«È la nostra gente», reclama Fabrizio Marchi dalle pagine del suo nuovo libro, riflettendo sullo stato di abbandono in cui versano nelle periferie delle nostre città quei settori popolari che un tempo costituivano il proletariato ed il sottoproletariato, bacino elettorale della Sinistra storica, la quale ricambiava prendendosi cura delle loro istanze e fornendo un punto di riferimento culturale e sociale. Ecco, è appunto questo riferimento che negli ultimi quarant’anni è venuto progressivamente a mancare, sostituito nel tempo dall’ideologia politicamente corretta che Fabrizio Marchi individua nell’azione combinata di altre ideologie, tra cui il “diritto umanismo”, il relativismo assoluto, il femminismo, il genderismo e l’eugenetismo. Con il primo si rivendica il diritto di fare la guerra ed esportare civiltà in quei paesi che, secondo la vulgata mediatica asservita al capitale, non rispetterebbero le idee e i costumi occidentali. Con gli altri si attacca il maschile ed il paterno, la cui stabilità potrebbe costituire un intralcio alla riproduzione e diffusione del capitale, che necessita di individui isolati che abbiano interiorizzato la cultura consumistica. Così i centri commerciali si riempiono di persone il cui unico scopo è soddisfare l’impulsivo bisogno di fare acquisti.
Con un’ingerenza nel privato oltre che nel pubblico il capitalismo ha colonizzato ogni ambito dell’agire umano, arrivando là dove nel passato non si era mai spinto, cioè introducendosi nell’intimità dell’individuo durante il delicato processo di formazione dell’identità sessuale. È in questo processo che il femminismo nelle sue ultime vesti dell’ideologia Gender svolge la sua azione e funzione per conto del capitale, aggredendo l’individuo quando è più vulnerabile, durante cioè l’infanzia, mettendo dubbi, manipolando, influenzando durante la crescita per costruire nomadi senza identità e coscienza, contenitori vuoti che non opporranno resistenza ad interiorizzare la legge del consumo.
Per i maschi soprattutto non vi è pace neanche da adulti, a meno che non si appartenga alle classi dominanti che non sono evidentemente obiettivo del livore femminista. Le quote rosa vengono rivendicate nei posti di potere, non nelle miniere o nei cantieri edili. Quelli che invece Fabrizio Marchi definisce “uomini beta” sono costantemente vilipesi, oltraggiati, costretti a prendere su di sé il peso di una colpa millenaria che la narrazione femminista ha intessuto sul concetto di un presunto e sempiterno patriarcato, istituzione che nella storia avrebbe oppresso le donne tutte. Non apparteneva però ad alcuna classe privilegiata il nonno dell’autore, che spalava carbone sulle locomotive ed ha partecipato a due guerre, dove fu ferito ad un polmone da una scheggia di shrapnel. Né si sente privilegiata la maggior parte degli uomini, che vive una vita fatta di fatica, sacrifici e dedizione alla famiglia, quest’ultima oggetto di attacco da parte dell’ideologia Gender che la vorrebbe fluida e divisa, con una figura paterna debole o assente. Il capolavoro del capitalismo è stata l’abilità nel mettere l’uno contro l’altra l’uomo e la donna, l’operaio e l’operaia, il marito e la moglie, e distogliere così la loro attenzione dalla lotta di classe. Quarant’anni di attacco ideologico, di propaganda pr i diritti civili e consapevole oblio dei diritti sociali, con il capitalismo che nel tempo ha assunto una dimensione ontologica e la Sinistra scomparsa in seguito al crollo del muro di Berlino, hanno però creato nel mondo occidentale uno spazio per la crescita di un antagonista, la destra populista, che sta raccogliendo consenso proprio tra quella gente che la disgregazione della Sinistra ha lasciato sola e senza orizzonti culturali e politici. Divide et impera, così con le guerre, legittimate dal pretesto di esportare democrazia e “liberare le donne dal burka”, si creano profughi e dall’altro lato si mettono i penultimi contro gli ultimi, i lavoratori italiani contro gli immigrati, in una guerra tra poveri che ha lo scopo di volgere in altra direzione le energie per istanze che nessuno vuole rappresentare. Da un lato l’ideologia politicamente corretta lavora per legittimare l’aggressione a paesi sovrani, dall’altro la destra, che ha nel tempo modificato abiti e facciata con notevole abilità, si prende cura di assorbire e convogliare in consenso politico il malcontento e il disagio sociale dei ceti popolari: un disegno lucido e talmente ben ideato da meritare ammirazione. Nonostante questa convergenza di intenti, destra e sinistra sono abili ad allestire la finzione di una contesa tra ideali vetero borghesi di stampo reazionario e ideali liberisti e riformisti della sinistra radicale. Il capitalismo ha dimostrato di saper convivere con entrambi, a seconda delle necessità e convenienze storiche, ma nel frattempo il processo di forte “laicistizzazione” del sistema capitalistico sembra divorare tutto nel suo percorso senza ostacoli, tanto che anche la chiesa cattolica, un tempo puntello ideologico del vecchio sistema borghese, sembra aprire spiragli allo spirito del tempo. In un contesto in cui tutto è ridotto a merce, inclusa la sessualità, chi non possiede capitale si trova in una condizione di subordinazione. Ecco perché a trovarsi in tale condizione sono prevalentemente gli uomini poveri, che nei confronti delle donne sono nella posizione di dover chiedere, cosicché le stesse donne, che un tempo si pensava potessero rappresentare l’origine di un possibile cambiamento rivolizionario, sono diventate complici e utile accessorio del capitale, facendosi per esso – consapevolmente o inconsapevolmente – uno strumento di controllo. È in quella zona, che Fabrizio Marchi definisce con il termine “psicosfera”, che questo strumento agisce, condizionando idee, pensieri e comportamento, in totale ed assoluto dominio. In fondo la sessualità femminile è sempre stata un forte incentivo per gli uomini, e l’abilità del capitalismo sta nell’essere riuscito a trasformarla in forma di capitale e merce. Da ciò nasce il desiderio maschile di accumulare denaro, di competere per raggiungere vette precluse ai più, di aderire al sistema dominante nell’illusione di poter vincere. In fin dei conti il lavoro è per le donne una possibilità di realizzazione personale, una scelta cui, volendo, potrebbero rinunciare per dedicarsi alla famiglia, mentre per gli uomini rappresenta un imperativo categorico, il punto attorno al quale ruota la loro stessa esistenza. Il modello del maschio vincente è innanzitutto un modello tramandato di madre in figlia, cui gli uomini devono tendere per non essere esclusi ed emarginati, ed è anche per questo che le dinamiche di potere appartengono in egual misura a uomini e donne.
Tutto ciò ed altro è affrontato nel libro da Fabrizio Marchi con la consueta chiarezza espressiva e la capacità ammirevole di saper raggiungere un ampio ed eterogeneo gruppo di lettori per mezzo della sua dialettica costituita da argomentazioni logiche e sequenziali. Le questioni sotto la luce della sua analisi sono molte, eppure sono legate da una trama robusta che accompagna il lettore dalle prime alle ultime pagine del libro. L’autore, nonostante dipinga una realtà a tinte fosche, non abbandona la speranza che una vera uguaglianza tra uomini e donne sia un giorno raggiunta, non tralasciando di ammettere che per ottenere ciò occorrerà un duro lavoro sulle coscienze degli uni e delle altre, lavoro che potrebbe produrre come effetto il crollo dell’impalcatura che sorregge l’ideologia del sistema dominante. Noi, come suoi lettori, ce lo auguriamo tutti.