Gli elfi e il Natale di Van’ka

Ci separano pochi giorni dall’appuntamento liturgico più sentito della cristianità, celebrato in forme molteplici, che coinvolge una consistente parte degli abitanti di questo pianeta, anche non cristiani per gli effetti del mercatismo globalista che insinua, instilla, detta mode, tendenze e consumi facendo leva sulla dissoluzione di memorie, usi, culture.

Gli elfi dalle orecchie allungate che c’entrano con le nostre tradizioni? Un innesto alla potente contaminazione e importazione della figura di Babbo Natale, questi folletti aiutanti/ delatori, ormai inseparabili dal buon vecchio. Servono allo scopo, ossia caricare l’immaginario collettivo e attivare nuovi meccanismi consumistici. Allora si dia spazio agli gnomi della mitologia nordica. La slitta e le renne non bastano più. Occorre altro da mettere sull’altare della mercatura. L’imperativo è intontire, abbagliare, inebriare di effimero, muovere affari.  Non importa se a tutti sarà concesso di attingere alle voluttà natalizie, di partecipare al “banchetto”. Anzi, specie di questi tempi, moltissimi saranno esclusi o relegati al ruolo di spettatori. L’importante è che lo sfavillìo sia funzionale alla kermesse e sia corrispondente ai suoi standard. La centrifuga globale, per l’occasione, si mette al massimo della velocità per ottimizzare la ghiotta occasione. Si polverizzano miliardi di superfluo, dai diamanti griffati alla chincaglieria di plastica, dal caviale spruzzato di polvere d’oro al cotechino della grande distribuzione. Sul tappetto della festa restano immutate le povertà, le ingiustizie, gli squilibri, le violenze, i rapporti di forza, le illusioni a cui, umanamente, tutti ci aggrappiamo, come il piccolo Van’ka dell’omonimo racconto di Anton Cechov. Il bambino, uno sconfitto come tanti altri personaggi dello scrittore, nella sua condizione di offeso della storia e della Storia, scrive al nonno perché, in nome di Cristo nostro Signore, lo salvi, lo porti via dalle botte, dalla fame, dalla paura, dalla solitudine. Un orfano dimenticato che, nell’accorata lettera indirizzata “Al nonno, al villaggio “, esprime i sentimenti di chi non ce la fa più.

Probabilmente, nel racconto, affiorano i fantasmi dell’infanzia di Cechov, lui che era discendente di servi della gleba affrancati e che a Taganrog in cui era nato e cresciuto, vedeva il succo del mondo, dominato da un materialismo irreversibile, dai bisogni elementari alle ambizioni più elevate. Nella cittadina era già ben delineata la grettezza borghese, protesa solo all’avidità arraffatrice che l’autore ripropone in personaggi memorabili della  sua produzione artistica. Uguale allora come oggi l’egoismo infestante di una classe sociale che si è fusa totalmente con il sistema.

A noi, come suggerisce Alba de Céspedes nel romanzo “Il rimorso”, due strade:
«Lo so: dal momento in cui accetto i vantaggi di un determinato sistema economico – in qualunque proporzione, a qualsiasi livello – implicitamente rinuncio alla mia condizione di dissidente; così come, rifiutandoli, assumo quella del relitto sociale.

In quest’ultimo caso, tra l’altro, rimarrei escluso da ogni compagnia stimolante; giacché oggi la maggior parte di coloro coi quali posso avere un utile scambio di idee, vive a un livello economico che, per mantenerlo, richiede la totalità o quasi del tempo disponibile. Inoltre l’ordinamento cosiddetto borghese non attribuisce alcun valore etico al rifiuto del continuo moltiplicarsi delle nostre necessità e dei nostri desideri: al contrario, lo reputa una colpa.»

Eppure, in questa gabbia di meschini interessi e fallite velleità in cui l’umanità si dibatte, lo scrittore intravedeva uno spiraglio : la scrittura – anche la lettera ingenua di bambino – e la coltivazione  intellettuale, per il raggiungimento del vero bene.

Il costante esercizio dell’intelligenza che, nel racconto “Reparto n°6”, è definita “piacere insostituibile”, è indubbiamente una prima necessaria forma di resistenza. Purché si confronti con la realtà cosicché, ben vengano gli elfi per fare sognare i nostri bambini, ma non si dimentichino i milioni di Van’ka per riscrivere il finale della storia.

Per chi volesse leggere il racconto dell’apprendista ciabattino, cliccare qui.

GLI ELFI | Blog di PARLIAMO TEDESCO.altervista.org

Fonte foto: da Google

 

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