nascere dei «bastardi meticci». Criticando l’ex ministro dell’integrazione Kyenge, sposata con un italiano e con prole, e quindi “colpevole” di quel meticciato «che inquina la differenza fra le razze» e che «è peggio di una bestemmia», Borghezio si è definito fieramente «differenzialista», concetto coniato negli anni ’70 dal Grece e usato dalla Nouvelle droite in sostituzione dell’ormai impopolare «razzismo», aggiungendo: «Io sono un tradizionalista monarchico. L’ultimo degli indipendentisti. E penso che solo un paese di merda come l’Italia può dimenticare un genio come Gianfranco Miglio. Detto questo, i regimi totalitari hanno fatto cose terribili ma anche cose molto buone e positive. Per esempio i nazisti furono i precursori dell’ecologismo. Ma mi considero più a destra di Dio. Come Julius Evola, più a destra di noi non c’è nessuno. Addirittura». Sul golpista Junio Valerio Borghese, responsabile dei rastrellamenti di partigiani, di civili ed ebrei durante la guerra, Borghezio sostiene che «era un uomo straordinario. Oggi se ne sente il bisogno. Voleva mettere a posto l’Italia che era nelle mani dei comunisti» … et voilà, la Lega Nord di Matteo Salvini, un partito di lotta, di governo e di neoapartheid.
Riflettiamo: sono anni che molti intellettuali progressisti accusano de Benoist e il Grece di essere collegato più o meno con la destra radicale o il Front. Questi si è sempre difeso sostenendo che per lui la differenza è l’esaltazione delle identità «di tutti», e di non volere l’espulsione degli immigrati come vuole il Front, ma la creazione di tante comunità in Europa dove questi possano decantare la loro identità etnoculturale. Ma allora, che ci fa seduto al fianco di Salvini, che si vantava di ispirarsi al Front national e che non espelle dal suo partito un’esponente come Borghezio, che invece viene candidato nelle circoscrizioni del Centro Italia per intercettare il voto dei fascisti orfani di una formazione esplicitamente neofascista? Heinz-Christian Strache, invece, di fronte a un Mölzer che ha definito l’UE un “Negerkonglomerat”, ha consigliato all’eurodeputato di farsi da parte! Come mai in Francia de Benoist intrattiene rapporti col Bloc Identitaire (quelli delle zuppe identitarie a base di carne di maiale da distribuire ai poveri autoctoni, discriminando così quelli di origine islamica… tanto non sono francesi!), tutti contatti documentati dagli stessi interessati e dalla stampa dell’Esagono? Non sono controproducenti per la legittimità intellettuale della Nuova destra tout court, che, in base ai libri scritti da de Benoist, non sembrerebbe ridursi al mero populismo razzista e all’insulto ai danni dell’avversario straniero?
Per capire bene il rapporto fra destra radicale e leghismo, senza addentrarci nel groviglio di contatti fra destra radicale – missina, postmissina e non –, e il Carroccio e le sue associazioni collaterali, su cui nessuno ha ancora scritto veramente nulla, basta fare l’identikit del circolo “Il Talebano”, quello che ha organizzato il convegno fra Salvini e de Benoist. Il direttore è il giovane dott. Vincenzo Sofo, di origini calabresi, che aderisce al Carroccio dopo un lungo «tirocinio» nella destra radicale meneghina. Perché la famiglia, scrive Sofo sul suo blog, gli ha trasmesso un «forte senso di appartenenza». Che ci fa un calabrese, esaltatore di soppressata e di piccantissima ‘nduja, nel partito più antimeridionalista che la storia ricordi, quello che contro l’Islam coniò il motto «Si alla polenta, no al cous cous»? La Lega Nord, secondo Sofo, è «il solo movimento presente in Italia che si batte per la salvaguardia delle identità e delle tradizioni locali». Dopo essersi avvicinato a 14 anni al gruppo Alleanza studentesca – successivamente Giovane Europa –, gruppo che gli permette di coltivare contatti umani utili per la sua successiva carriera politica nel Carroccio e dove conosce «i valori della comunità, dell’altruismo, del rispetto e della fedeltà alle proprie idee e ai propri valori… rifiutando il concetto di politica come semplice amministrazione del potere», Sofo, dopo una parentesi ne La Destra di Francesco Storace, dove diventa responsabile del movimento giovanile cittadino nel 2007, Gioventù Italiana, abbandona – come diversi fascisti tra l’altro – il partito dell’ex leader della «Destra sociale» laziale perché «romanocentrico, reazionario e non costruttivo». Nel 2009, dopo la costruzione del comitato Viviamo Milano, Sofo crea il circolo culturale “Il Talebano”, laboratorio culturale di estrema destra – nonostante Sofo sottolinei che all’interno della destra radicale cittadina egli si è sempre fatto notare per la sua «posizione originale ed estremamente critica nei confronti del neofascismo» – che auspica alla nascita di un’Europa dei popoli federale che preservi le molteplici identità locali… cose già sentite in Francia da de Benoist e dalla sua scuola di pensiero, la Nouvelle droite:
«Siamo Talebani. Per lo spirito antisistema e radicale. Per la libertà dei popoli dell’Europa. Per uno Stato sovrano federato ad una Nazione Europa. Contro il modello occidentale globalizzato e esasperatamente modernizzato, che annichilisce ogni identità, tradizione e cultura umana e comunitaria. Contro l’Europa della finanza, alla quale opporre un Europa dei popoli, unita dal minimo comune denominatore che attraversa le varie e variopinte patrie del vecchio continente… la solidarietà tra comunità sia il nuovo punto di partenza. Contro la deriva materialista della nostra società, preservando i valori spirituali dell’uomo e della famiglia. Contro l’attuale sistema Italia – centralista, lobbista e corrotto – rivendicando il diritto di ogni piccola patria esistente in Italia di essere riconosciuta nella propria specificità… perché solo tutelando e valorizzando le diversità delle singole comunità si potrà ottenere una coscienza unitaria. Né a destra né a sinistra – schemi ampiamente superati – perché il conflitto odierno e tra chi vuole la mondializzazione e chi difende le specificità locali».
Possiamo sommare, oltre all’appoggio de “Il Talebano”, quello dell’Associazione Patriae, l’invito di Gianluca Iannone, leader di CasaPound, a votare per il Carroccio, sottolineando di dare la preferenza a Borghezio, o l’appoggio del «socialista nazionale» Ugo Gaudenzi, ex leader di Lotta di popolo, che sulle pagine di «Rinascita – Quotidiano di Sinistra Nazionale», a poco più di un mese dal voto europeo scriveva che «Lo sbarramento al 4% […] è il trucco su cui la partitocrazia “nazionale” ha impostato la sua strategia di regime» per rafforzare il suo dominio. Quindi, vista l’inesistenza di serie alternative «nazionali», «Si tratta […] di andare al voto, di scegliere chi sfida a viso aperto l’eurocrazia, il mostro di Bruxelles che taglieggia e priva del futuro la nostra comunità nazionale. […] l’Italia voti per la Lega, al nord, al centro, al sud, nelle sue isole. Si premierà così un movimento nuovo che, oltre ad essere da sempre contrario all’eurocrazia, ha in questi giorni proposto 5 fondamentali referendum, per far riacquistare il diritto alla libertà di opinione (abrogazione della legge Mancino), per regolamentare la prostituzione (sanità, fisco), per abrogare la legge Fornero tagliapensioni, per cancellare l’inutile costosissimo sistema delle 100 e più “prefetture” provinciali italiane, per fermare l’immigrazione, togliendo ai nuovi arrivati i privilegi lavorativi anti-italiani».
Sono tutte tappe che confermano un’evoluzione politica non solo della Lega Nord, ma dei vari soggetti populisti europei che attraggono frange consistenti della fascisteria, la quale, piuttosto che sostenere sigle politiche ormai velleitarie, opta pragmaticamente per formazioni politiche mainstream capaci di sdoganare temi un tempo poco appetibili al grande pubblico, permettendogli comunque di mantenere la propria sottocultura. La Lega Nord è diventata il Front national italiano? La presenza di un’estrema destra smembrata in decine di sigle ininfluenti e di una destra nazionalconservatrice e postfascista in aperta crisi e incapace di cavalcare il successo di Marine Le Pen perché troppo «perbenista», «politicamente corretta» e di «centrodestra» – e quindi legata alla tanto disprezzata svolta di Fiuggi – e l’evoluzione di una Lega Nord e capace di attrarre frange deluse e agguerrite delle destre sopra elencate, di flirtare coi populisti neofascisti di mezza Europa, coi teorici delle Nuove destre culturali, con le proteste antifiscali dei forconi e presentandosi vicinissima al popolo, alla gente, prendendo anche il voto di un elettorato operaio che un tempo avrebbe votato per la sinistra, dovrebbe essere, per l’informazione, una questione all’ordine del giorno, tanto quanto lo è l’ascesa dell’altro Matteo, il rottamatore rampante. Come mai, invece, sull’argomento regna il silenzio più assoluto?
Cfr. A. de Benoist, Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, con una prefazione di M. Fini, Casalecchio di Reno (Bo), Arianna Editrice, 2012.
In un’intervista Pino Rauti sostenne: «Stringevamo [i dirigenti di Ordine nuovo. Ndr] contatti con l’Oas e aiutavamo Soustelle nascosto in Alto Adige. Incontravamo Alain de Benoist clandestino perché condannato per un attentato dinamitardo». C. Valentini, Una volta che mi stavano fucilando, in «L’Espresso», 10 febbraio 1995, cit. in U. M. Tassinari, Fascisteria. Storia, mitografia e personaggi della destra radicale in Italia, Milano, Sperling & Kupfer, 2008, p. 53. Inoltre, uno dei primi referenti italiani di Alain de Benoist è stato il catanese Antonio Lombardo, responsabile per la Sicilia di Ordine nuovo. Lombardo – che abbandonerà poi l’ambiente neofascista per diventare consigliere politico del leader democristiano Amintore Fanfani e collaborando a «Il Settimanale», emanazione editoriale della loggia massonica atlantista P2 – è corrispondente in Italia per il mensile «Europe-Action», da cui si sviluppa il Grece, e collabora a «Défence de l’Occident» del fascista francese Maurice Bardèche. Lombardo è a Parigi il 30 aprile e il 1º maggio 1966 in occasione del congresso costitutivo del Mouvement nationaliste du progress (Mnp), lista “nazionaleuropeista” nata dalle ceneri del Ressemblement européenne de la liberté (Rel), da cui in seguito nasce il gruppo neodestrista parigino. Assieme al romano Giorgio Locchi (corrispondente a Parigi per «Il Tempo» e legatissimo agli ambienti di On negli anni ’50-’60), l’ordinovista Lombardo è l’unico italiano presente nel gruppo fondatore del Grece. Cfr. «Nouvelle École», n. 4, agosto-settembre 1968, P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico<, Firenze, Vallecchi, 2004, p. 172, nt. 100 e U. M. Tassinari, Fascisteria<, cit., p. 587, nt. 69.
M. L. Andriola, Il Mouvement Identitaire francese: dal “gramscismo di destra” a Terre et Peuple, in «Paginauno», a. VII, n. 35, dicembre 2013/gennaio 2014, p. 46. Cfr. AA. VV., Le Défi de Disneyland (XX convegno nazionale del Grece, 16 marzo 1986), Paris, Sepp/Le Labyrinthe, marzo 1987, 95 pp.
Cfr. P. P. Poggio, in «Liberazione», 22 luglio 1997. Cfr. Id., Il naturalismo sociale e l’ideologia della Lega Nord, in G. De Luca (a cura di), La Lega. Figli di un benessere minore, Firenze, La Nuova Italia, 1994.
Cfr. J. Evola, Il federalismo imperiale. Scritti sull’idea di Impero. 1926-1963, a cura di G. Perez, Fondazione Julius Evola, in «Quaderni di testi evoliani», n. 39, Napoli, Controcorrente, 2012.
M. Tarchi, Dalla politica al “politico”: il problema di una nuova antropologia, in A più mani, Al di là della destra e della sinistra, Atti del convegno «Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale», Roma, LEdE, 1982,p. 22.
A. de Benoist, L’impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996 (ed. francese 1995), p. 173.
J. Hatzenbichler – A. Mölzer (a cura di), Europa der Regionen, Stocker, Graz, 1993.
Salvini si prepara a guidare la lega: “Alleanze con la destra estrema? Ci ragiono volentieri”, in «il Fatto Quotidiano», 3 dicembre 2013.
M. Brusini, Lega, Salvini incontra il teorico dell’antiglobalizzazione. L’idea di un cartello con la Le Pen alle Europee, in «L’Huffington Post», 3 dicembre 2013.
Secondo Valerio Marchi, «Nuova Azione [realtà politica animata da «Orion». Ndr], a livello internazionale, si muove […] sotto la sigla [del] Fronte Europeo di Liberazione. Ricco di una vasta rete di contatti sia in Italia che all’estero, il gruppo di «Orion» esprime una linea nazional-rivoluzionaria o, meglio ancora, «nazional-comunista», con forti richiami ai temi della Nuova Destra di Alain de Benoist, con cui è in stretti rapporti. I temi fondamentali del gruppo sono infatti la lotta al «mondialismo», inteso come dominio della finanza internazionale dominata dalla consueta cricca giudaico-massonica, a cui contrapporre non il modello dell’Europa «bianca e cristiana», ma un’unione di intenti con le forze nazional-comuniste, tradizionaliste ed integraliste dell’ex impero sovietico e della sfera islamica [per creare l’Eurasia. Ndr]. I rapporti internazionali più significativi di Nuova Azione si rispecchiano nei partecipanti alla tavola rotonda sulle «Prospettive geopolitiche eurasiatiche» (Mosca, ottobre 1992). Nella redazione di «Den», ex quindicinale dell’unione degli scrittori sovietici, divenuto dopo la svolta una delle più importanti testate dell’area del Fronte di Salvezza Nazionale [coalizione antieltsiniana che comprendeva l’estrema destra e i comunisti di Ghennadij Zjuganov. Ndr], schierato su posizioni tradizionaliste e filoislamiche, si riuniscono Samil Sultanov di «Den», Sergej Baburin (capogruppo al Parlamento del gruppo Rossija e fondatore del partito ultra-patriottico Rinascita), Aleksandr Dughin (presidente della associazione storico-religiosa Arktogaia, traduttore russo di Guénon ed Evola), Nikolaj Klokotov (generale dell’esercito) e Alain de Benoist, leader storico della Nuova Destra, direttore di «Krisis» e di «Nouvelle École». In altre parole, Nuova destra franco-belga in Europa occidentale, nazional-comunisti russi e filoislamici ad Oriente». V. Marchi, Blood and Honour. Rapporto internazionale sulla destra skinheads, Roma, Koinè Edizioni, 1993, pp. 140, 141.
Occidente: fronte infame, in «Orion», nuova serie, a. V, n. 10, ottobre 2001, p. 3.
M. Borghezio, Borghezio: “Il meticciato inquina le razze”, intervista rilasciata a Giuseppe Cruciali, in «Panorama», 30 maggio 2013.
Cfr. Intervista ad Alain de Benoist, in «Diorama letterario», n. 206, agosto-settembre 1997, pp. 21-33.
http://www.bloc-identitaire.com/actualite/1336/decroissance-rupture-fondamentale-avec-esprit-temps. Il link documenta un dibattito avvenuto il 29 maggio 2010 dal tema
La décroissance? Une rupture fondamentale avec l’esprit du temps, dove a parlare di decrescita, non sono stati invitati né Serge Latouche né Alain Caillé, provenienti dalla sinistra radicale, ma l’ideologo della Nouvelle droite, invitato da Jeune Bretagne. I giornalisti di «Le Monde» hanno documentato poi un successivo incontro durante l’Université d’été del Bloc Identitaire, organizzato alla “Domus Europa”, una struttura in Provenza di proprietà del Grece animata da Maurice Rollet, che dal 9-11 settembre 2011 ha ospitato una serie di dibattiti, uno dei quali dal tema
Europe, le combat identitaire fra i vertici del partitino populista e quelli del Grece. Cfr.
http://droites-extremes.blog.lemonde.fr/2011/08/18/bloc-identitaire-une-rentree-a-lombre-de-leuro-et-du-grece/
«CasaPound non è abituata a rimanere alla finestra. Ho scelto e vi invito per questa volta a votare Lega con preferenza a Borghezio nella circoscrizione centrale, anzitutto per l’alleanza con il Front National di Marine Le Pen, per le posizioni antieuro, per le posizioni contro l’immigrazione, per i referendum contro la Fornero e la legge Mancino […] Io, come molti di voi avranno capito, per il tricolore e l’unità della nazione sono pronto a farmi ammazzare. E so bene che questa scelta di voto per la Lega (che riguarda solo ed esclusivamente queste elezioni) porterà critiche da un mondo di “destra” che ricorderà le passate posizioni anti-italiane della Lega».
http://www.barbadillo.it/24028-europee-casapound-si-schiera-con-la-lega-di-salvini-per-noeuro-e-marine-le-pen/
U. Gaudenzi, Con la Lega, per abbattere l’euro-miseria, in «Rinascita – Quotidiano di Sinistra Nazionale», 17 aprile 2014.