“Progetto Apocalisse”

Il memoriale di Paul Johnstone ha un nome eloquente, Progetto Apocalisse, certamente per ribadire il folle progetto del complesso militar-industriale USA: la guerra termonucleare contro la Russia. Un progetto pazzoide, dettato dalla ideologia neoconservatrice, analizzato – passo dopo passo – dal padre della saggista Diana Johnstone; del resto il titolo originale del libro è From M.A.D. to Madness (da Folle a Follia) dove M.A.D. è l’acronimo di Mutually Assured Destruction (Distruzione Reciproca Assicurata). Lo studio del documento in questione, abbracciando tematiche tanto militari quanto politiche ed economiche, mette in risalto il carattere puramente capitalistico delle guerre demistificando il mito ambiguo dello ‘’scontro di civiltà’’ (buoni contro cattivi), mela marcia data in pasto ai lettori più sprovveduti.

Prima di tutto, chi era Paul Johnstone? Economista talentuoso ispirato al pensiero keynesiano, entrò in un think tank del governo Roosevelt in pieno New Deal. Come emerge dai saggi introduttivi (compreso quello di Paul Craig Roberts), Johnstone credeva che il New Deal potesse rappresentare un modello di giustizia sociale alternativo al socialismo; valutazione errata, ma comune ad una generazione intera di intellettuali statunitensi. Terminata la guerra passò a lavorare per il Pentagono, un ‘’mondo di fantasia’’, come scrive Diana, dove ‘’Uomini che non erano caratterizzati da una particolare malvagità stavano dedicando la propria carriera professionale alle difficoltà tecniche implicate da una colossale fantasia di distruzione totale di un Nemico Malvagio’’. La minaccia sovietica, minaccia contro ‘’il nostro stile di vita’’, era davvero surreale, psicotica, una vera paranoia che portò gli USA ad applicare una politica di sterminio contro i popoli coloniali e post-coloniali. Paul Johnstone, in Progetto Apocalisse, rileva l’esistenza di una piramide imperialistica; al vertice si colloca il complesso militar-industriale, poi le lobby vicine ai grandi Stati imperialistici (es. la lobby sionista) e soltanto molto dopo il governo e le multinazionali. Il potere politico è subordinato a quello dei grandi gruppi capitalistici vicini all’esercito, diventando una elite subordinata. La sua analisi – ed è questo il metodo di comparazione che intendo proporre – si affianca a quella di Paul Craig Roberts. Una citazione potrebbe aiutarci a capire molte cose:

‘’Il presidente Reagan e il presidente sovietico Gorbacev eliminarono il rischio dell’Armageddon negoziando la fine della Guerra Fredda. I neoconservatori, impegnati a perseguire il loro obiettivo di egemonia mondiale degli Stati Uniti, hanno riesumato la possibilità di un conflitto nucleare. I neocon ci hanno portato dalla MAD alla madness’’ (Paul Craig Roberts)

Il Progetto Apocalisse delinea uno sfiancante braccio di ferro fra il potere politico (imperialistico) nord-americano ed il complesso militar-industriale (super-imperialistico) con la vittoria, arrivati a questo punto schiacciante, del secondo sul primo. Diana Johnstone (che ha studiato con attenzione le carte del padre) evidenzia un punto importante: la potenza della bomba atomica rese Truman ‘’euforico per il possesso di un simile potere’’ fornendogli la sicurezza necessaria per rimangiarsi gli accordi conclusi con Stalin, dando inizio, di conseguenza, alla Guerra Fredda. Una catastrofe imminente. Quando iniziò questo devastante (fra guerre, colpi di Stato e rivoluzioni colorate) ‘’braccio di ferro”? L’autore del Memoriale si lamentò, più volte, della politica punitiva inferta alla Germania ed al Giappone, una politica tanto pericolosa quanto controproducente ma, rileggendo il testo, un passaggio mi sembra eloquente: ‘’In un certo senso, in quei giorni il concetto di potenziale economico di guerra veniva comunemente associato all’idea che alcuni Stati fossero intrinsecamente aggressivi, e altri – altrettanto intrinsecamente – amanti della pace. Perfino un’organizzazione come l’Istituto Brookings pubblicò nel 1955 un libriccino intitolato Il controllo della Germania e del Giappone, redatto dal presidente dell’Istituto, Harold G. Moulton, e da un altrettanto distinto co-autore francese, Louis Marlo, che in tutta serietà affrontava il problema di come prevenire rinnovate aggressioni da parte di queste due nazioni intrinsecamente bellicose dopo la loro sconfitta’’. Gli USA riesaminarono (evidentemente con scarsi risultati) il fallimento del Trattato di Versailles ‘’come strumento atto ad impedire alla Germania di riarmarsi e di riprendere le sue abitudini intrinsecamente bellicose’’. Ci sono due problemi che emergono: (a) mi sembra inopportuno appioppare ad una nazione una natura bellica o addirittura malvagia, tralasciando gli ‘’Stati’’ artificiali come Israele ed il Kosovo. Le guerre vengono pianificate dalle elite, per il profitto di pochi, sulla pelle dei popoli e dei lavoratori. (b) gli USA, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si assicurarono di vincolare Germania e Giappone alla loro struttura socioeconomica – in poche parole imponendogli il loro modello capitalistico – iniziando la destabilizzazione strisciante fin dai fatti di Berlino ’53, del blocco sovietico.

L’obiezione di Paul Johnstone – che fu alla base della sua lotta contro il complesso militar-industriale – è di metodo, inerisce il profondo distacco fra i servizi di intelligence e l’opinione pubblica. La CIA, ben presto, si trasformò in un apparato burocratico necrotizzato capace di commettere – Johnstone li cita ad uno ad uno – crimini orrendi in tutto il mondo. Il merito dei Johnstone (padre e figlia) è quello di averci svelato questo meccanismo perverso e Paul, avendo lavorato per (ed in opposizione) al Pentagono ci spiega, con una documentazione inoppugnabile, come questa burocrazia, ambigua fin dai tempi del conflitto contro il nazifascismo, abbia teorizzato la guerra termonucleare, una guerra di sterminio di proporzioni pan-planetarie. Le sue valutazioni riguardanti il mondo dell’intelligence meritano d’essere riportate.

‘’Il Congresso e l’esecutivo decidono bilanci e linee politiche sulla base delle comunicazioni inviate loro dalle agenzie di intelligence, che naturalmente sono di norma più dettagliate delle informazioni a disposizioni del pubblico.

Sono convinto che agli occhi di chi vi è stato immerso profondamente e in seguito ha avuto il privilegio di poterla osservare con un certo distacco, l’intelligence militare appaia come un mondo fatto di luci tremolanti, ombre oscure, musica di sottofondo e rumori soffusi, appena percettibili sotto l’accompagnamento di squilli di trombe che segnalano le terribili minacce in agguato contro di noi nelle tenebre circostanti’’

La realtà dell’intelligence è una realtà spettrale, il cittadino non può comprenderla, non può entrare a fondo dei suoi meccanismi perversi. Ne ha paura, la teme, non si sente protetto perché gli è socialmente ostile. L’universo totalitario di Orwell prende forma in uno Stato, quello nord-americano, apparentemente democratico. Negli anni ’80 la situazione muta ulteriormente, la macchina burocratica diventa sempre più settoriale ed il suo approccio, deduttivo, incompleto. La CIA può assassinare facilmente un dissidente politico, rovesciare un governo scomodo pianificando una ‘’rivoluzione colorata’’, scavalcare il governo eletto portandolo in guerra (magari su mandato della lobby sionista), ma non è capace di fare previsioni, di analizzare la realtà sociale e prevederne le dinamiche. Usa i terroristi, li compra a suon di dollari, ma non può e non sa combatterli. E’ una macchina necrotizzata che mantiene soltanto la funzione repressiva.

Domanda: quando l’elite militare scavalcò quella politica? Johnstone cita un fatto eloquente:

“Questo apparve manifesto qualche anno dopo, nella primavera del 1961, all’inizio della presidenza Kennedy e durante il primo anno in cui Robert McNamara fu Segretario della Difesa. Fu un periodo in cui la maggior parte di noi civili del WSEG godette, ritengo, della massima fiducia mai accordata dalle alte sfere militari a degli stretti collaboratori civili. Nelle sue prime settimane da segretario, McNamara preparò un lungo elenco di domande alle quali desiderava avere risposta al fine di disporre di informazioni sufficienti a consentirgli di prendere decisioni politiche importanti. Girava voce che in tutto le domande fossero un centinaio. Fornire le informazioni necessarie per rispondere alla maggior parte di esse richiedeva una considerevole mole di lavoro. Le domande furono distribuite tra le forze armate e alcuni gruppi di ricercatori interni, in particolare un gruppo di analisti operativi reclutati da McNamara (molti dei quali prelevati da RAND grazie ai buoni uffici di Charlie Hitch, passato dall’incarico di direttore della Divisione Economia a quello di Sovrintendente del Dipartimento Difesa e destinato a divenire in seguito presidente dell’università della California’’.

Il fatto urtò moltissimo le forze armate le quali non tolleravano né il tentativo governativo di scavalcarle, né la profonda ignoranza politica delle questioni militari. Domanda: fu questa ignoranza, quindi questa ‘’non conoscenza’’, a permettere al complesso militar-industriale (come spiegò Alan Hart) di assassinare il presidente Kennedy? Da quel momento il complesso militar-industriale USA scalò la piramide imperialistica mondiale diventando il nemico Numero Uno dei popoli che intendono liberarsi dalla schiavitù neocolonialistica. La macchina capitalistica USA è finalizzata ad ‘’immaginare l’Apocalisse’’ (parole di Johnstone), una guerra d’annichilimento sociale contro le nazioni non integrate all’interno della NATO, senza nessuna remora di ordine morale. L’imperialismo è immorale, al massimo risponde ad una ‘’non morale guerrafondaia’’. Il nostro autore sembra pensarlo, ma, a differenza della figlia, Diana, non lo dice espressamente.

Il Memoriale è caratterizzato dallo sdegno dell’economista ‘’keynesiano’’ impotente ed indignato dal ‘’non capire’’ l’elite militare (per questo l’ho definita burocrazia necrotizzata). Una lunga citazione è, arrivati a questo punto, nuovamente necessaria: ‘’Nemmeno l’importanza del Muro fu compresa in quel momento. Quasi certamente, l’inquietudine che montava all’interno della RDT stava forzando la mano a Chruscev. Che rappresentasse o meno un atto disperato, l’erezione del Muro segnò un punto di svolta nella crisi. Trasferì la tensione nella città stessa, dove la nostra posizione era debole e i problemi non del tutto chiari. La nostra guarnigione di occupazione in città – da sempre un reparto d’elite – era di fatto un ostaggio circondato da forze immensamente superiori, a 200 miglia di distanza da qualunque possibile rinforzo, base di rifornimento o via di scampo. Lo status di Berlino Est – parte di una città conquistata occupata da tutte e quattro le potenze, ma di fatto governata esclusivamente da docili tedeschi dell’Est protetti da carri armati sovietici – era meno chiaro del problema dell’interruzione del traffico alleato lungo l’Autobahn. Si trattava quindi di un problema più complicato da affrontare per chi non fosse direttamente coinvolto’’. La politica sovietica era difensiva, quella statunitense offensiva, imperialistica e sostenitrice di regimi razzisti e dittatoriali. Questo è quello che Johnstone – tecnico del Pentagono, non dimentichiamocelo – si dimentica di scrivere.

Poco dopo la costruzione del Muro di Berlino l’isteria regna sovrana a Washington: ‘’L’indomani (18 agosto), la Casa Bianca annunciò che il presidente aveva ordinato a un reparto di combattimento rinforzato composto da circa 1500 uomini di procedere lungo l’Autobahn fino a Berlino Ovest, per rafforzate la nostra guarnigione cittadina’’. Soltanto uno sciocco la definirebbe una ‘’operazione difensiva’’, nemmeno il democratico Kennedy – piuttosto – ha ceduto ad alcune tentazioni militariste. Insomma, gli USA si riconfermano un paese pericoloso per loro stessi, per l’Europa e per la nazioni non colonialistiche. Da Kennedy a Trump, un susseguirsi di fallimenti. Il leader sovietico – per altri aspetti disastroso – Kruscev aveva ragione quando affermava che ‘’il rifiuto occidentale di sottoscrivere un trattato di pace equivaleva a un tentativo di spezzare il blocco sovietico’’. Gli USA non vogliono la pace, questa verità è ben compresa da Paul e discussa da Diana, saggista schierata su posizioni antimperialiste e giornalista investigativa d’altissimo livello.

La conclusione a cui arriva Paul Johnstone merita d’essere letta:

“In questa partita, il giocatore che riusciva a capire meglio l’avversario aveva un grosso vantaggio. All’apparenza erano i sovietici a disporre di tale vantaggio. Anzitutto, la nostra era una società aperta, in cui ben poco poteva rimanere celato a occhi interessati a scoprire che cosa stessimo facendo. La loro società e il loro governo erano quasi l’esatto opposto. Potevamo scoprire molto attraverso vari tipi di osservazione – ma per quanto riguardava buona parte di ciò che era più importante scoprire, potevamo soltanto fare congetture sulla base di frammenti di informazione che generalmente si prestavano a interpretazioni diverse. Altrettanto importante, forse, era il fatto che i sovietici disponevano di un gruppo di esperti che vantavano un’intera carriera professionista agli studi su di noi’’.

Paul Johnstone era un liberale e anche un anticomunista. Definisce l’Urss una ‘’società chiusa’’ ma omette di dire che l’Unione Sovietica non ha mai fatto una guerra di aggressione neocoloniale; una mancanza grave per un teorico della sua classe. Chissà cosa avrebbe detto di Edward Snowden che ha provato sulla propria pelle i benefici della ‘’società aperta’’ USA, un regime neoliberista definito da Julian Assange ‘’capitalismo di sorveglianza’’. Il nostro autore rappresenta un po’ la coscienza infelice della borghesia nazionalistica ‘’yankee’’ che si guarda dentro, fa un esame di coscienza e prova orrore per decenni di guerre, uccisioni, razzismo ed aggressioni neocoloniali ed imperialiste. Il sogno ‘’keynesiano’’ di Johnstone e Paul Craig Roberts è finito, adesso il nemico principale è il neoliberismo. Paul iniziò ad opporsi al complesso militar-industriale USA ma la figlia, Diana, si è spinta molto oltre i meriti del padre teorizzando il superamento del neoliberismo economico.

Il libro, pubblicato dall’Editore Zambon, sempre attento a questi temi, si basa su fonti di prima mano, difficilissimi da confutare. I meriti di Paul e Diana sono molteplici. Si tratta di un documento fondamentale per chiunque voglia combattere l’imperialismo statunitense, sicuramente il nemico principale dei popoli del mondo. I marxisti debbono riconoscere il ruolo  (e i crimini) dell’imperialismo e non cadere – cosa demistificata da Diana – nella fascinazione della tesi del conflitto inter-imperialistico (gli USA, di fatto, sono un paese super-imperialistico). Le analisi, per questo motivo, necessitano di basi solide ed inattaccabili. L’Editore Zambon, certamente, procede su questa strada.

2 commenti per ““Progetto Apocalisse”

  1. ndr60
    2 Marzo 2018 at 11:56

    Articolo molto interessante, per un libro che (non) sarà recensito dai cosiddetti giornaloni.

    “La politica sovietica era difensiva, quella statunitense offensiva, imperialistica e sostenitrice di regimi razzisti e dittatoriali. Questo è quello che Johnstone – tecnico del Pentagono, non dimentichiamocelo – si dimentica di scrivere”.

    Aggiungo che ci sono ormai decine di documenti declassificati che provano che gli USA sapevano benissimo che l’URSS non avrebbe mai attaccato per prima, e che la corsa agli armamenti, giustificata dalla possibilità del first strike nucleare, era (per l’appunto) una scusa per indurre l’URSS a rincorrerli su questo terreno. Lo scopo era di sfiancare l’economia sovietica, già meno efficiente di quella americana, inducendola a indirizzare tutte le risorse disponibili nella corsa agli armamenti lasciando poco agli investimenti nella società. Così gli USA avevano un duplice vantaggio: 1) rendere necessario il proprio mostruoso apparato militare e 2) far collassare il regime sovietico sotto la pressione di rivolte della società russa contro il proprio governo.
    Obiettivi pienamente raggiunti, anche se per il secondo ci sono voluti 40 anni.

    • ARMANDO
      2 Marzo 2018 at 18:26

      Esatto. E la cosa si sta ripetendo con la Russia di oggi. L’impero non tollera ci siano competitori. Su questi aspetti è necessario insistere.

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