Il Venezuela: non buttare il bambino con l’acqua sporca

Quello che sta avvenendo in Venezuela è preoccupante per tutti i sinceri socialisti. E’ evidente che il livello di scontro sociale in atto non lascia sperare niente di buono per la prosecuzione dell’esperienza bolivarista, che rischia di affogare nel sangue, nella repressione ed infine, inevitabilmente, in un rovesciamento popolare. Che, diciamolo subito, rimetterebbe in campo quella infame e corrotta borghesia compradora che da sempre comandava il Paese, espropriandone le risorse a beneficio delle compagnie petrolifere statunitensi ed europee. L’opposizione c.d. “democratica” guidata da Capriles altro non è che un coacervo di banditi ed affaristi finanziati dagli USA.

Tuttavia, il governo di Maduro paga soprattutto il pegno di errori strategici di gestione della rivoluzione che, a dire il vero, già si annunciavano durante il periodo di Chavez, e che poi i suoi successori hanno peggiorato. L’assenza di investimenti pubblici nella creazione di una industria di sostituzione delle importazioni, che avrebbe supplito all’embargo commerciale dei nemici del Venezuela, impedendo l’esplosione dell’iperinflazione da domanda attualmente in atto, una scriteriata politica monetaria e valutaria, che sconta l’inefficiente meccanismo di aggancio del tasso di cambio ufficiale al dollaro, producendo una cronica carenza di dollari per pagare le importazioni, senza peraltro evitare una svalutazione effettiva del cambio reale (quello che si fissa sul mercato nero) con conseguente inflazione importata, il meccanismo dei prezzi amministrati che mette insieme scarsi incentivi allo sviluppo del settore privato e incapacità di difendere il tenore di vita (con conseguenze paradossali: in un Paese che naviga su un mare di petrolio, il prezzo amministrato dell’energia è stato aumentato bruscamente dell’800%, per fare fronte alle enormi inefficienze gestionali dell’azienda elettrica). Sono tutti fattori di fragilità che hanno fatto esplodere l’economia venezuelana, non appena il prezzo del petrolio ha iniziato a scendere, scavando un enorme deficit commerciale.

A ciò si è aggiunta la burocratizzazione dell’apparato statuale e del partito, con l’ascesa di una classe di burocrati scelta per fedeltà politica piuttosto che per competenze e capacità, con il degenerare di fenomeni corruttivi e nepotistici, che ha colpito duramente i conti pubblici, contribuendo, insieme alle generose politiche di sussidio alle classi popolari non più sostenute da sufficienti introiti petroliferi, ad un debito estero da default, che sta innervosendo persino gli amichevoli prestatori (Cina e Russia). Tale degenerazione ha inoltre colpito duramente l’immagine della rivoluzione bolivariana nell’opinioe pubblica interna, ed ha di fatto bloccato quel processo di devoluzione di poteri e competenze alle comunità locali avviato da Chavez.

Occorre però evitare di buttare via il bambino con l’acqua sporca. La fine del governo bolivariano farebbe regredire il Venezuela ai tempi bui del dominio imperialistico statunitense e di una borghesia nazionale compradora e predatoria, senz’altro non attraversata da fremiti democratici. La caduta di Maduro non migliorerebbe il futuro del Paese. Per ciò stesso, in questa fase uno stato di eccezione, che deroghi alle normali procedure democratiche, è inevitabile. In questa fase non si possono tenere elezioni, quelle presidenziali previste per il 2018 andrebbero cancellate, non si può garantire maggiore libertà di stampa, non si possono liberare i detenuti politici, è accettabile anche un certo livello di contenimento delle manifestazioni di piazza.

Al contempo, però, il governo venezuelano deve impegnarsi in un radicale cambiamento di rotta delle sue politiche economiche. Maduro dovrebbe fare un passo indietro, consegnando il Paese ad una maggiore rsponsabilità dei militari, con Cabello che dovrebbe sostituirlo alla presidenza. Un nuovo patto sociale dovrebbe essere presentato al Paese: tale patto dovrebbe contemplare limitate e prudenti liberalizzazioni del sistema dei prezzi e del tasso di cambio, una radicale lotta alla corruzione, con un ricambio più meritocratico degli apparati amministrativi, teso a mettere sotto controllo la spesa pubblica meno produttiva legata alla corruzione eccessiva, e quindi ad aprire spazi per limitate riduzioni di carico fiscale per il ceto medio (che è emerso dalla povertà proprio grazie alle politiche sociali di Chavez, e che però oggi è oberato dal maggior peso fiscale per sostenere tali politiche, e quindi diventa facile preda dell’opposizione). Occorre, anche con l’aiuto finanziario e tecnico cinese, promuovere investimenti in una industria pubblica di sostituzione delle importazioni, per ridurre il vincolo estero. Occorre una politica di sicurezza pubblica efficace, che riduca drasticamente gli intollerabili tassi di criminalità violenta che affliggono le aree urbane, in primis la captale, fra le città più pericolose del mondo per i suoi stessi abitanti. Un dato, questo, che allontana ulteriormente il nuovo ceto medio dal Psuv. Ed infine occorre riprendere quel processo di devoluzione verso il basso di poteri e competenze amministrative alle comunità locali, per riprenderne il consenso, che si è logorato.

In questi termini, se il Psuv sarà capace di tale patto, una deroga alla democrazia per i prossimi 4 o 5 anni è accettabile, sapendo che, paradossalmente, troppa democrazia riporterebbe al potere, in questo momento, i tradizionali massacratori delle libertà popolari del Venezuela.

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Fonte foto: L’Antidiplomatico (da Google)

 

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