Il telefono cellulare e il nuovo principio di realtà

Prima ancora di scoprire se si realizzeranno, nel prossimo futuro, gli esiti auspicati dal transumanesimo, la Tecnocrazia, che ha scalzato la democrazia imponendosi come forma odierna di organizzazione del potere politico, e il capitalismo digitale che ne costituisce l’ossatura economica hanno già prodotto un nuovo principio di realtà.

 

All’inizio degli anni Duemila, cioè ormai una ventina d’anni fa, si potevano ancora leggere analisi di questo tenore: “il telefono cellulare ha modificato le nostre abitudini. Se due persone stanno conversando e una delle due riceve una telefonata, con non poca ineducazione sempre più spesso si sceglie di rispondere al telefonino, accordando quindi una priorità all’interlocutore a distanza e interrompendo la conversazione con quello in carne e ossa”. Simili descrizioni ci restituiscono l’atmosfera di un’epoca che appare già molto lontana. Perché, nonostante quelle preoccupazioni fossero tutt’altro che infondate, si impone con immediata evidenza che, a vent’anni di distanza, le conseguenze leggibili e pienamente dispiegate superano di molto la soglia e la natura stessa di quelle preoccupazioni. Di sicuro non è questione che si possa relegare solo ai codici della buona educazione. Il semplice timore di una minor importanza della conversazione in presenza è stato ampiamente superato: il telefono cellulare si è rivelato, piuttosto, lo strumento e il veicolo per ottenere una modificazione qualitativa delle forme del pensiero e della socialità.

In primo luogo, vent’anni fa il “telefono” cellulare poteva ancora giustificare il sostantivo. Serviva, infatti, principalmente per telefonare e per inviare messaggi di testo (Android è arrivato nel 2005, il primo i-phone nel 2007; la Nokia garantì per la prima volta l’accesso a internet da un cellulare nel 1996, ma l’uso di massa dovette aspettare ancora più di dieci anni). Negli anni successivi, internet, reso disponibile sul cellulare, è progressivamente diventato l’ambiente utilizzato dal capitalismo digitale per realizzare profitti stratosferici grazie all’adozione di un modello imprenditoriale parassitario e manipolatorio. Si sono mobilitati ingegni finissimi per costruire un’ingegneria comportamentista progettata con un solo scopo, quello di carpire l’attenzione dell’utente per un tempo sempre più prolungato, fino ad ottenere il risultato che moltissime persone di ogni fascia di età passano online parecchie ore della propria giornata. Un numero crescente di persone è di fatto costantemente online.

Per effetto del successo di questo modello imprenditoriale, il cellulare ha reso meno frequenti, se non completamente obsoleti, una serie di oggetti fra i più disparati: la sveglia, gli impianti stereo e i vari dispositivi personali per l’ascolto della musica, le torce, gli orologi, le macchine fotografiche. Un unico oggetto ne ha mandati in pensione molti.

Non solo, ma le abitudini personali e sociali sono state profondamente modificate. Tempi che prima erano separati sono ora confluiti nello stesso oggetto, che per molti versi è la realizzazione del “capitalismo magico”: in un solo onnipresente dispositivo sono presenti i social network, l’intrattenimento, l’informazione. Virtualmente, dunque, è possibile non staccarsene mai e difatti è ormai esattamente quanto accade. Quelli che, come me, sono stati bambini negli anni Ottanta ricordano bene le differenze. Era l’epoca del Commodore, abbastanza accessibile (non per tutti ma per molti, il Commodore 64 costava circa mezzo milione delle vecchie lire nel 1983 a fronte di un reddito medio familiare intorno ai 20 milioni)  e il computer serviva per giocare ai primi, per altro in alcuni casi divertentissimi giochi commerciali (alcuni diventati dei successi arcade) e non di rado era occasione di aggregazione per sfidarsi al gioco del momento. Per ascoltate la musica c’erano lo stereo o il walkman (con le cassette). Per informarsi le fonti erano la televisione, la radio e la carta stampata. E poi c’era il tempo, esteso, per la socializzazione, che avveniva prevalentemente all’aperto, per quelli come me tirando calci a un pallone per strada. Chi ha condiviso le stesse tappe di crescita sa che non è stato solo tempo libero, ma un romanzo di formazione, oggi sempre più espulso dall’infanzia. La separazione dei tempi, comunque, era fondamentale e permetteva un maggior controllo. Se stavi troppo tempo, diciamo un paio d’ore, davanti al computer, arrivava sicuramente un richiamo genitoriale che sollecitava a cambiare attività, magari a fare i compiti, o a uscire con gli amici.

Se il quadro dal quale sono partito, vent’anni fa, permette di misurare le evoluzioni del capitalismo digitale (che ha preso avvio proprio alla metà degli anni Duemila per divenire egemone nel corso degli anni Dieci), gli anni Ottanta del secolo scorso restituiscono dei forti elementi di discontinuità, sebbene molte premesse profonde del tempo presente siano da attribuire proprio a quegli anni.

 

Il telefono cellulare è diventato lo strumento per la costruzione di un nuovo principio di realtà.

Chi si è accorto di vivere nel 2023 e cosa questo significhi, si rende conto che quelle preoccupazioni di vent’anni fa dovrebbero essere lette in fondo come una forma di cauto, involontario ottimismo, che l’epoca sembrava autorizzare. L’interruzione della conversazione oggi è decisamente l’ultimo dei problemi. La conversazione non ha bisogno di essere interrotta, perché più raramente ha inizio. Basta andare in giro o prendere un treno. È sicuro che tutti siano al cellulare e pochissimi impegnati a leggere un libro o in una qualsiasi altra attività.  A questo si aggiunge che non pochi impongono i flussi del loro intrattenimento anche agli altri passeggeri, vista l’invalsa abitudine di ascoltare il cellulare ad alto volume senza l’uso degli auricolari, oppure di parlare al cellulare a lungo e a voce alta. Si potranno ascrivere questi comportamenti diffusi a maleducazione e ovviamente c’è anche questo, ma non si coglierà il punto centrale. Questi comportamenti sono ovunque diffusi perché il principio di realtà è stato sostituito efficacemente. Anche per questa via si capisce che non esiste alcuna distopia da venire, bensì siamo già immersi in un presente dai tratti distopici. Di fatto molte persone si sentono autorizzate a comportarsi in questo modo perché “si può fare”, ossia il possesso di un dispositivo personale privato rende di fatto accettati socialmente, sebbene ricusati da alcuni, sempre più una minoranza a dire il vero, come cattivi impieghi, quegli usi che il dispositivo rende possibili. L’elemento etico e di diritto viene sempre più determinato da quello tecnico. Insomma si può fare tecnicamente e quindi lo posso fare. O altrimenti detto, l’enorme potere economico sottostante, Big Tech, ha imposto in misura crescente una modificazione dei canoni di convivenza sociale accettati relativamente agli usi del telefono cellulare. Si possono fare ancora altri semplici esempi, come la difficoltà che si incontra nello schivare, in un luogo affollato, le molte persone che camminano con lo sguardo fisso sul cellulare. Sono fatti osservativi ormai chiari. Il canone sociale è cambiato.

Il fatto che il principio di realtà sia stato modificato ha delle implicazioni profondissime e proviamo ad esplicitarle in sintesi. Secondo la definizione classica (freudiana), il principio di realtà ha un carattere regolativo dell’attività mentale e comportamentale dell’individuo; gli indica quando è necessario arrestarsi nella ricerca del piacere dettata dall’Es. Il principio di realtà, quindi, si rapporta costantemente sia al mondo esterno che al principio di piacere. Si tratta, insomma, di quel necessario ancoraggio che rende possibile al soggetto rapportarsi a un insieme condiviso di regole sociali, comprendendo che non è opportuno infrangerle. È pertanto, un principio di mediazione, che, in stretta correlazione al principio di piacere, si misura costantemente con la realtà. Ampliando la definizione freudiana, il principio di realtà si lega all’insieme delle regole sociali interiorizzate entro le quali si muove l’attività del soggetto.

 

L’avvento del capitalismo digitale ha sovvertito la natura del principio di realtà, creandone uno nuovo. Ma come è stato possibile ottenere questo risultato?

Per renderne conto, dobbiamo in primo luogo tornare alla natura del modello imprenditoriale alla base del capitalismo digitale. Abbiamo già detto che tale modello è sia parassitario, perché le grandi multinazionali digitali realizzano utili senza precedenti nella Storia solo grazie alla presenza online degli utenti, sia profondamente manipolatorio,  per via della natura invasiva e opaca che assumono i processi di profilazione ed estrazione dei dati comportamentali degli utenti, venduti ad aziende terze e immagazzinati in giganteschi Data center (dei quali molti utenti ignorano la stessa esistenza) nei quali si trova alloggiata la nostra identità digitale. Rimane da aggiungere che l’utente, ridotto a una monade orbitante attorno al nuovo potere tecnocratico, ossia a tecno-suddito, viene dal potere continuamente lusingato e vezzeggiato. L’impiego di algoritmi sempre più sofisticati consente infatti di costruire un’offerta di flussi pseudo-informativi e di intrattenimento sempre più ritagliati su misura per l’utente in modo da mostrargli una porzione della realtà, secondo meccanismi di tipo sostanzialmente confermativo. Si noti solo per inciso che queste dinamiche rinforzano comprensibilmente l’effetto di una crescente quanto improduttiva e fuorviante polarizzazione del discorso pubblico. I social network, dunque,  sono di fatto delle protesi narcisistiche che consentono a ciascun tecno-suddito l’ostensione virtualmente illimitata di sé (della propria immagine o del proprio punto di vista) in cambio della definitiva rinuncia ad incidere nel mondo vero. In altre parole, il capitalismo digitale, che del resto costituisce una specializzazione del neoliberismo, rilancia e porta al livello successivo i dogmi del Mercato e dell’individualismo competitivo. Tant’è vero che le aspettative di ascesa sociale, mortificate dalla precarizzazione e dalle nuove povertà, sono alimentate proprio attraverso l’uso degli stessi strumenti e contenitori elargiti dal potere.

Siamo così in presenza di un nuovo principio di realtà. Il tecno-suddito pensa entro i limiti tracciati dal potere che gli fornisce i giocattolini senza i quali non esiste; non mette mai veramente in questione il potere perché è stato ormai asservito ai suoi strumenti, ai suoi apparati, ai suoi protocolli. Propriamente, giacché il potere si alimenta del solo fatto che quegli strumenti siano usati, sono in linea di principio preclusi usi virtuosi:  ad essere decisivo è il fatto che quegli strumenti siano costantemente utilizzati, non il modo in cui vengono usati. Questo significa anche che il capitalismo digitale, che costituisce l’ossatura economica del potere tecnocratico, ha ridefinito in senso specifico il rapporto dominatori /subalterni. I primi si identificano nell’èlite tecno-finanziaria dei capitalisti di sorveglianza, i secondi spaziano sostanzialmente dalle classi popolari al ceto medio impoverito, una sorta di terzo stato globalizzato che, però, continua di norma a pensare le proprie possibilità di riscatto o di ascesa entro il perimetro ideologico tracciato dai dominatori.

Prima ancora di scoprire se si realizzeranno, nel prossimo futuro, gli esiti auspicati dal transumanesimo, la Tecnocrazia, che ha scalzato la democrazia imponendosi come forma odierna di organizzazione del potere politico, e il capitalismo digitale che ne costituisce l’ossatura economica hanno già prodotto un nuovo principio di realtà. A tutti i livelli, il principio di realtà così come l’abbiamo conosciuto fino a ieri è stato sostituito. Sia che lo si voglia intendere nella sua accezione freudiana, sia che se ne voglia ampliare la definizione. Sia nelle pratiche digitali individuali, sia nelle forme dell’interazione sociale. La partita che si sta giocando non è solo economica, ma antropologica. L’èlite tecno-finanziaria persegue il progetto di una ristrutturazione antropologica il cui obiettivo, in larga parte già conseguito, è forgiare il tecno-suddito. Il mondo digitale nel quale vive l’utente-suddito è caratterizzato dall’iper-frammentazione e dal ripiegamento narcisistico. Esso comporta dunque l’atrofia della coscienza sociale, alla quale viene sostituito l’io digitale, iper-frammentato, isolato e incapace di pensarsi collocato in una collettività diversa dal Mercato. Il nuovo principio di realtà è ritagliato su misura dell’io digitale e sul terreno della liquidazione della coscienza sociale.

Il volto dell'uomo risucchiato nel suo telefono Immagine e Vettoriale -  Alamy

Fonte foto: da Google

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