Se è vero – come ho scritto nei miei libri più recenti – che l’uomo contemporaneo ha tagliato le radici che lo legano al passato e ha rinunciato al progetto che lo sospinge verso il futuro, e se è altrettanto vero che la vita dell’uomo si svolge soltanto in un presente retto dalla tecnica, va detto anche che non è semplicemente il “qui ed ora” a strutturare l’esistenza umana contemporanea. In realtà, il presente in cui viviamo è null’altro che un tempo volto ad anticipare gli eventi fino al punto da voler decidere ciò che avverrà domani, al fine da produrre un mondo interamente costruito dall’uomo e dalle sue esigenze.
L’intero sistema/mondo contemporaneo co-agisce in questa direzione e tutte le discipline, dalla genetica all’informatica, dalla biologia molecolare all’immunologia, risultano alleate nel tentativo di rendere presente anche il futuro. Il corpo stesso dell’uomo è ormai un mero oggetto da ricondurre ad un progetto mentale. Nella gran parte dei casi, tale progetto è frutto di un’imposizione sociale sul singolo e, a sua volta, è il risultato delle esigenze della tecnica e degli imperi finanziari che la tecnica stessa sorreggono – e che da essa guadagnano immensi patrimoni.
In questo quadro, non si considera abbastanza, e se lo si considera viene del tutto trascurato, è che l’uomo-macchina comporta inesorabilmente che il represso ritorni ad ossessionare l’esistenza umana. Il ritorno del rimosso si esprime sotto forma di depressione, malattie, incidenti, o semplicemente sotto la forma di un imprevisto che può apparire anche nella forma della catastrofe. L’esistenza umana è fatta di un commistione di probabile e d’imprevedibile. Il tentativo di cancellazione dell’imprevedibile non può riuscire nel suo scopo se non nel senso che, essendo frutto d’angoscia, rende il futuro ancora più minaccioso.