Critica della ragione liberale

Emanciparsi dal linguaggio corrente con i suoi dogmi necessita di un lavoro archeologico che possa mettere in luce le strutture filosofiche e razionali della realtà. Si tratta di rendere razionale e reale il presente storico, per tale operazione bisogna comprenderne il tipo di razionalità che la guida e sostanzia. Il fatalismo e la naturalizzazione del presente sono irreali ed onirici, ci inducono a pensare il reale storico come l’effetto di legge naturali a cui adattarsi. Razionalizzare il presente storico significa astrarne il reale-verità per poterlo trasformare. Il reale storico è posto da condizioni strutturali e sovrastrutturali che non sono inattingibili ed intrasformabili, ma sono costituite da contingenze storiche prospettiche utilizzate per il dominio globale. Si fa palese la struttura ideologica del reale descritta da Marx, si fa valere come universale ciò che è parziale per celare interessi economici di una minoranza. La razionalità che governa il mondo globalizzato, non è neutra, non è un’ipostasi, ma è espressione della cultura neoliberista e delle classi a cui è associata.

Andrea Zhok in Critica della ragione liberale una filosofia della storia corrente ci è di ausilio per defatalizzare il presente. Nel testo si analizza il lessico quotidiano liberandolo da incrostature dogmatiche. La parola libertà, è tra le più abusate e  scontate. Il termine libertà, invece, si può declinare in una pluralità di modi. La libertà  si può definire “negativa”, nel caso un ostacolo non impedisca la realizzazione di un’attività, l’ottenimento di un fine. Il paradigma entro cui leggere la libertà negativa è di tipo meccanicistico, per cui il reale è solo movimento e materia, il soggetto si muove in tale universo meccanico solo per soddisfare i suoi bisogni. Si tratta di una libertà che ha come centro l’individuo sciolto da ogni legame con la comunità.  La libertà positiva è di altro genere, essa implica la partecipazione politica alla comunità, l’individuo non è astratto, ma è legato in modo responsabile alla comunità tutta. La libertà negativa non conosce limiti ed è funzionale all’attuale sistema di mercato che ha tra i suoi capisaldi irrinunciabili il principio di non soddisfazione, ovvero, perché il mercato viva e si espanda bisogna formare consumatori dagli appetiti insaziabili. La libertà positiva si connota per il senso etico del limite e dell’appartenenza comunitaria. Naturalmente la libertà negativa di matrice hobbesiana ha prevalso, anzi, la libertà è declinata solo nella forma astratta dell’individualismo, per cui esseri liberi significa, nell’accezione attuale, che nessuna interferenza ostacoli fini e desideri:

“A partire da Hobbes, e poi in tutto il nucleo principale del pensiero liberale, si affaccia un concetto del tutto diverso di libertà. Hobbes rigetta esplicitamente la concezione di libertà repubblicana sostenendo che essa concerne solo le comunità e non gli uomini particolari. Al suo posto subentra quella nozione di libertà negativa che da allora in poi verrà considerata sempre più spesso come nozione fondamentale, ovvero un’idea di libertà come semplice non interferenza, come assenza di ostacoli o coazioni[1]”.

L’antiessenzialismo della libertà negativa diventa il fondamento del neoliberismo, per il quale non esistono comunità o patrie, ma un mondo globale che si offre come un’immensa  possibilità di soddisfazione dei  desideri individuali.  L’altro è solo un ostacolo nella competizione globale, è il nemico da abbattere. Il conflitto interiore tra particolare ed universale è anch’esso da rimuovere in nome dell’imperio dell’individuo e della sua transumanza identitaria. Nessuna comune natura limita lo spazio d’azione dell’individuo, ma le identità sono da consumare e godere come ogni bene di consumo. Foucault è stato l’araldo della dissoluzione delle identità, della fine della storia, di ogni ipotesi dell’idea di natura usato dal sistema per autolegittimarsi:

“L’opera di Foucault, che si sviluppa prima del ’68, avvia (ad un alto livello di elaborazione) una demolizione dei concetti portatori della riflessione occidentale: l’identità personale e l’unità del soggetto, l’oggettività del vero, il senso della storia, la ricerca dell’essenza o natura, l’idea di umanità[2]”.

 

L’esoscheletro compensativo

In assenza di una comune natura, se l’individuo è emancipato da ogni legame etico ed ontologico con l’alterità, ciò che sostiene il soggetto all’interno del mercato globale è la categoria della quantità. I beni materiali sono l’esoscheletro dell’individuo, il vuoto ontologico è compensato con i beni materiali. Si ottiene, così, un doppio risultato, si indebolisce la struttura identitaria e comunitaria del soggetto e si favorisce il mercato globale che necessita di consumatori senza comunità:

“La dinamica consumistica presenta due aspetti. Il primo è la funzione di controllo ed esercizio di potere data dall’acquisto: in un mondo in cui i margini di controllo/previsione sui destini propri e altrui vengono progressivamente ridotti, l’acquisto di beni o servizi rappresenta psicologicamente una forma di “rivalsa” del soggetto, che trae dall’appropriazione un soddisfacimento in termini di esercizio di potere, di controllo apparente. A un secondo livello, più profondo, il consumo di beni di valore simbolico rappresenta un tentativo di supplire all’impoverimento della personalità, compensandolo con “protesi dell’anima” nella forma di possesso di cose[1]”.

L’economico è inglobato nelle relazioni, assimila ogni aspetto della vita sociale per ridurla ad automatismo organico al profitto.

 

L’antindividualismo liberista

L’individualismo con annessa libertà negativa, svela il carattere irrazionale della razionalità neoliberista, poiché indebolisce l’identità individuale, fino a renderla semplice protesi del mercato che compensa l’impotenza perenne, il vuoto ontologico con i beni di consumo. Si rende palese che i diritti di natura proclamati dalla cultura liberale con Locke, non sono che finzioni per scalzare l’ancien regime, per cui il fondamento del liberalismo è sostanzialmente nichilistico, poiché per affermare il mercato deve indebolire e destrutturare le personalità:

“Le concezioni dell’individuo umano come originario e irriducibile, e del valore come appagamento interiore (utilità percepita), sono incardinate nella spina dorsale della concettualità economica. La realtà umana, la concretezza storica e antropologica, vengono perciò sempre lette come una sorta di eccezioni, di deviazioni, più o meno marcate e possibilmente da correggere, invece l’astrazione di partenza appare per la moderna riflessione economica come un “luogo naturale” aristotelico, un punto di attrazione cui si tende a ritornare sempre, salvo esplicito impedimento. Una volta compresa l’essenziale continuità tra la ragione liberale classica e la razionalità economica classica, si comprende la naturalezza dello sbocco neoliberale[1]”.

                                          

Sistema criminale

L’individualismo anticomunitario si concretizza in un sostanziale agire criminale. La razionalità strumentale neoliberale ha quale unico fine quello di trasformare ogni fine in mezzo per l’accumulo. E’ inevitabile che il crimine diventi sistematico, se il denaro ed i beni sono il fondamento del mercato, i limiti etici non hanno ragion d’essere per cui la percezione del crimine si assottiglia fina a diventare nulla:

“E’ stato però più volte osservato come il fattore criminogeno prevalente non sia la povertà in senso assoluto, ma la condizione  di deprivazione relativa in contesti sociali “liberalizzati”: la  criminalità esplode dove i soggetti hanno assimilato la santificazione liberale del perseguimento del proprio interesse e del successo economico, e dove essi siano in condizione di povertà relativa[2]”.

Il crimine è consustanziale al sistema liberale-liberista, in esso prevale l’utile e l’abitudine a manipolare ogni occasione per il plusvalore, diventa quindi inevitabile che si normalizzi la logica del crimine, la quale è interna anche alla legalità riconosciuta. Il saccheggio del pianeta, l’estinzione di culture e lingue, la logica della manipolazione senza limiti non possono non essere giudicati crimini. L’annichilimento del pianeta, crimine genocidario, non può essere fermato, se si resta interni al paradigma neoliberale, poiché l’individualità anarchica e l’obiettivo di incrementare il PIL in assenza di altri valori e progetti politici, non possono che indurre al consumo illimitato[3]. L’impoverimento etico, in tale contesto, è inevitabile, ma esso reca con sé l’urgenza di una trasformazione, di una elaborazione politica per uscire dal paradigma della razionalità strumentale. I problemi etici circa la distribuzione dei beni e la giustizia sociale sono stati posti fin dalle origini dal pensiero liberale, si pensi alla mano invisibile di Adam Smith, la quale è stata un ottimo espediente per rimuovere l’irrazionalità del sistema ed i problemi etici e politici connessi. Le contraddizioni del sistema non possono essere più celate. La verità del sistema è dinanzi a noi, ma la destrutturazione delle personalità inibisce l’azione e lo scandalo etico. Conoscere la razionalità liberale è momento non differibile per uscire dal fatalismo esiziale del neoliberalismo. Alla disgregazione assiologica non si possono opporre facili soluzioni o scelte di compromesso, ma solo soluzioni radicali.

 

[1] Andrea Zhok Critica della ragione liberale Meltemi Milano 2020 pag. 69

[2] Ibidem pag. 240

[3] Ibidem pag. 181

[4] Ibidem pag. 153

[5] Ibidem pag. 192

[6] Ibidem pag. 199

Critica della ragione liberale - Meltemi Editore

1 commento per “Critica della ragione liberale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.