Finchè c’è guerra, c’è speranza

Pochi giorni dopo i drammatici eventi di Parigi le principali Borse sono state pervase da un clima di vera e propria euforia come gli stessi media mainstream, a cominciare da Il Sole 24 ore e la Repubblica, sono stati costretti ad ammettere. Anzi, più che costretti, è il caso di dire che hanno commentato con notevole e appena malcelato entusiasmo la “risposta dei mercati “ ai venti di guerra imminenti. I titoli azionari sono schizzati alle stelle, come era facilmente prevedibile, in particolare quelli delle società e delle aziende che producono armi e non solo. Del resto, è noto che la guerra rappresenti un affare, anzi, un grande affare, per tanti.
Il premier francese, Hollande, ha contribuito ad alimentare questo rinnovato entusiasmo dei mercati nel momento in cui (come spiega egregiamente Sandro Moiso in questo articolo che invito a leggere anche se non lo condivido del tutto (http://www.sinistrainrete.info/geopolitica/6132-sandro-moiso-ora-che-la-guerra-sta-accadendo.html ),facendo esplicito riferimento all’articolo 42 del Trattato di Lisbona (uno di quelli con cui il principio di sovranità dei singoli stati europei è stato gettato nel cestino),ha sostanzialmente spalancato le porte alla possibilità di uscire dai vincoli economici europei (e di spesa) per ciò che riguarda la sicurezza (quindi armi, tecnologia ecc.). Una vera e propria manna dal cielo per l’industria militare (forse tuttora la più fiorente) e per tutto l’indotto ad essa collegata.
Vi ricordate l’andamento del famigerato “spread”? Si alzava ogniqualvolta un governo annunciava di voler mantenere un certo livello di spesa sociale. Viceversa, diminuiva allorquando quello stesso governo – richiamato all’ordine dai superburocrati di Bruxelles –decideva per un taglio al welfare. Più il taglio era drastico (e brutale) e più lo spread si abbassava.
Mi sembra di poter dire che i fatti (non i postulati ideologici) parlino in modo chiaro. L’economia capitalistica cresce e si espande con la guerra e con la riduzione della spesa sociale. Qualcuno, anche fra gli amici, potrebbe obiettare che così non è e che l’economia (capitalista) ha conosciuto momenti di grande espansione (e anche di aumentato benessere per larghe masse popolari) in tempi di politiche keynesiane. I riferimenti, in questo caso, sono al New Deal roosveltiano e al cosiddetto “trentennio glorioso”, quello cioè che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni ’70 e che ha conosciuto, nell’Europa occidentale, la costruzione di un robusto stato sociale.
Personalmente ho un’altra opinione. Il boom economico degli USA fu dovuto alla imminenza della guerra e poi alla guerra stessa (la seconda guerra mondiale) che consacrò gli USA come prima grande potenza mondiale e che gli garantì il controllo di pressoché tutti i mercati e di tutte le aree del mondo (con l’eccezione ovviamente, dei paesi del blocco sovietico). Le politiche keynesiane, specie in termini di salari, aiutarono, è vero, ma funsero sostanzialmente da supporto. Senza la guerra l’America non avrebbe mai potuto effettuare quel balzo complessivo che conosciamo.
Il “trentennio glorioso” fu l’effetto di questa espansione degli USA su scala mondiale che permise di realizzare il famoso Piano Marshall per la ricostruzione e il rilancio economico di un’ Europa completamente distrutta e, a sua volta, fu un volano sia per l’economia europea che per quella americana. Questa crescita economica consentì di dirottare risorse sul welfare anche e soprattutto perché c’era la necessità di dimostrare la superiorità del sistema occidentale rispetto a quello sovietico. Questo stanziamento o distrazione, a seconda dei punti di vista, di risorse, fu possibile anche in virtù dell’assenza di altre potenze economicamente in grado di competere con gli USA (non esistevano ancora i colossi cinese e indiano e il Giappone era e continua ad essere un fedele alleato-satellite degli Stati Uniti). La presenza, inoltre, di un forte movimento operaio e sindacale e di forti partiti socialisti, socialdemocratici e comunisti, contribuì a sostenere quella politica.
Crollata l’Unione Sovietica e con essa – va detto – anche la Sinistra storica occidentale (compresa quella socialdemocratica, checché se ne dica…), non c’era nessuna necessità di continuare a destinare risorse alla spesa pubblica e allo stato sociale che progressivamente doveva anzi essere smantellato. Cosa che è puntualmente avvenuta e che sta avvenendo.
I fatti ci narrano, dunque, di un capitalismo intrinsecamente “votato” (necessitato) alla guerra (imperialista). Scoperta dell’acqua calda, si obietterà. Vero, ma in tempi di sonno della ragione (popolato da mostri…) come quelli attuali, è sempre bene ricordarlo.

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