Pecorismo cerimoniale

Ci sono filosofi intramontabili, perchè hanno testimoniato e vissuto la filosofia della prassi. L’appellativo di filosofo in un’epoca di “pecorismo cerimoniale” è inflazionato. Si elargiscono generosamente titoli onorifici, in modo che gli “intellettuali incoronati” possano far cadere le loro parole sulla massa come ambrosia. Si tratta di una tecnica per consentire il silenzio dei sudditi, i quali devono nutrirsi dei dogmi degli intellettuali organici al capitalismo assoluto. Si tratta di figure che reiterano con le loro parole il sistema, lo consolidano fino a rendere il “capitalismo assoluto” una divinità totemica a cui niente e nessuno può sfuggire. Il pecorismo cerimoniale (oratores nel linguaggio di Costanzo Preve) ha il compito di annichilire la prassi e la speranza. Gli oratores sono i testimoni di un’epoca astratta, quasi dei neoplatonici, in quanto rappresentano il tempo contemporaneo come aspaziale e atemporale. Tempo che non passa, pertanto resilienza e libero adattamento coercitivo sono la ricetta per integrarsi e sopportare l’insopportabile. Il fatalismo è il figlio degenere del pecorismo cerimoniale.

Costanzo Preve non fu tutto questo. Il filosofo del capitalismo assoluto e della deduzione sociale delle categorie fu un resistente in perenne esodo dalle asfissianti categorie ideologiche del nostro tempo. Dove vi è filosofia vi è il coraggio del nuovo. Il rischio è grande, i risultati non sono assicurati, ma non vi è filosofo che non abbia il coraggio etico e veritativo di intraprendere un percorso autonomo.

Il dominio marginalizza i pensatori liberi, poiché essi  dimostrano che è possibile uscire dai binari del politicamente corretto nel rispetto della natura umana razionale ed etica.

Costanzo Preve continua ad inquietare, rammenta che la filosofia non è finita con il postmodernismo e con il nichilismo debole che non ha nostalgia per la verità come il nichilismo tragico. L’essere umano necessita di filosofia e di verità, è nella sua natura praticare  la filosofia come l’ombra è compresente al sole.

Costanzo Preve è stato un eretico che ha vissuto libero ma in solitudine la sua passione durevole:

“E tuttavia la prima “eresia” che caratterizzò la mia iniziazione al marxismo stava in ciò, che nell’ambiente che mi era più vicino (la piccola borghesia di Torino di “sinistra”) le due modalità ideologiche dominanti erano quelle dell’antifascismo azionista e dell’operaismo sociologico di identificazione. Entrambe mi erano profondamente estranee, esistenzialmente e culturalmente (inutile qui scendere in dettagli), per cui il mio “tradimento” del profilo identitario piccolo-borghese di integrazione subalterna nel capitalismo non mi portò ad un approdo collettivo nuovo in cui riconoscermi, ma da un’inedita solitudine. Dato il mio sostanziale disinteresse sia per l’antifascismo azionista (Bobbio, Antonicelli, eccetera) sia per l’identificazione operaistica (Panzieri, estremisti gruppettari successivi), il mio approdo al marxismo fu un approdo al marxismo “in solitudine”. Questo non significa affatto – ovviamente – non avere contatti permanenti, amici, compagni, ed anche estimatori. Significa però relazionarsi con i gruppi “militanti” organizzati come ci si relaziona con un autobus di linea. Lo si prende, ma si sale e si scende alla fermata che ci sembra più opportuna[1]”.

 

Filosofo ma non intellettuale

Costanzo Preve non fu né un intellettuale impegnato né un intellettuale organico. L’intellettuale impegnato è perennemente in azione, è invischiato nella storia fino ad esserne travolto. L’impegno implica  la riduzione del tempo del pensiero per capire il proprio tempo storico. L’impegno integrale non conosce sospensione dell’azione, il pericolo conseguente è l’affievolirsi graduale del pensiero teoretico e della lucida comprensione delle circostanze storiche. L’intellettuale impegnato non conosce la dimensione della distanza che consente di ricostruire la genetica dei fenomeni storici senza i quali non si favorisce la consapevolezza generale.

L’intellettuale organico, invece, è fedele al Partito, a una Istituzione o allo Stato, è intellettuale che reca con sé i ceppi e le catene della fedeltà. Non può essere anch’egli un modello di libertà, è limitrofo al potere, e ciò lo rende sospetto, malgrado possa essere “intellettualmente onesto”:

“Dato il clima intellettuale del periodo storico (1956-1991), che poi in una mia opera ho connotato come “tardomarxismo”, non potevo che essere attratto dalla figura dell’ “intellettuale”, nella doppia versione dell’intellettuale impegnato (Sartre) e dellì’intellettuale organico (Gramsci). Oggi sono lontanissimo da questi due profili, e non mi considero più nemmeno un “intellettuale”. So bene che all’interno della divisione del lavoro fra lavoro intellettuale e lavoro manuale ed all’interno di una gerarchia differenziale di conoscenze e di competenze specifiche di fatto si è spesso “intellettuali”, lo si voglia o non lo si voglia, in quanto produttori di profili ideologici articolati e sistematizzati che hanno poi una “ricaduta” ed un utilizzo manipolato da parte di ceti politici specializzati (intellettuali di “sinistra”) o da parte di apparati oligarchici di potere economico con il loro accompagnamento corale giornalistico (“opinione pubblica”, eccetera)[2]”.

Costanzo Preve non si definì intellettuale, in quanto pose in atto l’esodo dalle gabbie d’acciaio del dominio.  Un filosofo non dev’essere né di destra né di sinistra, non può aderire integralmente ad una ideologia politica, deve mantenere una critica distanza, per conservare la libertà per non diventare un funzionario al servizio del potere. Non deve rinunciare all’analisi critica, la libertà del logos non è contrattabile. Il filosofo può essere parte attiva di un’area politica senza diventare speculare ad essa, insomma non deve praticare “il congruismo politico”, deve conservare il coraggio della verità nelle sue analisi.

La figura dell’intellettuale si è costituita nell’Ottocento, essa è espressione delle Accademie universitarie pagate e sovvenzionate dallo Stato. Il becchime dorato dello Stato non può che esigere una implicita fedeltà alle direttive superiori. L’intellettuale che funge da funzionario dello Stato, oggi potremmo aggiungere delle Multinazionali, è sempre prezzolato, pertanto non sarà fedele al suo destino, ma ineluttabilmente dovrà adattarsi ai desiderata del potere. L’intellettuale è una figura della decadenza culturale del nostro tempo: è veicolo di relativismo ed è affetto da citatologia. L’abitudine a superare concorsi mostrando di conoscere e citare il pensiero di “altri”, lo spinge ad essere, in media, sterile e, dunque, un soggetto innocuo. Costanzo Preve non si definì “intellettuale”, il suo percorso di resistenza elaborativa è stato effettuato fuori dalle istituzioni. Egli è stato “fedele al suo destino”, ciò ha permesso  al suo pensiero la radicalità critica e antiadattiva. Da disallineato non ebbe la pretesa di elargire verità, in quanto depositario del sapere. Fu un resistente che pose problemi, domande e soluzioni da condividere. La verità non è un a priori, ma emerge nella dialettica comunitaria con la quale il pensiero diviene razionale, ma affinché ciò avvenga, il filosofo deve portare la radicalità critica nella comunità, dev’essere maieutico e non temere contaminazioni politiche e teoretiche. Non fu filosofo che si adattò, pertanto visse una libera marginalità creativa, fu un resistente critico e propositivo. Questo non gli è stato perdonato e il silenzio è sceso su di lui:

  “ Tipologia di adesione e di adattamento positivo. Questa tipologia assume forme storiche, sociologiche, geografiche, religiose e culturali diversissime, ed è totalmente diagonale fra laici e credenti, poveri e ricchi, uomini e donne, ed è soprattutto diagonale fra Destra e Sinistra, categorie un tempo storicamente efficaci, ed oggi del tutto obsolete, e reimposte artificiosamente come protesi politologiche manipolate di simulazione culturale del conflitto sociale, all’interno di un concetto di post-democrazia come codice d’accesso politicamente corretto e non più come rappresentanza di interessi collettivi di cui si riconosce l’antagonismo.

(2)   Tipologia di adattamento passivo. Questa tipologia è di tipo neoellenistico, in quanto cerca una vita buona , o almeno una vita sopportabile all’ombra del potere. Il potere è riconosciuto come orribile ed inautentico (Umberto Galimberti, eccetera), ma nello stesso tempo le resistenze ad esso sono connotate   come “ancora peggiori”(nazionalismo, religioni, comunismo, eccetera), e si cerca allora una (a mio avviso impossibile e necessariamente “filistea”) vita autentica all’ombra del potere. Questa tipologia comporta ovviamente l’interiorizzazione psicologico-esistenziale della sconfitta, ed è naturale che concepisca l’intero novecento come secolo della follia produttivistica e dell’utopia sanguinaria.

(3)   Tipologia della resistenza. Questa tipologia unifica tutte le forme di resistenza consapevole al capitalismo assoluto di terzo tipo. Chi vorrebbe una resistenza “pura”, senza musulmani, talebani, russi, cinesi, iracheni, eccetera, ma semplicemente occidentalistico-progressistica, mente agli altri ed a se stesso, ed è come se non volesse nessuna resistenza. Ma è giunto il momento di passare agli ultimi due paragrafi di questa autopresentazione. Io sono infatti un aderente alla tipologia dei “resistenti”[3]”.

 

Marxista eretico

L’originalità del pensiero di Costanzo Preve è palese nella sua interpretazione di Marx. Il filosofo di Treviri sistematizzato dai marxisti a cominciare dall’amico fraterno Engels, nell’interpretazione di C.Preve, fu allievo critico di Hegel. Fu dunque allievo parziale, affinò la critica risemantizzando Hegel. L’Idea in Marx è lo Spirito-Umanità che entra nella storia, è l’umanità che attraverso una lunga storia di scissioni supera l’alienazione. Le dolorose scissioni sono la prassi della storia nel suo percorso verso l’universale e il comunismo, nel quale la natura generica umana è pienamente vissuta. Hegel non ha la radicalità di Marx, ma quest’ultimo utilizza in modo originale il metodo hegeliano e sviluppa in modo esponenziale le figure della coscienza infelice e la dialettica servo-padrone.

Costanzo Preve fu considerato nel migliori dei casi un marxista eretico, in quanto la sua lettura di Marx non era gradita alle scuole di Partito e alle Accademie. Costanzo Preve interprete di Marx fu capace di scorgere aspetti rimossi dalla critica ufficiale, in quanto visse fuori dalle istituzioni ufficiali, le quali dovevano produrre un “Marx” non sgradito alle nomenclature accademiche e di Partito. La libertà filosofica affina l’intelligenza critica e teoretica:

 

“L’ispirazione unitaria del pensiero di Marx sta certamente nell’idea di critica, e più esattamente di critica radicale dell’esistente. Critica dell’economia politica borghese-capitalistica, prima di tutto, ma anche critica del diritto, critica della religione, critica della filosofia, eccetera. In questo senso, Marx non è allievo di Hegel, perché Hegel aveva arrestato la sua critica al presente, sottraendo questo presente stesso alla sua critica spietata. E nello stesso tempo Marx resta un allievo del suo metodo e della sua ispirazione, perché Hegel aveva trasformato l’intero spazio della storia della filosofia e della società precedenti in uno spazio di critica radicale. Ciò che Marx fa, e che Hegel non aveva fatto, è estendere il metodo critico al presente. Se comunque prestiamo attenzione al fatto che Hegel aveva criticato realtà politico-economiche a lui contemporanee (giacobinismo francese, liberalismo inglese, conservatorismo di Metternich, eccetera), vediamo che anche su questo punto Marx non era poi così lontano da Hegel[4]”.

Marx filosofo della prassi e ultimo degli idealisti, anzi idealista inconsapevole. L’umanità si emancipa mediante l’esperienza del negativo senza la quale la scissione tra reale e razionale non è risolta:

“L’idealismo di Marx si basa sulla centralità del presupposto della centralità della storia universale dell’umanità pensata come unico concetto trascendentale riflessivo, e quindi necessariamente “ideale”. Secondo il modello di Hegel (ben distinto dal modello dell’idealismo di Platone basato sulla partecipazione e sull’imitazione e dal modello neoplatonico basato sul progressivo allontanamento da una unità primitiva ed originaria), l’Idea diventa Spirito, e cioè idea autocosciente di sé, soltanto attraverso un processo di “alienazione” in cui si sviluppa dialetticamente il “potere del negativo”[5]”.

Costanzo Preve libera, con scandalo dei marxisti dialettici, Marx dal determinismo più riduttivo. La storia non è prodotta da forze sociali ed economiche che predeterminano il risultato finale. Marx è un umanista e pone al centro della storia l’umanità concreta e non certo astratta.

Il materialismo nell’analisi di Marx assume ben cinque significati metaforici i quali sono tutti rapportabili alla radice comune dell’umanità vera forza motrice della storia, la quale è condizionata ma non determinata. La prassi presuppone un margine di libertà e responsabilità senza le quali gli esseri umani sono solo sudditi ed esecutori delle leggi fatali dell’economia. Marx prepara l’essere umano libero ed emancipato e non può certo ipotizzare che è solo un ente prodotto dalle tensioni della storia:

 

“(1)   La materia è metafora di prassi, ed in particolare di prassi rivoluzionaria anticapitalistica, che si opporrebbe alla presunta “contemplazione passiva” idealistica. In realtà l’idealismo (Fichte, eccetera), lungi dall’essere un pensiero della contemplazione o della “interpretazione” (tesi su Feuerbach del giovane Marx), è per natura un pensiero della trasformazione attiva (vedi in Fichte rapporto tra Io e Non-Io).

(2)   La materia è metafora di struttura. La società non viene così “idealisticamente” considerata come un tutto retto da opinioni, convinzioni, idee e valori etici trascendentali e/o razionalistico-immanentistici, ma viene storicizzata in successione di modi di produzione ed infine ideologie e sistemi ideologici opposti di giustificazione e/o di contestazione.

(3)   La materia è sinonimo di ateismo, e cioè di inesistenza di Dio inteso come demiurgo materiale del mondo e come giudice in ultima istanza del bene e del male. Viene così chiamato “materialismo” il punto di vista della autopoiesi progressiva materiale dell’universo senza alcun intervento progettante divino e della connessa origine genetica dei valori morali e religiosi all’interno dello sviluppo storico.

(4)   La materia è metafora della fragilità umana individuale e delle connesse necessità del solidarismo comunitario. L’uomo è un animale particolarmente fragile e “non-specializzato”, riduttore della complessità e del carico di stress (Belastung), ed è quindi ad un tempo necessario e giusto che viva in una comunità solidale, forma sociale “materialmente” corrispondente all’idealità della sua autocoscienza complessiva di superamento dell’alienazione.

(5)   La materia è metafora della necessaria contrapposizione dicotomica nel mondo borghese capitalistico per pensare il concetto di “libertà”, opponendo la libertà formale (borghese) alla libertà materiale (comunista). Marx è infatti un pensatore della libertà,  ed il considerarlo un pensatore del livellamento egualitario forzato è un errore filologico e filosofico[6]”.

 

Marx fu pensatore della libertà, Costanzo Preve fu più vicino a Marx di tanti marxisti, perché non tradì nella sua lettura di Marx ciò che un vero filosofo deve perseguire, ovvero la liberazione e l’emancipazione dalle condizioni che umiliano la natura umana la quale è una unità complessa di razionalità e potenzialità che possono dispiegarsi solo in una comunità libera e consapevole.

Il filosofo deve rompere interpretazioni sclerotizzate dal dominio, è funzionario dell’umanità e non del potere, trasgredire col concetto è la missione del filosofo. Riconoscere il valore qualitativo della filosofia e dei filosofi è il primo passo di un lungo percorso di “uscita dall’antro dell’inclusione”.

Costanzo Preve fu filosofo, confrontarsi e conoscerlo non può che essere d’ausilio per ricostruire la relazione tra la razionalità e la realtà scissa dagli intellettuali di regime, l’irrazionalismo che ne segue è la sostanza dinamica e distruttiva dell’antiumanesimo imperante.

 

[1] Costanzo Preve, AUTOPRESENTAZIONE DI COSTANZO PREVE [SCRITTA DA LUI MEDESIMO], primo paragrafo

[2] Ibidem, primo paragrafo

[3] Ibidem, paragrafo VI

[4] Ibidem, paragrafo III

[5] Ibidem, paragrafo III

[6] Ibidem, paragrafo III

Per capire Marx ripartiamo da Hegel» - L'Espresso

2 commenti per “Pecorismo cerimoniale

  1. Giulio Bonali
    27 Luglio 2023 at 9:50

    Premetto che ho avuto la fortuna di una sia pur fugace e non profonda conoscenza personale di Costanzo Preve all’ inizio di questo millennio in occasione di lotte contro l’ imperilaismo americano e in particolare contro la seconda guerra all’ Iraq, quando lo schierarsi dalla parte del popolo e criticamente anche del governo ingiustamente aggrediti con mezzi biecamente terroristici e violatori delle convenzioni internazionali a limitazione delle violenze belliche e a tutela delle popolazioni civili voleva dire essere bollati dalla “sinistra” complice con l’ infamante, tragicomica accusa di “rossobrunismo”; e di apprezzarlo per il suo impegno (termine che impiego di proposito, provocatoriamente), da filosofo (che si definiva non-intellettuale) quale era, in quelle lotte sacrosante e difficili e per l’ appunto “impegnative”.

    Dopo di che non posso che manifestare il mio dissenso dalle pretese che:

    l’ impegno politico di un intellettuale necessariamente non consenta il tempo di pensare criticamente, non conosca la sospensione dell’ azione e favorisca l’ affievolirsi graduale del pensiero teoretico e della lucida comprensione delle circostanze storiche;

    che l’ intellettuale organico (contro la giusta caratterizzazione che ne dà Gramsci) necessariamente sia fedele al Partito, ad un’ istituzione, allo Stato e recherebbe con sé i ceppi della fedeltà;

    che il filosofo non debba essere né di destra né di sinistra, che non possa aderire integralmente ad una ideologia politica, ma debba mantenere una critica distanza (anziché una critica vicinanza e magari perfino una critica adesione, N.d.R.) per mantenere la libertà e non diventare un funzionario al servizio del potere.

    Pretese, che fossero anche di Preve (e almeno in qualche misura credo lo erano) oltre che dell’ autore del presente articolo, per essere franco considero espressione di deteriore individualismo e narcisismo da intellettuale borghese, specie se “piccolo” (in quanto borghese, sociologicamente e non necessariamente in quanto intellettuale, culturalmente).

    Personalmente ho aderito al comunismo e mi sono iscritto al PCI in giovane età, mettendomi contro i miei familiari (anche i fratelli, oltre che i genitori e soprattutto mio padre) e pagando qualche modesto prezzo personale, in seguito alla formifìdabile esperienza del governo cileno di Unidad Popular (1970 – 1973); e per dieci anni ho militato nel partito con passione e fedeltà ma credo senza mai perdere (in sostanza, posto che errare inevitabilmente humanum est) il mio senso critico e la mia libertà intellettuale, lottando sempre più duramente e soffertamente contro la sua progressiva degenerazione socialdemocratica (successivamente, almeno nel caso dei suoi successori “metamorfoci”, per dirlo col nostro, liberale e filoimperialsitica, decisamente reazionaria), fino a quando la solenne dichiarazione del segretario generale sulla “fine della spinta propulsiva della rivoluzione d Ottobre” ha colmato la misura del mio dissenso, cosicché molto liberamente e credo coerentemente me ne sono andato “sbattendo la porta”.
    Credo di poter dire senza falsa modestia che la mia adesione convinta, a tratti entusiastica a tratti sofferta (sempre di più col procedere della deriva del partito) non ha mai minimamente incrinato la mia libertà di pensiero e il mio senso critico, come secondo me dimostrano i fatti.
    E perché mai avrebbe dovuto farlo?

    Inoltre penso che non sempre necessariamente gli intellettuali sono stati Espressione delle accademie universitarie pagate dallo Stato o servitori o prezzolati dalle multinazionali, con conseguente inevitabile implicita (acritica) fedeltà alle direttive superiori e adattamento ai desiderata del potere in cambio di becchime dorato.
    Sono sempre esistiti intellettuali acritici e conformisti e, anche se molto meno numerosi, intellettuali critici e anticonformisti: non solo Marx, ma per esempio anche il grande Spinoza che esercitò l’ umile mestiere dell’ ottico per poter filosofare liberamente e più recentemente Sebastiano Timpanaro che si manteneva facendo il correttore di bozze, oltre naturalmente al nostro, insegnante di liceo; ma anche nell’ ambito delle accademie, per lo meno in tempi migliori dell’ attuale, c’ é stato chi ha potuto e saputo esprimere liberamente il suo pensiero critico, anche se costoro si possono forse considerare “eccezioni che confermano la regola” (oggi peraltro di fatto del tutto ineccepita; e molto bene illustrata nel suo funzionamento in questo articolo e nelle citazioni di Preve che comprende).

    Non argomento (ma non rinuncio a segnalare) qui il mio dissenso da Preve circa il superamento delle categorie di destra e sinistra (per me si tratta semplicemente di conversione trasformistica da parte della ex-sinistra pressocché in toto alla destra in assenza di una sinistra reale, verace minimamente consistente e men che meno all’ altezza della (pessima) situazione; nonché dalla sua (per me per lo meno teoreticamente “spericolata”, ad essere delicati) interpretazione idealistica (ed “antiengelsiana”) di Marx.
    E non c’ é affatto bisogno di storpiare il consapevole, autodichiarato e tutt’ altro che ingenuo e sprovveduto materialista Marx come preteso idealista per superare le deformazioni oggettivistiche ed eccessivamente riduzionistiche del marxismo (cosa che infatti altri materialistici, perfino dialettici, hanno fatto a mio parere anche meglio di Preve).

  2. Silvio Andreucci
    28 Luglio 2023 at 20:17

    Non rimanere intrappolati nelle ataviche e consunte categorie di ” destra” e ” sinistra”( prodotte dalla Rivoluzione francese e dal Risorgimento italiano e oggi perfettamente funzionali al neo liberismo globocratico fondato sulla propaganda ” antifascista in assenza di fascismo” e ” anticomunista in assenza di comunismo”, una maschera per non combattere il ” capitalismo in presenza di capitalismo” oggi è fondamentale e deve essere alla base di una sintesi metapolitica che peschi contenuti dalla destra culturale( non economica) e dalla sinistra del lavoro e non del costume.
    Faccio un esempio. Se Alain de Benoist fa considerazioni giuste contro l’ imperialismo non vedo perché la verità cessi di essere tale solo perché proferita da un filosofo etichetato come di destra.La verità rimane tale.E sulla base della comune critica all’ imperialismo globale la Destra culturale può dialogare con gli esponenti di una sinistra patriottica, non liquida, come Jean Claude Michea

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