Salviamo i prigionieri palestinesi dal Coronavirus

Il discorso sul coronavirus, o covid19, non si è fermato nemmeno per un minuto. Per ora siamo tutti attenti a seguire gli sviluppi del virus, il numero di morti e il numero dei contagiati, le misure precauzionali e preventive, e le ripercussioni in tutto il mondo sugli aspetti economici, politici e sociali.
Il Coronavirus non si è fermato ai confini o nel cielo di un paese, ma ha superato tutti i confini naturali, ideologici, religiosi e politici; è un virus figlio della globalizzazione, un nemico invisibile e minaccioso che ha sconvolto tutti i paesi, ricchi o poveri che siano, e la quotidianità di milioni di persone.
Penso alle restrizioni che stiamo vivendo per difenderci dal contagio e sperare di tornare alla vita normale, incontrare parenti ed amici e poterli abbracciare. Ma il mio stato d’animo va oltre i confini di casa: va alle persone rinchiuse nelle carceri, in particolare ai prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. E penso alle condizioni carcerarie in cui sono costretti a vivere, donne, minori, malati cronici, e quelli che sono invecchiati e devono scontare condanne lunghissime: cosa succederà loro se il coronavirus superasse i cancelli e le porte delle carceri? Tanto non ha bisogno di chiedere nessuna autorizzazione, per entrare, al contrario dei familiari che impiegano mesi per avere il permesso di visitare i loro cari. La preoccupazione più grave è che il virus possa raggiungere i centri di detenzione israeliani e infettare più di 5.000 prigionieri palestinesi. Il coronavirus, infatti, si sta diffondendo rapidamente, specialmente nei centri di detenzione, che generalmente non sono luoghi idonei a preservare la salute e non favoriscono la sopravvivenza.
Quando arriverà il Coronavirus, ciò significherà che i prigionieri palestinesi saranno condannati a morte certa, perché le carceri non sono attrezzate per fronteggiare la pandemia. Senza il virus, il trattamento è lo stesso per tutte le malattie, che siano malattie mentali o fisiche, tumori, ecc., e cioè solo antidolorifici; quindi, se i prigionieri verranno infettati dal coronavirus, allora le carceri e i centri di detenzione saranno per loro luoghi di sepoltura. Vale a dire che c’è carenza di tutto, dalle mascherine ai respiratori artificiali, agli spazi per evitare il contatto. Qui la questione non è solo umana ma politica; ci vuole coraggio e rispetto delle normative internazionali che riguardano i prigionieri in tempo di guerra, anche perché l’emergenza coronavirus riguarda anche ufficiali e guardie carcerarie israeliane.
La questione dei prigionieri ha bisogno di un intervento urgente da parte della Croce Rossa Internazionale e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che devono assumersi la loro responsabilità, di fronte all’epidemia globale, nei confronti dei prigionieri, donne, uomini e minori, e in particolare dei prigionieri che hanno gravi malattie o soffrono di malattie respiratorie e di infezioni da trachea.
È una campana che suona l’allarme per il pericolo che sta per devastare i prigionieri palestinesi e non solo loro, ma tutti coloro che sono privati della loro libertà. Non possiamo essere complici nel privarli della vita.

Vittoria sofferta - La foto del giorno - Corriere della Sera

Fonte foto: Corriere (da Google)

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