Ombre rosse

L’imporsi del politicamente corretto e dell’omaggio continuo alla sofferenza femminile in occidente si insinua anche nei meandri delle guerre di quest’epoca. Già avevo commentato in un precedente articolo le bizzarre teorie femministe della guerra, in particolare quella scatenatasi dopo il 7 ottobre a Gaza. Ma il martellamento deve continuare, gli israeliani hanno avuto buon gioco a sfruttare la sensibilità occidentale sul problema degli stupri di guerra e quindi una vecchia conoscenza della sinistra che fu (Ma paragonare il pogrom del 7 ottobre e la shoah non aiuta a far chiarezza), scopre che la guerra è divenuta ‘sessista’ persino creando un collegamento tra le violenze esercitate da Hamas e quelle naziste durante la Shoah, in modo da contribuire a gettare  un’ accusa infamante contro i c.d. nemici dell’occidente in tempi in cui a queste cose si è ipersensibili mentre la morte di bambini maschi o uomini non interessa nessuno.

La scusa è la ristampa del libro di Daniela Padoan Come una rana d’inverno nel quale ella intervista tre sopravvissute italiane di Auschwitz, libro già uscito nel 2018, ma si sa che in questi tempi una rispolveratina con un tocco femminista fa bene all’autore dell’articolo e all’autrice del libro. Naturalmente esistono molte altre testimonianze di sopravvissute ai lager, basti guardare il sito Holocaust Encyclopedia dove viene anche descritta in più articoli la storia delle donne nei campi di sterminio. Il merito della Padoan è forse quello di aver fatto conoscere questo tipo di testimonianze anche in Italia.

Prescindendo dal fatto che le violenze in tempo di guerra sono una drammatica conseguenza di ogni situazione di conflitto, nel caso della Shoah la considerazione che il 60-70% delle vittime fossero donne e bambini è forse di altra natura poiché costoro venivano spesso, anche se non sempre, avviati subito alle camere a gas poiché considerati non in grado di lavorare e quindi un inutile peso, ma non si capisce perché il caso dei bambini maschi sia ‘sessista’ (o ‘sessuato’ come sembra dire la stessa Padoan). I nazisti uccidevano per un mero cavillo pragmatico, come hanno bene insegnato i tanti autori che hanno scritto sulla gestione burocratica della Shoah che trattava le persone né più né meno che come cose, ma non perché fossero ‘sessisti’ altrimenti perché uccidere i bambini maschi?

Ad ogni modo questo dato non trova nemmeno riscontro nei dati riportati dal CDEC per quanto riguarda i deportati italiani dove si legge che i morti italiani della Shoah furono 3169 uomini e 2794 donne, sopravvissero 429 uomini (11,9%) e 408 donne (14,6%) (la stragrande maggioranza, 94,5%, è morta ad Auschwitz). È curioso che il dato riportato non si applichi alle donne italiane di cui proprio l’autore parla nell’articolo. Attualmente la discussione di questo dato in generale per tutte le vittime della Shoah è ancora incerta e le stime oscillano tra due milioni di donne su sei milioni di vittime ad un canonico 50% (vedi Why were so many more Jewish men than Jewish women killed during the Holocaust?).

Trovo per questo l’argomentazione confusa e forzata, sebbene sia uno dei pochissimi articoli che ho letto in cui si parla di pogrom per il 7 ottobre e non di olocausto, mentre per tutti i filoisraeliani questa confusione, che mima quella tra antisionismo e antisemitismo, appare scontata. E l’autore è ben conscio che con i morti palestinesi a Gaza che al 60-70% sono donne e bambini la confusione tra genocidio degli ebrei europei e genocidio dei palestinesi è pressoché inevitabile tanto che lo scrive esplicitamente. Ma non si comprende, almeno io fatico a comprendere, la sua preoccupazione; da che parte sta? Ci dobbiamo rammaricare per i morti palestinesi o per il fatto che essi si confondono con quelli della Shoah? Se il 7 ottobre non è la Shoah, ma appunto un pogrom, cosa sono i bombardamenti israeliani?

Tuttavia, sbaglia anche qui: se le stime parlano di 8000-9000 bambini su 20000-22000 morti, per cui se anche il 70% delle vittime fossero donne e bambini se ne deduce che le donne comprese le bambine sarebbero tra 10000-11000, anche facendo i conti della serva, per cui circa il 50% sarebbero uomini e bambini. Forse ha bisogno di un ripasso di matematica?

Il problema è più complesso di quanto appare ad un primo momento. Dobbiamo prima di tutto comprendere che, se anche fosse vero che a Gaza ai bambini si legge il Mein Kampf o i Protocolli, questo appare del tutto secondario poiché al massimo serve solo a gettare altra benzina sul fuoco. I Palestinesi sono vittime di un torto storico, che a torto o ragione vogliono vendicare con la distruzione dello stato ebraico. Quella che combattono è per loro una guerra di liberazione da coloro che sono considerati a tutti gli effetti invasori (l’unica guerra che può essere considerata necessaria anche se non certo giusta). Per loro conta relativamente poco che Israele sia appoggiato dagli US e dall’Europa sebbene con diverso impegno e delle relative differenze (adesso molto minori che cinquanta anni fa specialmente per quanto riguarda l’Italia). Se fosse appoggiato da altre nazioni le cose non sarebbero diverse. Questo si è sempre scontrato anche con la scarsa propensione degli altri popoli arabi ad appoggiarli e cosa che la dice lunga sulla debolezza dell’Islam in quanto religione globale in cui i fondamentalismi sono minoranze che non hanno mai contato veramente nulla se non come strumenti nelle mani di altri.

Dall’altra parte Israele è legato a doppio filo all’occidente, e ora che questo sta evidentemente perdendo potere nel mondo rischia di andare in crisi. L’evento Shoah per primo ha dato alla luce quell’eccezionalismo di Israele per cui l’Europa non può fare veramente nulla che sia contro Israele in quanto si sente responsabile della distruzione degli ebrei avvenuta sul proprio territorio. Diverso è il discorso per gli US, al di là del lobbismo dei tanti filoisraeliani d’origine ebraica (che non è comunque diverso in fondo dai tanti ebrei russi che popolavano le gerarchie sovietiche), per gli americani la presenza di Israele in un’area vitale per i propri interessi ha costituito a lungo una necessità strategica almeno fino all’’89. È sintomatico che il decennio della possibile pace tra palestinesi e israeliani sia coinciso con il periodo tra l’89 e l’11 settembre, quando gli US apparivano l’unico vincitore e il mondo per un momento era diventato monopolare. Successivamente i vari fallimenti della politica americana hanno di fatto chiuso la porta ad ogni possibile accordo di pace.

La paranoia israeliana sconta anche una religione peculiare che a differenza dell’Islam (e del cristianesimo) è molto più radicata nel senso comune e nella visione di una società divisa, per forza di cose purtroppo, in ebrei e gentili. Anche il socialismo dei kibbutz, affascinante quanto si vuole, è sempre stato declinato ‘per soli ebrei’ e quindi non può a mio avviso essere nemmeno considerato socialismo in linea di principio. Questa paranoia pompa negli individui l’idea di essere diversi dagli altri (soprattutto dagli arabi o in generale dagli islamici) ed è fonte di equivoci storici e sociali anche nei più illuminati e colti. Da un punto di vista meramente logico nessun popolo sulla terra potrebbe pretendere di tornare duemila anni dopo in una terra e dire “Questa adesso è la mia perché lo era tanto tempo fa”: avremmo dozzine di ‘Medio Oriente’ sparsi per il mondo.

È quindi la singolare circostanza dell’unione di tre fattori, dapprima la Shoah, poi la geopolitica americana e la religione ebraica hanno contribuito a formare e mantenere l’eccezionalismo di Israele. Ma l’eccezionalismo è finito per diventare la fonte dei guai sia per gli uni che per gli altri, non solo i palestinesi ma tutti quanti, sarebbe ora che cessasse in vista di un futuro mondo multipolare.

Nel 1099 i crociati presero Gerusalemme che mantennero fino al 1187, anche loro erano legati ai regni d’occidente e anche loro erano circondati da un mare arabo. Ma resistettero quasi novanta anni, e anche successivamente per circa un altro secolo tennero testa agli arabi semplicemente perché questi erano divisi specialmente nei primi decenni dall’invasione. Non si potrà trascurare il “peso del numero”: Egitto, Turchia e Iran hanno insieme circa ventotto volte la popolazione di Israele, e in futuro ne avranno anche di più. Sarà sempre più difficile prescindere dal loro ruolo di potenze regionali.

Di questa complessità il pezzo di Adriano Sofri citato all’inizio fa strame, esiste solo in primo piano il dramma della Shoah al quale è accostato quello del 7 ottobre con il bislacco tentativo di far passare l’idea che vi sia un “connotato sessista”, mentre uccide certamente anche migliaia di uomini e migliaia di bambini, sia nel passato nella Shoah sia oggi sotto le bombe israeliane – devo insistere: cosa c’entra il sessismo quando sono uccisi bambini di ambo i sessi? – è un pessimo esempio di come la cultura si adegui pecorescamente alle fantasie femministe e al politicamente corretto come al solito auspicando l’infinita bontà dei buoni (noi) che per salvare la donna bianca dai barbari assassini saremmo disposti anche a ucciderla, ma poi arrivano i cavalleggeri e allora a morte la donna rossa, sotto le bombe in questo caso.

Ed in effetti i palestinesi appaiono solo come ombre, ombre rosse appunto, un incidente, mentre l’attenzione è completamente centrata sulle vittime israeliane e sulle vittime passate della Shoah.  Come sempre il mescolare la Shoah coi fatti odierni genera appunto quella confusione temuta dall’autore, ma tanto cara al pensiero dominante, cancellando i torti subiti dall’altra parte ridotta appunto ad una misera ombra, sopra i quali come un’enorme mesa giganteggia la Shoah. Questo non rende conto dell’asimmetria tra chi ha subito la Shoah e chi la Nakba ma non ha alcuna colpa della Shoah, avrebbe avuto molto più senso parlare di questo, piuttosto che evocare un dubbio sessismo (Shoah e Nakba. Storie e traumi).

Ma che dire, chi razzola nel circo neoliberista e sionista deve per forza inventarsi un diversivo per cancellare i macroscopici errori commessi a quei quattro sinistrati che lo leggono.

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