La Brigata Internazionale per la Libertà

 

 

Riceviamo e pubblichiamo:

Salve

Allego alla presente un documento divulgativo riguardante l’organizzazione delle ‘BRIGATE INTERNAZIONALI DELLA LIBERTÀ’, operanti dal 1 giugno 2015 nel territorio siriano del Rojava. Si tratta di un’esperienza di lotta che vede schierati militanti provenienti dalle più disparate parti del mondo al fianco delle forze curde YPG-YPJ contro le bande sanguinarie di DAESH-ISIS, e che per quanto numericamente circoscritta è carica di un grande significato politico e ideale. Vi scrivo quindi con la preghiera di dare visibilità a questa esperienza, cui non viene in generale prestata alcuna attenzione da parte dei media, e dei giornali in particolare.

In attesa di un vostro riscontro, mi metto sin da subito a disposizione per qualunque domanda o chiarimento vi fosse necessario nella redazione di una notizia in proposito.

Distinti saluti

Comitato ‘BRIGATE INTERNAZIONALI DELLA LIBERTÀ’ Europa

 

E’ noto a tutti come durante la guerra civile accorsero in Spagna volontari internazionalisti da tutto il mondo. Tra di loro c’erano importanti scrittori e artisti, e giovani che lo sarebbero diventati da lì a poco, una volta finita la guerra. Molti di loro si sono resi immortali nel tentativo di piantare in Spagna la bandiera dell’internazionalismo, affinché questa vi sventolasse per sempre. Esattamente come oggi la Brigata Internazionale della Libertà/International Freedom Battalion ha piantato la stessa bandiera in Rojava.

La rivoluzione in Rojava annuncia una nuova vita, non solo per i popoli del Medio Oriente, ma per tutti i popoli della terra. I rivoluzionari e i comunisti che odono questo richiamo non possono che accorrere nelle terre in cui si sta facendo la rivoluzione.

La prima organizzazione del movimento rivoluzionario turco ad aver prestato orecchio alla chiamata che si levava dal Rojava è stato il Partito Comunista Marxista Leninista (MLKP). L’MLKP, nonostante disponesse di forze limitate, ha preso il proprio posto nelle trincee e nella costruzione della rivoluzione sin dal momento del suo scoppio. L’MLKP si è schierato nella regione di Sinjar, in Iraq, al fianco delle Unità di Resistenza di Sinjar (YBŞ) nella lotta contro le bande di DAESH/ISIS. In questo momento l’MLKP è impegnato su tutti i fronti di Rojava, riportando gravi perdite tra i propri combattenti. Il partito sta approfondendo il proprio impegno nel solco tracciato dai dieci militanti caduti nelle sue file, e dai suoi quasi cento combattenti feriti.

Il sangue dei combattenti dell’MLKP caduti nella difesa di Kobane, Suphi Nejat Ağırnaslı (Paramaz Kızılbaş), Sibel Bulut (Sarya Özgür) e Oğuz Saruhan (Algan Zafir), sono oggi il lievito della rivoluzione di Rojava. Molti dei combattenti dell’MLKP sono caduti in questa impresa. L’MLKP, in quanto soggetto attivo nella rivoluzione, oltre a lavorare per la sua costruzione e la sua difesa, è riuscito nel tentativo di darle una dimensione globale, grazie alla creazione di una Brigata Internazionale. Oltre ai partiti e alle formazioni provenienti dalla Turchia, anche organizzazioni rivoluzionarie legate all’MLKP dell’America Latina, dell’Europa, dei Balcani e dell’Estremo Oriente hanno risposto all’appello lanciato dal partito, cominciando ad accorrere nelle terre dove si sta facendo la rivoluzione.

Il 1 giugno 2015 è stata fondata la Brigata Internazionale della Libertà da parte del Partito Comunista Marxista Leninista (MLKP), delle  Forze Unitarie per la Libertà (BÖG), del Fronte Rivoluzionario MLSPB, della formazione spagnola Reconstrucción Comunista, ad essa hanno aderito a titolo personale individui provenienti dalle più diverse parti del mondo: Circassi, Greci, Turchi, Tedeschi, Spagnoli, Italiani, Americani, Neozelandesi, Austriaci e Armeni. Oggi nelle file della Brigata vengono parlati il curdo, il turco, l’arabo, il laz, il tedesco, l’inglese e lo spagnolo. Nonostante l’estrema varietà linguistica, l’intesa tra i combattenti tanto nella Brigata quanto al fronte non potrebbe essere migliore, poiché la lingua che tutti parlano è quella della rivoluzione.

IL NOSTRO APPELLO A TUTTI I POPOLI DEL MONDO

La rivoluzione di Rojava è divenuta il simbolo di una rivoluzione femminile, di una rivoluzione guidata dalla volontà granitica delle donne contro l’egemonia maschile e contro la sua arretratezza.

La difesa della rivoluzione di Rojava e l’allargamento del suo fronte è un compito di portata storica, e i rivoluzionari di tutto il mondo che si sono assunti tale responsabilità, non hanno esitato un secondo prima di volgere il proprio sguardo al Medio Oriente, di schierarsi in battaglia, di versare il proprio sangue e di morire per la vittoria.

Le forze accorse dai quattro angoli del mondo e della Turchia per sostenere la rivoluzione in Rojava, consentirle di progredire e di rafforzarsi, stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per assicurare il contributo necessario alla guerra e alla rivoluzione.

Noi, che stiamo lottando spanna a spanna nelle terre di Rojava, che stiamo dando la nostra vita, e che portiamo sulle spalle la bandiera della resistenza

Noi, che stiamo combattendo in prima linea l’imperialismo e le forze reazionarie della regione

Noi, che affrontiamo le violenze feroci che le bande di DAESH/ISIS, con aiuti di ogni tipo, compiono ogni giorno nel tentativo di soffocare la rivoluzione

Noi, che viviamo la rivoluzione, che la sentiamo scorrere con il nostro sangue nelle nostre vene

Noi, popoli del Kurdistan, che stiamo rendendo questa rivoluzione realtà, lavoratori, oppressi e donne di tutto il mondo che stiamo lottando sotto le bandiere della Brigate Internazionale

Abbiamo giurato e abbiamo un obbligo di lealtà nei confronti di coloro che sono caduti prima di noi, coloro che sono stati creati prima di noi.

Noi spagnoli, tedeschi, greci, turchi, arabi, armeni, laz, circassi, albanesi

Noi, forze rivoluzionarie, organizzazioni e gruppi internazionalisti provenienti da tutte le parti del mondo ci siamo uniti nella Brigata Internazionale per la Libertà!

Noi, popoli oppressi, lavoratori, donne, giovani, comunità di differenti fedi e identità, ecologisti, antimperialisti, antifascisti, anticapitalisti, democratici e rivoluzionari facciamo appello a tutti voi perché difendiate la rivoluzione di Rojava, per rafforzare e ingrandire le nostre conquiste, per sostenere la rivoluzione e la fratellanza tra tutti i popoli del Medio Oriente e della regione, mobilitandovi sotto le bandiere della Brigata Internazionale della Libertà!

La rivoluzione di Rojava è una parte importante della rivoluzione in Medio Oriente e in Kurdistan. La sua sopravvivenza e il suo consolidamento rivestono un ruolo di grande importanza sia per ciò che riguarda il dare morale, motivazione e ispirazione allo scoppio e alla diffusione di nuove rivoluzioni, sia per ciò che riguarda il supporto locale e materiale alle rivoluzioni in Medio Oriente. Esattamente per questi motivi la rivoluzione di Rojava è stata presa di mira tanto dall’Esercito Siriano Libero, quanto dalle bande di DAESH/ISIS, dal regime baathista di Assad, dai governi reazionari come quello dell’AKP in Turchia e dagli stati imperialisti. Queste forze lavorano per soffocare la rivoluzione di Rojava. Il governo popolare di Rojava, a causa delle sue possibilità ridottissime, è costretto a far fronte a nemici incomparabilmente più potenti. Rojava ha bisogno del sostegno di tutti i popoli del mondo per poter continuare la propria rivoluzione e consolidarla. Il popolo è oggi di fronte al pericolo dell’annientamento per fame e povertà.

La sconfitta della rivoluzione in Rojava sarebbe la nostra sconfitta, una sconfitta della rivoluzione in Medio Oriente. Esserne spettatori sarebbe un errore imperdonabile di cui tutti pagheremmo il prezzo. Noi, in quanto militanti della Brigata Internazionale per la Libertà non avremmo mai potuto rimanere semplici spettatori e a questo scopo abbiamo creato la prima Brigata Internazionale del XXI secolo in difesa di Kobane. Abbiamo combattuto nelle strade di Kobane. In qualità di militanti comunisti e rivoluzionari ci siamo schierati al fianco dei compagni e delle compagne del movimento di liberazione curdo sulle barricate e in trincea. Siamo divenuti loro autentici compagni nella lotta e nella battaglia. Abbiamo gettato con loro i semi della rivoluzione in Medio Oriente. Allo stesso modo, ci siamo schierati in difesa degli Ezidi di Sinjar, aprendo un corridoio grazie al quale potessero sfuggire alla minaccia del genocidio. In questo modo abbiamo realizzato i primi passi verso la pratica di una guerra rivoluzionaria.

Questa pratica ha aperto la strada alla creazione di un campo di alleanza strategico di portata storica. La rivoluzione in Rojava permette infatti di ricostruire dal basso la storia delle masse. Essa incarna oggi il futuro. Rappresenta una contro-storia e una pratica anti-egemonica. Costituisce un processo di costruzione di una ‘nuova donna’, di un ‘nuovo essere umano’, di una ‘nuova società’, e di edificazione di una democrazia radicale in un breve lasso di tempo e in condizioni eccezionali. Quella di Rojava è una rivoluzione che evolve e respira.

Essa non rappresenta solamente la presenza e la speranza di liberazione del popolo curdo, ma anche quella di tutti i popoli della regione. La Brigata Internazionale esprime la possibilità per la rivoluzione di Rojava di incontrare tutti i popoli del mondo, la possibilità del loro divenire fratelli. E’ chiaro quindi che essa incarna una grande speranza sia dal punto di vista morale, sia per ciò che riguarda il futuro della rivoluzione di Rojava. La Brigata deve perciò trasformarsi in uno dei canali fondamentali attraverso cui trasmettere al mondo la speranza che la nostra rivoluzione vuole incarnare. Questo è il motivo per cui attribuiamo un’importanza così grande alla Brigata internazionale. Si tratta infatti di assolvere alla missione di rafforzare tutti i soggetti rivoluzionari in Siria, Iraq e nel Medio Oriente nel suo complesso, non solamente in Rojava.

La fondazione e la presenza della Brigata Internazionale rappresenta quindi un punto di riferimento imprescindibile non solo per noi, ma anche per tutti i rivoluzionari del mondo e per tutte le organizzazioni e partiti progressisti. La rivoluzione di Rojava ospita un grande tesoro nonostante le dimensioni limitate del suo territorio. Da essa germoglia una nuova speranza. Essa mostra a tutti i partiti e organizzazioni quale approccio sia necessario adottare, quale sia l’ordine delle priorità nel processo rivoluzionario. Per questo motivo torniamo a ripetere una volta di più quanto sia urgente che tutti i partiti e organizzazioni diano il proprio supporto e senza indugio vengano compiuti i passi necessari per stabilire rapporti e relazioni tra di loro. Le forze reazionarie della regione, come il governo dell’AKP in Turchia e l’Arabia Saudita, si sono servite delle bande di DAESH/ISIS come strumento per imporre la propria visione strategica sul Medio Oriente. Nonostante le bande di DAESH/ISIS abbiano ormai dato prova di ampia autonomia e di sapersi sottrarre a qualunque controllo, continuano a essere usate dalle potenze della regione, e il fatto che continuino a presidiare il tratto di confine compreso tra i villaggi siriani di Azez e Jerablus è lì a confermare la solidità del supporto offerto loro dalla Turchia. Inoltre in tutte le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti del governo islamista turco dell’AKP è stato più volte ripetuto che l’avanzamento delle forze curde delle YPG avrebbe portato allo scoppio una guerra che avrebbe coinvolto l’intera regione. Affinché le bande di DAESH/ISIS vengano finalmente sconfitte è indispensabile che venga loro sottratto il controllo della parte di confine tra Azez e Jerablus, e che questa venga posta sotto il controllo delle forze rivoluzionarie. D’altra parte i popoli della regione sono costantemente sottoposti a gravi violenze, distruzioni e alla minaccia della fame. La sopravvivenza della rivoluzione in Rojava dipende strettamente dalla decisione con cui tutte le forze rivoluzionarie internazionali sapranno intervenire nella cornice della Brigata. Per questo motivo è importante quanto l’impegno militare provvedere da subito alle opere di ricostruzione dei luoghi distrutti dalla guerra, secondo modelli nuovi e sostenibili, oltre a dare un impulso alternativo all’agricoltura secondo un modello autenticamente popolare.

In questo contesto, come Brigata Internazionale ci siamo assunti il compito di contribuire alla ricostruzione della città martire di Kobane, in particolare occorre al più presto provvedere alla realizzazione secondo criteri ecologicamente sostenibili di un insediamento di almeno mille alloggi, all’interno dei quali possa essere data la possibilità di vivere ad almeno diecimila persone. Si tratta di un’emergenza alla quale bisogna dare risposta il più presto possibile, le forze di cui disponiamo sono però molto limitate, per questo motivo abbiamo bisogno del supporto di tutti.

La rivoluzione non ha bisogno solamente di combattenti che la difendano con le armi in pugno, ha anche bisogno della netta volontà contribuire alla sua costruzione e consolidamento. A questo proposito occorre naturalmente il contributo di carpentieri e operai, meccanici e contadini, oltre che un significativo supporto economico. E’ proprio riguardo a tutto ciò che ci aspettiamo dai compagni di tutto il mondo, nella misura in cui sia loro possibile, un chiaro esempio di solidarietà rivoluzionaria.

 

Brigata Internazionale per la Libertà

Contatti: international.battalion@gmail.com

 

 

12 commenti per “La Brigata Internazionale per la Libertà

  1. Fabrizio Marchi
    10 Febbraio 2016 at 17:07
  2. armando
    10 Febbraio 2016 at 23:24

    Nell’appello si legge che si tratta di una rivoluzione guidata dalla volontà granitica delle donne contro l’egemonia maschile e la sua arretratezza. Basta questo, e avanza!

  3. Giulio larosa
    12 Febbraio 2016 at 17:45

    Altra monnezza colorata. W bashar assad!

  4. Gianni Sartori
    24 Febbraio 2016 at 7:51

    Ai commentatori precedenti: datevi una calmata.
    Onore alla Resistenza curda (“compatibile”? direi piuttosto “eco-compatibile”…in tutti i sensi). Non sono le “idee” ma le pratiche sociali che cambiano il mondo
    GS

    http://csaarcadia.org/blog/2016/approfondimenti/lautonomia-democratica-e-diventata-la-pratica-quotidiana-di-milioni-di-donne-e-di-uomini/

    • Fabrizio Marchi
      24 Febbraio 2016 at 11:33

      Caro Gianni, non so se ce l’avessi anche con me, in ogni caso per ciò che mi riguarda sono calmissimo. Nel mio articolo https://www.linterferenza.info/attpol/3147/ che tu stesso hai di fatto indirettamente citato ho soltanto cercato di evidenziare quelle che per me sono delle contraddizioni evidenti (e anche stridenti) e sulle quali sarebbe necessario aprire un dibattito. Ritengo altresì che lo stesso Karim Franceschi (il giovane del centro sociale delle Marche che è andato a combattere a Kobane contro l’Isis) abbia letto il mio articolo ma non c’è stata nessuna risposta da parte sua o di altri. Con un pizzico di immodestia e forse di presunzione mi sento di dire che avrebbe avuto ben poco da replicare, vista la grossolanità (a dir poco, e dando per scontata la sua buona fede…) e la contraddittorietà delle sue affermazioni. E molto probabilmente gli avranno anche consigliato di non rispondere e di lasciar cadere la cosa, onde evitare altri scivoloni…A meno che non si tratti di scivoloni, come purtroppo credo, e che ci siano tanti altri a pensarla nello stesso modo in cui la pensa lui stesso.
      La mia personalissima opinione è che, per diverse ragioni, si preferisca non approfondire, perchè il Rojava è diventato una sorta di modello per la sinistra, perché ecologismo e femminismo “fanno tanto figo” (buttiamoci pure il veganismo e abbiamo fatto bingo…) e in particolare il secondo è diventata la parola magica, il grimaldello per aprire ogni porta, a sinistra ma ormai da molto tempo anche a destra.
      Hezbollah combatte da tempo, armi in pugno, contro l’imperialismo israeliano (di cui Karim neanche fa menzione nelle sue tante interviste) ma non riscuote le simpatie della “sinistra” occidentale, neanche e forse soprattutto di quella cosiddetta “antagonista”. Perché? Nel merito scrissi un altro articolo: https://www.linterferenza.info/editoriali/kobane-lultimo-mito-della-sinistra-occidentale/
      Più o meno sulla stessa falsariga scrissi anche questo’altro articolo: https://www.linterferenza.info/esteri/la-palestina-si-e-pure-hong-kong-il-donbass-no/
      Ciò detto, sia chiaro, non ho nulla contro i curdi e le curde di Kobane che combattono contro l’Isis, anzi, li/e sostengo apertamente. Ciò detto, qualche contraddizione (chi non ne ha, in fondo) i vari movimenti curdi, che rappresentano ciascuno diverse questioni nazionali ed etniche, le hanno. E perché allora non discuterle serenamente? Voglio dire, si fanno le pulci a tutti e a tutto, non si può discutere sule varie questioni curde, con tutte le loro differenti peculiarità, nel “bene” e nel “male”? Non vedo dove sia il problema…
      Oppure siamo talmente innamorati dell’”eco femminismo” al punto di chiudere tutti gli occhi?
      Ma al di là delle varie questioni curde, con tutte le loro luci ed ombre, per così dire, mi sembra appunto che questa enfasi su Kobane e sul Rojava da parte della sinistra occidentale affondi le sue radici in ragioni ideologiche. Mi riferisco appunto, in particolare, al femminismo e a un certa ideologia politicamente corretta di cui la sinistra occidentale è ormai imbevuta. Ed è proprio quella ideologia che fa sì che uno come Karim possa fare ritorno serenamente da Kobane con un aereo di linea di una grossa compagnia occidentale come se tornasse da una vacanza sul Mar Rosso ed essere celebrato come un eroe, pubblicare un libro con Mondadori, essere intervistato da tutti i media, compresi quelli quelli addetti al peggior gossip mediatico pseudo femminil-femminista (Vanity Fair e robaccia simile).
      Se fosse andato a combattere contro Israele fra le milizie Hezbollah, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento?
      Senza nulla togliere ai combattenti di Kobane, la logica mi dice che in questa fase, evidentemente, per tante ragioni, non sono considerati così pericolosi dai padroni del vapore, cioè dall’imperialismo americano e dai suoi alleati israeliani, sauditi, turchi ed europei.
      P.S. complimenti per il tuo bellissimo articolo sull’Irlanda e ti ringrazio di cuore per il preziosissimo contributo. Restiamo in attesa del seguito.

  5. Gianni Sartori
    24 Febbraio 2016 at 12:54

    Scritto al volo “a la va là che la va ben”…

    ecco si,mettiamoci pure il veganesimo…(anche se personalmente, per ora, sono soltanto vegetariano, ma radicale e da oltre 30 anni), non ci vedo niente di male, tutta salute, soprattutto per le galline…

    Comunque: mi occupavo dei curdi (e dei baschi che, se non ricordo male, non erano tanto sostenuti dalla sinistra negli anni ottanta e novanta; prima sì, ma solo come “carne da macello” contro i fascisti…lasciamo stare) anche quando erano m-l (litigando talvolta con i miei amici anarchici che ora, in parte, stravedono…) e continuerò a farlo ora che sono libertari (litigando con altri amici e compagni leninisti che rimpiangono il PKK di ieri l’altro…).
    Credo che per i curdi (così come comune per altri popoli “minorizzati” a forza) il problema sia innanzitutto quello di evitare l’estinzione per genocidio, etnocidio o assimilazione…Se poi, come nel caso dei curdi e dei baschi, elaborano anche forme di resistenza e di organizzazione sociale “orizzontali” che in qualche modo prefigurano una società dove sfruttamento e gerarchie siano aboliti, tanto meglio. Dovremmo solo esserne grati, penso.

    Le ideologie dovrebbero servire anche a questo, oltre a fornire una “visione generale”.
    Cosa sia il capitalismo l’ho appreso veramente scaricando camion di notte alla Domenichelli o in fabbrica …cosa siano le lotte di liberazione a Belfast e Donosti negli anni settanta e ottanta (ovviamente avevo già qualche idea in proposito, ma sempre meglio verificare).
    Insomma, con tutto il ciarpame di destra, centro e soidisant sinistra che c’è in circolazione, dobbiamo andare a “demoralizzare” curdi?
    Cerchiamo invece di sostenerli e sicuramente il loro esempio sarà contagioso. Abbiate fede, cristo!
    Poi, non sono mai stato “femminista” (sarei ipocrita), ma non condivido assolutamente le vostre posizioni in proposito. Come ho detto l’oppressione esiste da almeno 10mila anni (v. Zerzan & C:) almeno quella documentabile e per quanto possibile non intendo giustificarla in nessuna sua forma.
    “Con gli oppressi contro gli oppressori, sempre!” (passatemi la citazione)
    ciao
    Gianni

    PS la seconda parte sull’Irlanda dovrebbe esservi già arrivata. Non è certo “bellissima” (il sottoscritto è sostanzialmente un “proletario autoalfabetizzato, non un intellettuale di professione)
    ma comunque spero possa contribuire.
    Caso mai ci sarebbe anche la terza 8e ultima9 puntata, fatemi sapere.

    • Fabrizio Marchi
      26 Febbraio 2016 at 19:37

      Caro Gianni, se ci mettessimo a discutere io e te di femminismo non dovremmo più alzarci dalla sedia per almeno altri due anni e discutere solo di quello. Anche perché la vedo dura far cambiare idea a uno che esordisce dicendo che la storia del genere umano dagli ultimi 10.000 anni ad oggi è la storia dell’oppressione tout court del genere maschile su quello femminile (è la prima delle grandi vulgate femministe, il famoso copia-incolla, come l’ho definito da tempo, della dialettica hegelo-marxiana dove il conflitto di classe viene sostituito – loro dicono sovrapposto – con quello fra i sessi) e lo da anche per scontato, senza neanche una perplessità, un dubbio, sia pur minimo. Perché poi, solo dagli ultimi 10.000 anni? Perché non da prima, cioè fin da quando i nostri antenati sono scesi dagli alberi se, come sostengono tutti i femminismi, è la violenza, la mera forza bruta (successivamente trasformatasi e sublimatasi in dominio maschilista e patriarcale) ad avere sempre determinato i rapporti fra uomini e donne? Perché questa oppressione non sarebbe dovuta cominciare prima, forse anche prima dell’avvento dell’homo sapiens?… Forse perché l’oppressione della donna comincia con l’avvento della proprietà privata (seconda vulgata femminista ripresa e scopiazzata dalla più debole e dalla più datata delle opere di Engels. “L’origine dela famiglia e della proprietà privata”)? Oppure ancora perché prima dell’avvento del patriarcato (terza grande favola femminista) il mondo era dominato da un tenero e accogliente matriarcato?
      Ma, ripeto, lasciamo perdere, è solo una breve nota, chiudiamola qui, non avrebbe senso continuare su questo argomento. Peraltro, se a te non comporta nessun problema pubblicare dei tuoi articoli su un giornale dichiaratamente antifemminista, figurati se li comporta per noi… Il “problema”, casomai, è tutto tuo, non certo nostro 🙂 . Siamo noi i reietti, gli scomunicati, non abbiamo più nulla da perdere, in tal senso. Lo ha invece chi ha paura a sporcarsi le mani con certa gente … 🙂 A noi, anzi, fa molto piacere avere buoni rapporti con chi, pur non pensandola come noi su un tema così delicato, non si crea problemi e sceglie di comunque di continuare la collaborazione.
      Se vuoi, puoi inviarci la seconda parte del tuo interessantissimo articolo sull’Irlanda che ancora non ci è pervenuto. Lo pubblicheremo molto volentieri. Un caro saluto.
      P.S. qui siamo tutti più o meno proletari o ex proletari alfabetizzati o autoalfabetizzati, come dicevi anche tu, quindi nessun problema da questo punto di vista… 🙂 i salotti non ci piacciono, e ancor meno i cosiddetti “intellettuali”, per lo meno per come questo termine è ormai comunemente inteso e concepito.

  6. Gianni Sartori
    26 Febbraio 2016 at 21:55

    sempre “al volo”, sto traducendo un paio di libri dal catalano altrimenti come lo pago il veterinario?

    Caro Fabrizio, parlando di “oppressione” non mi riferivo solo a quello che tu hai inteso e comunque non in quei termini (non avevo specificato: pensavo che il riferimento a Zerzan fosse chiaro…), ma in generale, (veramente pensavo anche all’allevamento, coevo e propedeutico alla schiavitù – io penso – ma qui andremo oltre…e non mi interessa approfondire, quello è un percorso mio).
    10mila anni perché sono quelli in qualche modo “documentabili” (magari indirettamente, per analogia con le popolazioni tribali superstiti), senza escludere che ci fosse qualche precedente…
    Chissà, azzardo, magari tra i neanderthal si praticava il comunismo libertario…
    Del resto ve lo avevo detto che ero “consiliare” 8se preferite, quasi gramscianamente “soviettista”), non m-l
    Da giovane mi consideravo perfino anarchico, ma poi ho capito che era troppo impegnativo (avendo conosciuto personaggi come Failla a Carrara e Abel Paz a Barcellona).
    Personalmente non ho problemi a mandarvi qualche collaborazione se può contribuire alla conoscenza dei movimenti di liberazione sociale o nazionale; ricordo comunque che siete stati voi a utilizzare qualche mio articolo (legittimamente ca va sans dire, non riconosco la proprietà) e sono intervenuto per precisare che l’intervista era datata (1996)…Mi avete chiesto un contributo “irlandese” e ho risposto, senza impegno per nessuno.
    Comunque devo precisare in Irlanda negli anni settanta e ottanta (e oltre) nel Sinn Fein e anche nell’IRA (per non parlare dell’INLA) c’erano tante compagne, per lo più dichiaratamente femministe (proletarie, non borghesi, forse la contraddizione è quella?). Idem per Herri Batasuna in Euskal Herria.
    Vi posso segnalare qualche intervista (risalente al 1986, mi pare): a Peggy O’Hara, madre di Patsy, militante dell’INLA morto in sciopero della fame (cercate, a mio nome, su CSA Arcadia); a Bernadette Devlin (forse su “Indipendenza”); alla militante repubblicana e prigioniera politica Siobhan O’Hanlon, alla mia cara amica Mary Nelis del Sinn Fein di Derry…(queste solo su cartaceo, vedi l’Umana Avventura o Frigidaire).
    Teniamoci quindi le nostre divergenze (sai quanto gliene frega al capitalismo, basta che produciamo o almeno consumiamo…) e continuiamo a cercare…

    Comunque, la seconda parte (Dies Irae) la invio nuovamente; valutate voi se vi interessa, altrimenti possiamo finirla qui, senza rancore

    Magari ci vediamo su qualche barricata…magari…
    Gianni

    • Fabrizio Marchi
      27 Febbraio 2016 at 0:57

      Rancore? E perché dovremmo nutrire del rancore? Perché sposi la narrazione femminista (non ho capito se la sposi o no, o se quando ti riferivi ai 10.000 anni ti riferivi non alla presunta oppressione del genere femminile ma all’oppressione nel suo complesso…)? Per me non c’è nessun problema se non invitarti con calma ad una riflessione e ad una rivisitazione profonda della questione (in tal caso, non ovviamente in questa sede, quando vuoi, se vuoi, ne possiamo anche parlare…), perché per ciò che mi riguarda continuare a sposare in toto l’ideologia femminista è a dir poco fuori tempo massimo, a dir poco, molto poco…
      Per il resto non conoscevo Zerzan, scusami, non si può conoscere tutto e tutti, da ex proletario alfabetizzato attualmente facente parte della schiera dei semicolti ho forti limiti e ne sono consapevole. Per ora mi sono limitato, data anche l’ora tarda, a dare una rapidissima occhiata a Wikipedia e così, di primo acchito, non mi ha particolarmente impressionato, il suo pensiero mi pare una specie di “Rousseau dei poveri” misto a una spruzzatona di anarchia… E va bè, poco male, magari approfondirò anche se ho tante cose da leggere, lo metterò in coda…
      La seconda parte del lavoro sull’Irlanda che hai mandato lo pubblichiamo nei prossimi giorni , per dar modo al primo di “decantare”. Intanto grazie ancora una volta.

  7. Gianni Sartori
    27 Febbraio 2016 at 10:44

    Un contributo:

    Dall’introduzione di John Zerzan a “ACHTUNG BANDITEN! L’ecologismo radicale di Marco Camenisch”

    “Non ho mai incontrato Marco di persona, ma ho intrattenuto una corrispondenza con lui durante questi ultimi anni. Conosco la sua storia di guerriero per la Terra e per la vita e i principali aspetti della sua vita di prigioniero politico.
    È stato un grande privilegio per me venire a contatto con il suo spirito e la sua energia formidabili – dall’altra parte del mondo! – e conoscere la profondità della sua visione e della sua critica.
    Dietro tutto ciò, un quarto di secolo di appassionata attività ovunque sia stato. Il coinvolgimento di Marco nella lotta cominciò nella sua nativa Svizzera alla fine degli anni settanta, contro l’energia nucleare. All’inizio del 1980 fu arrestato assieme ad altri per aver danneggiato un traliccio e una centrale elettrica nel nord-est della Svizzera. La condanna relativamente severa inflittagli, dieci anni di reclusione, non rifletteva solo la sua resistenza all’autorità dello stato, ma anche la sua già profonda comprensione della posta in gioco. Per Marco, l’ecocidio attuato dall’industria energetica stessa, come parte della distruttività del più generale sistema di dominio, costituiva l’obiettivo legittimo della sua azione diretta.
    Evase dal carcere svizzero insieme con altri cinque prigionieri nel dicembre 1981. Durante la fuga una guardia fu uccisa, ma non da Marco. Nel 1989 una guardia di confine fu uccisa a Brusio e le forze di polizia svizzere, sostenute dai media compiacenti, puntarono il dito contro Marco. Dopo aver trascorso quasi undici anni in clandestinità in Svizzera e in Italia, fu catturato (novembre 1992) in seguito a una sparatoria con i carabinieri in Toscana. Questa volta fu condannato a 12 anni di reclusione dalla giustizia italiana, ma fu poi estradato in Svizzera nella primavera del 2002, dopo aver scontato nove anni.
    Anche di fronte all’imputazione più grave, l’intransigenza di Marco rimane quella di sempre: totale. Ha dovuto lottare per ottenere persino le più basilari condizioni in carcere e per poter mantenere contatti con famigliari e amici. Fortunatamente, ha potuto contare sul sostegno attivo degli anarchici di varia provenienza, che si sono mobilitati per proteggerlo contro gli abusi estremi dei sistemi carcerari di due paesi.
    Marco intrattiene una corrispondenza molto vasta e traduce vari testi antiautoritari, nonostante le condizioni spesso estremamente restrittive della sua detenzione. È uno degli esempi più stimolanti del nuovo volto dell’anarchismo, di una teoria e pratica rinnovata, che non rinuncia a sollevare questioni fondamentali e a condurre battaglie in quest’epoca di crisi sempre più profonda ad ogni livello.
    Giorno dopo giorno, diventa sempre più evidente che il cancro globale del capitale e della tecnologia divora sempre più vita in ogni sfera. Un numero crescente di specie, di culture radicate nel territorio e di ecosistemi subiscono attacchi ad ogni livello. Il cancro del formicaio produttivistico globale è sempre all’opera e consuma il suo ospite.
    Considerato il suo straordinario impegno nella lotta contro la Megamacchina, in realtà non sorprende che la prospettiva di Marco sia di mettere in discussione la civiltà tecnologica. Per anni ha partecipato di una visione di un mondo che non solo non ha bisogno di essere gestito da un gruppo, da un’élite o da una burocrazia massificata, ma che può tornare ad essere libero e sano.
    Ciò a cui vengono attribuiti vari nomi – anarchismo ecologico, anticivilizzazione, primitivismo – trova la massima espressione in una vita come quella di Marco Camenisch.
    La logica dell’addomesticamento o del dominio della natura è insita nella civilizzazione stessa e continua a manifestarsi. In tandem con una sempre maggiore divisione del lavoro e una rapida tecnicizzazione della vita su ogni piano, l’egemonizzazione sembra continuare a trovare nuovi terreni di applicazione.
    Forme di vita geneticamente modificate, vegetali e animali, sono la nuova frontiera del nuovo millennio per approdare al Mondo Nuovo. Tutto nella vita non è altro che un ammasso di materia da progettare, programmare, clonare per mezzo di scienze che non sono mai state così totalmente asservite al paradigma dominante.
    Questo modello contamina la nostra stessa percezione della realtà. Una società di consulenza New Age pubblicizza la sua competenza professionale proclamando: “L’amore non è un mistero: è una tecnologia”. Tutto è acqua da tirare al mulino del pensiero strumentale, nulla è al sicuro dall’avanzata della macchina, dall’analogia con la macchina.
    La clonazione umana è ormai vicina e quali strumenti esistono per impedirla? La vita diventa sempre più sterile: riprogrammazione con antidepressivi, pianificazione del futuro attraverso l’analisi e la correzione genetica. La natura è ciò che la tecnologia e il capitale decidono che sia, ovvero la fine di qualsiasi sfera non addomesticata. Le foreste naturali diventano arboricolture; le nostre emozioni, agonizzanti sul suolo arido, hanno bisogno di una regolare manipolazione chimica.
    Il nemico non sono solo le grandi imprese multinazionali. È l’addomesticamento stesso. Il disastro chiamato agricoltura diventa sempre più visibile e comprensibile ogni giorno che passa, con ogni nuovo livello di penetrazione e controllo. La salute e la libertà ne esigono la fine.
    Marco ha lottato per porre fine all’incubo industriale da cui dipende la modernità stessa. Ecco perché può contare sull’affetto e il sostegno di così tante persone. Sono estremamente felice che gli ottimi compagni di Nautilus abbiano dato a noi tutti la possibilità di condividere parte della sua vita.

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  8. Gianni Sartori
    10 Giugno 2016 at 9:24
  9. Gianni Sartori
    10 Luglio 2016 at 10:31

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