Sulla questione della prostituzione e della mercificazione sessuale

Questo di seguito è nato come una serie di commenti su Facebook in risposta ad una compagna di Risorgimento Socialista nell’ambito di una discussione piuttosto accesa sul tema della maternità surrogata (utero in affitto) dove, ad un certo momento, è emerso il tema della prostituzione e della mercificazione sessuale, che, come ben sappiamo, viene derubricato solo e sempre a senso unico, cioè le donne vittime e gli uomini carnefici, le donne oggetti in vendita e gli uomini soggetti compratori.

Si tratta, ovviamente, di una semplificazione anche decisamente scontata e banale ma, al contempo rassicurante.  Il punto è che la realtà non è mai così semplice e così rassicurante ma, al contrario, sempre più complessa e (molto) meno rassicurante di come la leggiamo e soprattutto vogliamo leggerla.

 

“Anche su questo tema della prostituzione, se riusciamo a toglierci il paraocchi ideologico e ad osservare la realtà con lucidità e razionalità, capiamo che la questione è molto più complessa di come normalmente siamo abituati a considerarla.

La premessa è che il traffico della prostituzione va combattuto senza se e senza ma. Resta da capire quali siano i mezzi e gli strumenti più efficaci, se la lotta senza quartiere alle organizzazioni criminali che andrebbe fatta a prescindere (con tutte le contraddizioni del caso perché sappiamo perfettamente che le mafie null’altro sono se non organizzazioni capitaliste criminali il più delle volte commistionate con gli stati e i governi; in molti paesi dell’America latina e dell’Asia sono direttamente al governo) oppure la legalizzazione che potrebbe togliere il brodo di coltura alle mafie stesse, o entrambe le cose nello stesso tempo. Faccio notare – appunto per far capire quanto il fenomeno sia complesso ed evitare i soliti luoghi comuni e stereotipi di genere – che il traffico della prostituzione (questo quasi nessuno lo sa…) è gestito a livello mondiale per il 60% da donne (facenti parte delle organizzazioni criminali, ovviamente…). Il dato è dell’ONU e dell’ufficio che specificamente si occupa del fenomeno, e fu riportato (lo ricordo perfettamente) da David Sassuoli in una edizione del TG1 Di cinque o sei anni fa. Volendo lo si può ricercare. Non mi invento nulla così come tutti i numeri, le cifre e le percentuali che riporto nei miei articoli e anche nel mio libro, presi sempre da fonti ufficiali (Istat, Inail ecc.).

Evidente, quindi, che le prostitute, quelle che vediamo per le strade, per capirci, sono delle proletarie e sottoproletarie sfruttate che vanno liberate dalla loro condizione e liberate dai loro aguzzini e dalle loro aguzzine (come vediamo, anche in questo caso, come in tutti gli altri, la questione è di classe e non di genere, dal momento che a lucrare sulla prostituzione sono uomini e donne appartenenti alle organizzazioni criminali…). Sono, in questo caso, delle “sorelle”, in quanto proletarie sfruttate, non in quanto appartenenti al genere femminile, anche se la loro condizione ha in questo caso una specificità femminile; del resto, anche molti uomini vivono una condizione di sfruttamento specificamente maschile, basti pensare, appunto, al fatto che a morire sul lavoro sono solo uomini (così come in guerra, da sempre…). Quindi – come vediamo, anche in questo caso – siamo di fronte alla stessa oppressione di classe che si declina in forme diverse anche in base alla specificità sessuale. Non c’è un sesso sempre e comunque oppresso e discriminato e un altro sempre e comunque in una posizione di privilegio e di dominio, come recita da sempre il femminismo. Questa logica, oltre ad essere infondata, è incompatibile con una logica di classe. Delle due l’una. Non possono convivere perché l’una esclude l’altra.

Ma torniamo a noi. Oltre alla prostituzione imposta sia con la forza che con il ricatto economico (in questo caso si deve essere solidali con le donne che la subiscono senza se e senza ma) esiste anche una prostituzione volontaria e consapevole, molto più diffusa di quanto si pensi. In questo caso siamo di fronte alla interiorizzazione dell’ideologia capitalistica, come accade per tanta altra gente che fa i più disparati mestieri. Queste prostitute (oggi chiamate escort) non lo fanno per fame ma per libera scelta e arrivano a guadagnare cifre altissime anche quando non esercitano autonomamente ma sono collegate ad agenzie. Occupandomi da parecchio tempo ormai di questi temi, è evidente che ho approfondito anche questo aspetto. In questo caso non sono né solidale né ostile, mi limito a registrare un dato.  E cioè che molte donne fanno mercimonio consapevole del loro corpo e in molti casi lo rivendicano apertamente. In tanti altri invece lo fanno “segretamente”, collegate ad agenzie o anche in proprio (moltissime studentesse universitarie, ma anche impiegate ecc.). E’ ovvio che ragionando in termini assoluti, dal nostro punto di vista di marxisti, siamo di fronte a persone alienate. In termini relativi siamo di fronte a persone che aderiscono all’ideologia capitalista e la fanno propria (ma non vale certo solo per le escort…). Del resto, Lukacs diceva che nel capitalismo la maggioranza delle persone è sfruttata ma tutti, da un certo punto di vista, sono alienati. Anche il top manager, anche il banchiere, il super capitalista che dalla mattina alla sera pensano solo ad accumulare e incrementare le loro ricchezze sono degli alienati.  E però se glielo vai spiegare ti prendono a pernacchie…Ci siamo?

Questo è un punto fondamentale perché, al di là della prostituzione spicciola (fenomeno tutto sommato relativamente marginale rispetto a quanto sto per dire…), il fenomeno della mercificazione sessuale, è ben altro. E rimanda al controllo che l’attuale sistema di dominio sociale e ideologico è in grado di sviluppare a livello psicologico. Il controllo di tale sfera è oggi infinitamente più importante del controllo della sfera pubblica, appunto perché l’attuale dominio sociale è infinitamente più complesso e sofisticato di quelli trascorsi. La mercificazione sessuale è innanzitutto un processo psicologico che porta le persone a interiorizzare l’ideologia capitalista, a identificarsi con essa (cioè con il concetto marxiano di “forma merce”) e quindi ad interiorizzare le sue dinamiche. E’ quindi evidente che nel momento in cui una persona ha interiorizzato a livello psicologico profondo il fatto di avere un valore di mercato (d’uso e di scambio), cioè di essere sostanzialmente una merce, vivrà e si relazionerà con gli altri secondo questa logica. E sappiamo benissimo che una merce (provvista di un valore d’uso e di scambio) non si dona ma si aliena per trarne il maggior profitto. Tradotto con un esempio pratico (che farà imbestialire le compagne che mi danno del reazionario, fascista seguace di Pillon e di Salvini, ma non ci posso fare nulla…) se una donna ha interiorizzato il concetto di essere una merce (e quindi una proprietà), non vivrà la sua relazione con gli altri all’insegna del dono, cioè della reciprocità e della spontaneità, ma all’insegna della razionalità strumentale, cioè dello scambio concettualmente (ma anche praticamente) mercantile. Ergo, come ragionerà questa donna? “Se vado con un top manager o comunque con un uomo socialmente affermato, vuol dire che valgo (cioè il mio valore d’uso e di scambio è molto elevato, perché la “merce” è preziosa), se invece vado con un operaio, un precario, un impiegato delle poste o uno spazzino, vuol dire che non valgo (cioè che il valore d’uso e di scambio è basso, cioè la merce vale poco…).  Che ci piaccia oppure no, questo è il contesto in cui viviamo. Negarlo è come, a mio parere, negare l’acqua calda…

Ora passiamo all’ultimo aspetto, quello meno evidente (se non per nulla…), quello che viene rimosso nonostante sia evidentissimo ma deve essere negato per varie ragioni, sia dagli uomini (per vergogna), sia dal femminismo (per opportunismo) e sia, ovviamente, dal sistema dominante (sempre per opportunismo).

I destinatari finali di tutto questo processo sono innanzitutto gli uomini, ai quali si agita la carota davanti agli occhi (in mille modi diversi e ovunque, in tutti i luoghi sia fisici che virtuali…) per farli galoppare. Per la serie:”Se vuoi accedere al “bene” (che non è certo gratis) devi darti da fare, devi produrre, lavorare, cercare di affermarti, fare carriera, accumulare denaro, spendere, consumare, apparire, altrimenti il “bene” te lo puoi scordare…”. Quindi sono gli uomini i primi ad essere costretti a mettersi in vetrina per cercare di essere scelti, o meglio per far sì che la loro merce, cioè la loro capacità complessiva economica e sociale (il loro valore d’uso e di scambio) sia appetibile e spendibile sul mercato (della relazione con l’altro sesso). Del resto, vogliamo forse negare che non è certo un uomo considerato socialmente un perdente, un fallito, un subalterno (cioè la gran parte degli uomini secondo i modelli ormai parossistici dell’attuale società capitalista), l’oggetto del desiderio da parte femminile?

Quello testè descritto è un contesto che può andar bene ed essere funzionale solo ad una minoranza di uomini, quelli appartenenti alle elite sociali dominanti, non certo alla grande maggioranza degli altri che è costretta ad arrancare (spesso penosamente…) anche per avere uno straccio di vista sessuale e affettiva. Del resto, sempre volendo portare un esempio iperbolico ma credo efficace,  immaginando di trovarci di fronte a due edifici – il primo è un luogo dove la merce viene donata (gratis, per il puro piacere di farlo) mentre l’altro è un supermercato dove la stessa merce viene venduta, anche a caro prezzo – quale scegliereste? La risposta è fin troppo ovvia…

Tutto questo per dire, appunto, in estrema sintesi, che la grande maggioranza degli uomini NON è affatto interessata alla mercificazione sessuale, e non lo è OGGETTIVAMENTE. Al contrario, la SUBISCE. Il femminismo deve negare tutto ciò, è evidente, perché deve negare ogni forma di corresponsabilizzazione delle donne con il sistema e l’ideologia capitalista. In questo senso (e non solo, ovviamente…), il femminismo, coprendo e deformando la realtà, agisce come vera e propria falsa coscienza necessaria (sempre in termini marxiani), cioè come depistaggio ideologico. Né può fare diversamente, perché se ammettesse quella corresponsabilizzazione di cui sopra (che riguarda anche gli uomini, sia chiaro, anche se in misura e forme diverse…) si squaglierebbe in un nano secondo come neve al sole.  Sia chiaro, non ci sarebbe nulla di male ad ammettere quanto è evidente a qualsiasi persona di buon senso, anche perché, da marxisti, il punto ora non è di ordine etico-morale. Il punto è che il femminismo è fondato sull’a priori della difesa del genere a prescindere. Se viene meno questo a priori, il femminismo ancora una volta si quaglia in un nano secondo.

Ora pubblico uno stralcio di quel documento indirizzato a PaP che la compagna ha detto che è stato lasciato cadere perché del tutto simile a quello che potrebbe dire un Salvini o un Pillon), perché mi pare che sia molto chiaro:”

La tesi in base alla quale l’attuale società capitalista sarebbe anche patriarcale e maschilista, vuole, ovviamente, che gli uomini siano in una posizione di dominio sulle donne anche e soprattutto dal punto di vista sessuale. Ora, qualsiasi persona dotata di un briciolo di onestà intellettuale e di buon senso sa perfettamente che questo è completamente falso. Infatti, contrariamente ai luoghi comuni alimentati dal femminismo ma anche da una certa sottocultura pseudomachista (che in realtà è soltanto una modalità per camuffare o mal celare la propria condizione di dipendenza), i maschi vivono appunto una condizione di dipendenza dal punto di vista sessuale nei confronti delle femmine. Una dipendenza data da una condizione naturale (che attiene allo stato di natura, alla condizione ontologica degli uomini e delle donne) di asimmetria sessuale che pone gli uomini in una condizione di dipendenza nei confronti delle donne. Questa condizione viene naturalmente negata dal femminismo perché se l’ammettesse, dovrebbe necessariamente ammettere che le donne sono in effetti in grado di esercitare un dominio pressoché quasi assoluto sugli uomini nell’ambito di una sfera fondamentale quale è quella sessuale e quindi psicologica (i due aspetti non possono essere separati). Ma è evidente che dominare un individuo dal punto di vista psicologico significa dominarlo nella sua totalità.  E naturalmente questo dominio produce tutta una serie di effetti anche dal punto di vista sociale ed economico.  Gli uomini sono dunque chiamati a colmare questo gap di peso specifico che li pone nella condizione di chi deve chiedere nell’ambito di una relazione fondamentalmente dominata dalla logica della offerta e della domanda (relazione esaltata ed alimentata scientemente dal sistema capitalista), anche se da sempre naturalmente occultata o camuffata in primis dagli uomini ma anche naturalmente dalle donne (dall’amor cortese al romanticismo). E’ anche e soprattutto per questa ragione che oggi il sistema capitalista non sa che farsene del patriarcato. Ha anzi necessità di un femminile declinato secondo le sue logiche che sono quelle della razionalità strumentale (capitalista) e, per la verità, e questa è un’amarissima constatazione (dovrebbe, per la verità, in linea teorica rappresentare un tragico fallimento per il femminismo), fermo restando la grandissima capacità di condizionamento del sistema, c’è da dire che molte donne hanno sposato, consapevolmente o inconsapevolmente, quel modello che, pur producendo alienazione, le pone in una posizione di vantaggio per lo meno nei confronti della grande maggioranza degli uomini che non hanno nessun potere contrattuale e nessun peso specifico da mettere sul piatto della bilancia di quella “contrattazione mercantile non dichiarata” (se lo fosse crollerebbe il velo di Maya che la copre…) a cui è stata ridotta la relazione sessuale. Da qui il gigantesco processo di mercificazione sessuale che vede la grande maggioranza degli uomini (con l’esclusione dei maschi socialmente dominanti che sono provvisti e in grado di esercitare il loro peso specifico) in una condizione di “ricatto”, dipendenza e subordinazione (psicologica e sessuale). Il paradosso è che proprio questi ultimi vengono individuati come i responsabili del processo di mercificazione (indicativa in tal senso la criminalizzazione degli uomini che frequentano episodicamente o sistematicamente le prostitute o praticano sesso virtuale a pagamento tramite chat line e quant’altro) quando è evidente che non ne hanno oggettivamente alcun interesse. Qual è infatti l’uomo che preferirebbe pagare, direttamente o indirettamente, di fatto o metaforicamente, per ciò che potrebbe avere gratis e che certamente preferirebbe vivere in modo naturale, spontaneo, ludico e libero da qualsiasi legaccio o condizionamento, in special modo di natura economica? Nessuno, è evidente (per lo meno fra gli uomini di condizione sociale, piccola, media, bassa o medio bassa), oppure soltanto colui che è in grado di “pagare” o a cui non pesa in alcun modo pagare perché dispone di possenti mezzi e risorse oppure ancora perché il suo status lo pone nella condizione di trarre dei vantaggi da questa situazione e di marcare e rafforzare ancor più la sua posizione di dominio nella gerarchia sociale (in questo caso la relazione si capovolge ed è quella tipologia di uomini ad essere oggetto delle attenzioni femminili).

Quindi, come vediamo, anche e soprattutto in questo caso, la narrazione femminista ha operato uno stravolgimento (e un capovolgimento) totale della realtà. Ma non è un caso, ovviamente, perché nella società capitalista assoluta dove tutto deve essere sottoposto alle logiche di mercato, la sessualità non può certo restare come una sorta di oasi libera. Al contrario, in primis la sessualità deve essere mercificata, psicologicamente e concettualmente prima ancora che praticamente, perché la grande potenza e l’energia che è in grado di sviluppare deve essere necessariamente ingabbiata nelle logiche della razionalità mercantile e strumentale capitalista dominante. All’interno di queste logiche sono innanzitutto i maschi non appartenenti alle elite sociali dominanti a trovarsi in una posizione oggettivamente subordinata, perché privi di qualsiasi “potere contrattuale” nell’ambito di una relazione, come abbiamo già spiegato, totalmente mercificata.

Ciò che il femminismo deve altresì negare è che sono le donne stesse ad avere da sempre alimentato determinati modelli maschili, quelli appunto del maschio vincente, di successo, potente, socialmente affermato. Nessuna donna ha mai avuto come oggetto del desiderio un “perdente”, un “debole”, oppure un uomo di basso ceto sociale o comunque non socialmente affermato e in grado di rispondere a determinati requisiti che in primis le donne richiedono agli uomini.  Qui dovrebbe essere indagato a fondo il ruolo delle madri, andrebbe aperta una riflessione sul ruolo del materno e sulla relazione simbiotica che molto spesso può sfociare in un rapporto perverso tra madri e figlie e figli. E invece anche in questo caso, il materno viene da sempre celebrato, in primis dagli uomini; e non è un caso, ovviamente, perché la “mamma” è e resta la “mamma”, e l’imprinting materno viene interiorizzato dagli uomini e proiettato sulle altre donne. Da qui anche la paralisi maschile e la estrema difficoltà da parte degli uomini ad affrontare un percorso di consapevolezza necessariamente doloroso che prevede un processo di distacco, di separazione emotiva. Un processo che dovrebbe essere attivato e facilitato appunto dalla figura paterna e che, attuato in condizioni “normali”, cioè in presenza di un paterno e di un materno in una posizione di equilibro, dovrebbe per lo meno in linea teorica non comportare conseguenze laceranti e nevrotizzanti in termini psicologici. In assenza invece dell’elemento paterno, o comunque con un paterno disconosciuto quando non criminalizzato, questo processo rischia di non inverarsi mai e quand’anche lo fosse, sarebbe inevitabilmente molto più faticoso e doloroso.

Ci rendiamo quindi conto di come il femminismo abbia rovesciato tutto ciò attribuendo interamente agli uomini la responsabilità di aver costruito e imposto determinati modelli che sono invece in larghissima parte dovuti a delle proiezioni di archetipi femminili (proiezioni delle donne, ovviamente). Potremmo anzi dire, capovolgendo il tutto, che sono gli uomini a trovarsi nella condizione di dover rincorrere quei modelli per poter essere appetibili nei confronti delle donne, per poter cioè essere scelti. Tutto ciò viene scientemente esaltato nella società capitalistica assoluta, dove tutto è sottoposto a mercificazione, pratica o concettuale. Possiamo quindi affermare che in questo contesto sociale i primi a “mettersi in vetrina”, i primi a fare mercimonio di loro stessi (un mercimonio fondamentalmente indotto), sono proprio gli uomini, prima ancora delle donne, le quali, avendo ormai interiorizzato le logiche e le dinamiche della ragione strumentale capitalistica dominante, vivono la relazione con gli uomini come intrinsecamente mercantile, e considerano la loro sessualità come una merce, una proprietà privata che in quanto tale ha un valore, in termini economici, concettualmente parlando, prima ancora che praticamente. E la proprietà non è qualcosa che si dona, bensì è qualcosa che si utilizza, si investe o tutt’al più che si aliena per trarne un profitto. E’ ovvio che tutto ciò non è manifesto, bensì abilmente camuffato sotto una grandissima coltre di ipocrisia che deve servire appunto a camuffare ciò che è stato ridotto ad uno scambio strumentale, anche se, come dicevamo poc’anzi (ma repetita iuvant) non dichiarato (se lo fosse, tutta questa impalcatura si sgretolerebbe), nella maggior parte dei casi”.

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Fonte foto: Affari italiani (da Google)

 

 

35 commenti per “Sulla questione della prostituzione e della mercificazione sessuale

  1. 15 febbraio 2020 at 12:39

    Analisi sociale ineccepibile. In un quadro di denatalità organizzata (il “materiale umano” non serve più al capitale) non stupisce che si organizzi anche la scarsità della “merce” femminile, con conseguente spropositato aumento del suo “valore”.
    Cito una sintesi di questo articolo sul mio forum.

  2. Giacinto Lombardi
    15 febbraio 2020 at 19:05

    Il femminismo è sempre falsa coscienza, sulla prostituzione come su tutto. Forse bisognerebbe dare una risposta “fichtiana” alla costante rivalsa femminista: abbiamo bisogno di costruirci ostacoli per poterli superare. Tutto ciò che le femministe attribuiscono a noi è dentro di loro, è una lotta contro se stesse e le loro madri. Sentire la prostituzione come sfruttamento e degrado dell’immagine della donna, significa combattere in se stesse il facile sogno di far soldi col sesso, c’è un senso di onnipotenza nel pensare quanto sia facile per una donna fare soldi col sesso, non ci vuole nessuna laurea, nessun master, nessun investimento… Per combattere la tentazione di prostituirsi bisogna sentirsi sfruttati altrimenti torniamo all’eterismo bachofeniano, la donna ha bisogno di combattere la prostituzione per combattere in se stessa il mito della cortigiana.

  3. Massimo Vettori
    15 febbraio 2020 at 20:35

    Condivido l’impianto e il contenuto. Sebbene manchi del tutto l’analisi della ragione di fondo, comune a tutte o quasi le specie viventi a riproduzione sessuata, che invera tutto ciò. Ovvero la selezione sessuale, le cui “vittime” sono sempre e solo maschi. Ma in questo caso la sconfitta non coincide con la perdita della vita, bensì con nessuna possibilità di riprodursi. Andando oltre in questa analisi, possiamo ben dire che generalmente il sesso maschile è troppo al sesso femminile, in ragione del fatto che un singolo maschio produce tanti gameti quanto ne potrebbero occorrere a fecondare tutte le femmine della sua specie. Mentre le femmine ne producono una quantità limitata, sulla quale, perciò, investono molto di più. Ma se in una specie, com’è la nostra, nascono pressappoco lo stesso numero di maschi e di femmine e però le femmine sono sessualmente più selettive dei maschi, ovvero cercano di accaparrarsi i maschi migliori (qualunque cosa significhi “migliori”), ciò non può avere altro risultato che più femmine scelgono i medesimi maschi. Perciò, a ben vedere è un errore madornale considerare la prostituzione una causa anziché un effetto. Ovvero l’effetto del fallimento degli uni e delle altre rispetto al proprio modello di riferimento positivo. Che per le donne è un uomo speciale e per gli uomini aver comunque successo con più donne possibile. Al che, per la prostituzione avviene l’esatto contrario: ovvero poche donne per molti uomini ed è null’altro che la camera di compensazione, dove ripiegano uomini e donne che hanno fallito rispetto al proprio modello positivo. E si accoppiano e si detestano, cercando di dare ciascuno il meno possibile all’altro. Perché rappresenta nella sua persona il modello più lontano dal proprio, reciproco, immaginario sessuale positivo.

    • Valter Bocelli
      17 febbraio 2020 at 11:35

      Analisi lucida e condivisibile. L’aspetto antropologico annulla l’analisi marxista come un di piú non strettamente necessario se non per il concetto di merce in ambito morale.

      • Fabrizio Marchi
        17 febbraio 2020 at 16:03

        Non è così, ti sbagli. L’aspetto antropologico e l’analisi marxista si compenetrano invece, perché il dominio capitalistico interviene (e specula) appunto su una dimensione antropologica, nel caso specifico la differenza fra i sessi e in particolare quella sessuale (l’asimmetria…).
        Natura e cultura si compenetrano, come sempre, nell’essere umano, che è un essere naturale e culturale nello stesso tempo, ed è questa la sua specificità. E’ impossibile separare i due aspetti, e questo è l’errore grossolano che commettono sia gli “ontologisti” (come te…) sia i “culturalisti”. E’ proprio su quella asimmetria sessuale che caratterizza i sessi che i vari sistemi di dominio sociale che si cono succeduti nella storia sono intervenuti. Ora è la volta di quello capitalistico. E la questione non è affatto limitata all’ambito morale. Anche questo è un errore madornale. Stiamo parlando di ciò che regola la relazione fra i sessi che è fondamentalmente uno scambio (quindi concettualmente mercantile) dove ciascuno dei due chiede qualcosa (di diverso) in cambio all’altro. Ora, la rivoluzione tecnologica che ha trasformato il lavoro e l’organizzazione del lavoro, che ha permesso alle donne di entrare in modo sistematico nel mondo del lavoro ha messo in crisi quelle regole e quelle dinamiche regolavano prima quello scambio. E allora è saltato tutto, come ha spiegato Rino Della Vecchia in un altro commento in risposta a Massimo Vettori. .

        • Panda
          20 febbraio 2020 at 14:04

          Eppure, date le premesse del ragionamento tuo e di Rino, l’obiezione di Walter è parzialmente fondata. Non vedo anzi come possiate tenere in piedi il concetto di alienazione. Se il rapporto fra uomo e donna è antropologicamente mercantile, che senso ha introdurre come controfattuale con valore assiologico una (impossibile) dimensione di “dono”? (“E la proprietà non è qualcosa che si dona, bensì è qualcosa che si utilizza, si investe o tutt’al più che si aliena per trarne un profitto.”). Per voi il capitalismo, nei rapporti fra i sessi, non distorce alcunché, ma, anzi, avendo prodotto la fine del dovere, come dice Rino, rivela, smaschera, distrugge fiabe e sogni. Qui però non siamo dalle parti di Marx, in cui una fortissima dimensione etica era presente altroché, ma piuttosto di Foucault o di Nietzsche (o di De Sade)…

          • Fabrizio Marchi
            21 febbraio 2020 at 1:01

            La premessa è che il rapporto con Marx non può essere religioso. Per la serie “se si è vicini a Marx si è nel Vero o vicini al Vero e se si è più vicini ad altri o un pochino (o tanto) distanti da Marx su questo o quell’altro aspetto significa essere nel falso”…
            Questo è un atteggiamento religioso, e ha anche poco a vedere con il marxismo (inteso come Marx pensiero). Marx non era un Dio e per quanti sforzi abbia fatto non ha potuto affrontare ogni aspetto della realtà, tant’è che ci sono diversi aspetti che non ha affrontato, e fra questi proprio la questione sessuale così come quella psicologica. Non gliene facciamo una colpa. Del resto, se la storia del pensiero filosofico non è finita con Hegel (come pretendeva) non è neanche finita con Marx (che non l’ha mai preteso, a differenza di Hegel).
            Tornando a noi, ho spiegato mille volte (di numero, non metaforicamente), che l’essere umano (ed è la sua specificità rispetto a tutti gli altri esseri) è un essere naturale e culturale nello stesso tempo. Per cui sia gli aspetti naturali che quelli culturali, intimamente legati fra loro, agiscono nello stesso tempo e non possono essere separati. Anche tu (come Gino) li stai separando.
            Il fatto che esista una diversità fra uomini e donne nel modo di vivere il sesso (mi sembra anche evidente e francamente non riesco a capire come si possa negare) indipendentemente dall’aspetto culturale in senso stretto, mi sembra innegabile. In natura, se osserviamo il comportamento di TUTTE le specie animali (non sono un etologo ma un semplice appassionato di documentari di vita animale) ci rendiamo conto di come i comportamenti siano gli stessi per tutte le specie: i maschi sempre pronti all’accoppiamento mentre le femmine sono disponibili solo e soltanto in determinati periodi. Ora, gli animali sono soltanto natura e NON cultura, a differenza, appunto, degli esseri umani, che sono invece una miscela di natura e cultura. Cultura intesa non solo come elemento esterno o condizionamento esterno o imposto dall’esterno, ma proprio come elemento costitutivo dell’umano stesso. Gli umani che si rizzano su due zampe, che fabbricano i primi rudimentali utensili e che in seguito cominciano anche a disegnare sulle pareti delle caverne, ci confermano la assoluta peculiarità dell’essere umano. Dopo di che successivamente entreranno in ballo le varie civiltà e i vari contesti con i loro condizionamenti culturali, religiosi, sociali ecc.
            Resta però il fatto che gli umani sono esseri naturali e culturali e che questi due aspetti NON possono essere separati. In parole ancora più povere, la diversità fra maschi e femmine c’è sempre stata e sempre ci sarà, anche e soprattutto nel modo di vivere la sessualità. Anche nei contesti più liberi (quelli che da queste parti auspichiamo) questa diversità esiste comunque, per la semplice ragione che è data da fattori naturali. Nei contesti sociali più liberi, dal punto di vista sessuale – penso ad esempio a Cuba, che conosco bene, dove la sessualità è sicuramente libera e priva di condizionamenti – il modo di viverlo è comunque diverso tra maschi e femmine. Certo, questa diversità è molto più attenuata rispetto ad altri contesti sociali, appunto perché non ci sono i condizionamenti culturali che ci sono in quasi tutti gli altri contesti, purtuttavia permane. L’atteggiamento delle donne, seppur molto più libero rispetto alle nostre società o ad altre, è comunque diverso da quello degli uomini. Certo, da un punto di vista sessuale, Cuba è quasi un paradiso per gli uomini, in relazione agli altri paesi e contesti. Ma appunto, anche in quel “paradiso” le diversità permangono. I maschi sono SEMPRE disponibili, a differenza delle femmine. Le femmine, per quanto possano essere più libere o anche molto più libere rispetto alle donne del resto del mondo, non possono venire meno alla loro “parte di natura”, il famoso richiamo della foresta che per loro è, anche, la filiazione, mentre per i maschi è il desiderio sessuale. E, alla fin fine, specie quando comincia a farsi sentire la famosa lancetta dell’orologio biologico, indirizzano la loro sessualità in una direzione. La legge del desiderio lascia il posto alla ricerca dell’ “uomo giusto”.
            Su tutti questi passaggi interviene il condizionamento sociale e culturale che, nel nostro caso, è quello capitalistico, che condizionerà sia la fase del desiderio che quella della ricerca dell’ “uomo con cui fare figli. Non solo, interviene sul modo stesso di “sentirsi”, di concepirsi, di una persona. Ergo, essere una donna e avere una diversa sessualità rispetto agli uomini, non significa necessariamente (anzi, non lo significa affatto…) sentirsi e viversi come una proprietà, una merce, un esser dotato di un capitale da investire. E’ questo il passaggio che si compie nel momento in cui si interiorizza l’ideologia capitalistica. La dico ancora più facilmente. Una certa ritrosia della donna è fisiologica perchè, appunto, è parte della sua natura (di quanto c’è in lei di naturale), a differenza dell’uomo che, appunto, è mediamente sempre disponibile. E’ con i condizionamenti culturali che quella ritrosia si trasforma in altro, in razionalità strumentale applicata alla sfera sessuale. Nelle società pre-capitalistiche si trasformava in altro ancora, in obbedienza ad una serie di precetti religiosi, ad esempio. E così via.
            Quindi, tornando ancora una volta a noi, non c’è proprio nessuna contraddizione in quello che sosteniamo. La contraddizione è la vostra che commettete l’errore di separare completamente natura e cultura (lo steso errore che commettono gli “ontologisti” da una parte e i “culturalisti”, ai quali voi appartenete, dall’altra). E questo errore, ovviamente, vi porta ad una analisi, a mio parere, errata.
            In ultimissima analisi, dov’è il busillis. E’ proprio nella negazione di questa diversità, come fa, non a caso il femminismo. Se dovesse ammetterla, dovrebbe in effetti riconoscere che le donne sono in grado di esercitare un potere enorme sugli uomini, cosa che non può ammettere. E infatti, e neanche questo è un caso, il femminismo sostiene che siano state le varie culture maschiliste e patriarcali a reprimere la sessualità femminile che altrimenti sarebbe del tutto simile a quella maschile. Ma questa è una fesseria. E’ vero che i differenti contesti culturali che si sono succeduti nella storia hanno represso la sessualità femminile. Quello che non viene detto è che questa repressione è stata agita sulle femmine perché non avrebbe potuto atecchire sui maschi (appunto per laro specificità sessuale…). Ma reprimendo la sessualità femminile si reprime e si canalizza (a seconda dei vari contesti culturali e sociali) anche e soprattutto quella maschile che, a quel punto, è costretta ad adeguarsi, a piegarsi, a storcersi, ancor più di quanto non debbano storcersi le donne.
            Focault o Nietzsche, sventolati come una bandiera brandita contro la nostra presunta apostasia, non c’entrano proprio niente…

    • Rino DV
      17 febbraio 2020 at 12:22

      Il rapporto F/M pare anche a me fondato su quello squilibrio fondamentale. I due non cercano l’uno nell’altro la stessa cosa. I bisogni sono diversi e quindi le aspettative.
      ,
      La prostituzione in senso stretto manifesta quella differenza in modo eclatante (e persino urtante). Ma quella diversità di interessi non può mancare in tutte le relazioni e lo scambio deve essere presente anche là dove non appare, occultato da fattori, condizioni e contesti entro cui sembra evaporare.
      .
      Una simile visione porta però al disincanto radicale sui veri fondamenti del rapporto e sul c,d, “amore” perché scompare la polpa e si vede solamente lo scheletro. Il reciproco diverso bisogno non speculare.
      .
      Lo scambio deve essere allora universale. Tale io lo giudico e per questo non uso mai i termini che squalificano le c.d. “prostitute” perché l’intera relazione F/M è fondata da sempre e ovunque su un baratto.
      .
      Nella prostituzione in senso stretto dici “si accoppiano e si detestano, cercando di dare ciascuno il meno possibile all’altro”.e dici benissimo. Ma se i bisogni sono in nuce diversi allora quella regola deve valere sempre (e da sempre) anche là dove si parla di innamoramento e di amore. Allora lo slogan “lo facevano per dovere” nella relazione millenaria tra coniugi diventa amaramente vero. Finito dunque il dovere, cosa accadrà? Cosa sta accadendo?
      .
      Me ne sono occupato in tante sedi, ma l’analisi non è conclusa. Il problema risiede nel fatto che questa visione chiaroveggente è altamente sgradita. Non può essere accettata.
      .
      Per quanto mi riguarda il concetto stesso di “amore” va respinto e smascherato in quanto depistante. Esso va sostituito con quello di “bisogno”.
      Con l’avvento del XXI secolo non è più ammesso parlare di “amore”.né in psicologia né in filosofia. L’era delle ingenuità, dei sogni, delle fiabe è finita.
      Non esiste e non è mai esistito niente di simile tra F ed M.
      Solo bisogni e interessi in conflitto,
      .
      (Ovviamente non pretendo che si concordi su questo).

    • gino
      20 febbraio 2020 at 21:24

      nei secoli gli etnologi hanno riportato cose ben diverse da quelle che dici tu per migliaia di popolazioni in giro per il mondo.
      ad esempio ricordo di un popolo polinesiano in cui i padri si vantavano con gli altri padri di quanto numerosi fossero gli uomini che s´erano trombati le proprie figlie.
      potrei fare centinaia di esempi simili.
      ma anche qui in brasile, fino a 15 anni fa, conobbi un botto di donne collezionatrici seriali di compagni di letto (e gratis).
      alla faccia dell´”un uomo speciale’ e dei “gameti”…

  4. gino
    20 febbraio 2020 at 21:07

    concordo su tutto… tranne su questo:
    “Una dipendenza data da una condizione naturale (che attiene allo stato di natura, alla condizione ontologica degli uomini e delle donne) di asimmetria sessuale che pone gli uomini in una condizione di dipendenza nei confronti delle donne”

    non é naturale ma é figlia di certe culture-religioni che artificialmente abbassano quasi a zero l´offerta di sesso da parte delle donne.
    la risultante artificiale discrepanza enorme tra domanda maschile di sesso (rimasta alta) e l´offerta femminile (ridotta quasi a zero) crea la merce e il prezzo. e la degradazione del maschio a chihuahua e bancomat ambulante.

    p.s.1 se fosse naturale non si spiegano gli immani sforzi di certe religioni, e dell´attuale politicamente corretto, per distruggere la sessualitá.

    p.s.2 se pensate che sia naturale allora é inutile combattere per cambiare le cose. e oltre che inutile é anche antietico.

  5. Panda
    21 febbraio 2020 at 11:30

    @Fabrizio: Inizio dalla questione natura – cultura. L’enorme rilevanza della cultura deriva precisamente dalle peculiarità naturali dell’essere umano: è proprio la natura che ci ha regalato la flessibilità culturale (tra la vasta bibliografia mi limito a segnalare un libro che mi è piaciuto particolarmente: https://www.press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/D/bo16611802.html ) – per questo il paragone con gli animali è fuorviante – e quali ne siano i limiti, a parte quelli strettamente fisiologici, nessuno lo può stabilire a priori (certo non si può vivere senza mangiare, ma, per quanto sia difficile immaginare qualcosa di più naturale che nutrirsi, niente ha impedito ai jainisti di fare del suicidio per fame una pratica pia). Per quanto riguarda le differenze nel comportamento dei sessi, sorvoliamo pure sugli studi di antropologia culturale (per quanto sia ovviamente d’accordo con gino su questo punto), ma pure scienze à la page arrivano al massimo, con procedure assai dubbie, peraltro, a segnalare tendenze mediamente diffuse (vedi Delusions of Gender di Cordelia Fine). La possibilità della variazione implica quella del giudizio (senza con ciò, sia ben chiaro, implicare che sia sempre possibile o desiderabile manipolare la cultura: proprio perché si tratta della nostra dimensione esistenziale l’immagine che ne offrono i postmoderni, ossia di una sorta di vestito che si potrebbe mettere e togliere a piacere, è assurda). E qui vengo alla mia critica, che non consiste affatto in accuse di apostasia (mi piacerebbe davvero sapere dove le vedi). Marx non era un profeta e la purezza non è un valore, siamo perfettamente d’accordo su questo; per un qualsiasi pensiero la coerenza invece lo è, spero che l’accordo ci sia anche qui. Se si afferma che il rapporto fra i sessi consiste essenzialmente, “naturalmente”, in un gioco di potere che può al massimo portare a una forma di scambio volontario (“Lo scambio deve essere allora universale”), ma non consentire di accedere a una dimensione di profonda comunione (amore), io qualche problema di compatibilità con la categoria marxiana di alienazione, che costituisce appunto un giudizio filosofico su forme di vita (intese in senso storico culturale) basate sullo scambio, continuo a vederli, e a più di un livello. Poi naturalmente ognuno giudicherà come crede.

    • Fabrizio Marchi
      21 febbraio 2020 at 13:50

      L’ “accusa” di apostasia era ovviamente una battuta…
      Per quanto riguarda i jainisti e la pratica del suicidio per fame, bè, se la mettiamo su questo piano è ovvio che possiamo dire tutto e il contrario di tutto, ma entriamo nel relativismo più assoluto che, guarda caso, è proprio un mattone fondamentale dell’ideologia neoliberale e capitalista attualmente dominante…
      Ciò detto, non riesco a capire, onestamente, dove sarebbe la mia incoerenza. Mi pare di essere stato chiaro nella mia risposta.
      Siamo un mix di natura e cultura, e quindi pensare di poter manipolare a nostro piacimento la natura o di poterla annichilire non solo sarebbe anche impossibile ma anche sbagliato. Per capirci ancora meglio, io non penso che la natura sia solo l’homo homini lupus di hobbesiana memoria. L’essere umano ha certamente una componente di questo genere ma è nello stesso tempo anche un animale sociale, politico, come diceva anche Aristotele. In natura, per le ragioni più diverse, si dà l’egoismo più sfrenato ma anche la cooperazione, la collaborazione, la solidarietà. Dopo di che su tutto questo entra in ballo la cultura con tutto ciò che ne consegue e che abbiamo già detto. Quindi anche la natura umana è complessa, sicuramente più complessa di quella degli animali. Ma il riferimento non era affatto fuori luogo perché, per quanto evoluti e per quanto infinitamente più complessi, anche noi siamo in parte degli animali. La competizione dei maschi per le femmine, nello stato di natura (nella vita animale, intendo, in questo caso) è un fatto oggettivo. Le femmine si accoppiano con i maschi che escono vincenti dallo scontro, spesso mortale, con altri maschi. E’ generalmente un maschio su dieci che si accoppia, il famoso maschio alpha dominante. Questo meccanismo si ripropone, anche se in forme ovviamente molto diverse e molto più evolute, anche nella vita umana e civile. Certamente, in questa caso c’è anche il concorso (e chi lo nega?…) della cultura, ma non c’è dubbio che certe dinamiche appartengano allo stato di natura (che negli uomini è già complesso di suo e che si mescola con la cultura…). Questo fa sì che per ragioni sia naturali che culturali i sessi siano molto diversi fra loro e che la sessualità sia condizionata da tutto ciò, cioè da questa miscela di natura e cultura che può portare, a seconda dei differenti contesti sociali e culturali, a situazioni molto diverse. Ho portato l’esempio di Cuba, unica al mondo (e lo dice uno che ha viaggiato molto…), il Brasile al confronto è un collegio di educande. Eppure anche in un contesto sessualmente molto libero dove certo il sesso non ha nessun tipo di tabù, la sessualità, anche se in misura molto minore rispetto ad altri contesti, viene comunque vissuta in maniera diversa dalle donne e dagli uomini. Vuoi/volete negare questo? Per quanto mi riguarda equivale a negare l’acqua calda, però fate vobis, non c’è nessun problema, per me potete pure sostenere che gli asini volano, non mi fate mica del male…
      Ciò che io sostengo è che su questa diversità sessuale (che se non subisse tutti i condizionamenti socio-culturali che sappiamo, potrebbe essere accettabile…), i vari sistemi di dominio sociale si sono incuneati e sono intervenuti pesantemente. Del resto, volendo fare un volo enorme, anche la dinamica dello scambio esiste ben prima dell’avvento del capitalismo… Ma un conto è lo scambio effettivamente fra pari, ammesso che sia mai esistito nella sua forma più naturale, e un altro è lo scambio capitalistico.
      Voi invece pensate fondamentalmente che la sessualità femminile e maschile sia esattamente la stessa, in termini di bisogni, desideri ecc. e che se le donne agiscono in modo differente dagli uomini dal punto di vista sessuale sia dovuto solo ai condizionamenti culturali, anche perché secondo la vostra concezione la cultura è distinta e separata dalla natura, della quale avete una concezione molto positiva, mi sembra evidente. E quindi ciò che bisognerebbe fare è liberare la natura dai vincoli della cultura per liberare l’umanità da ogni forma di alienazione. Vero in parte, ma solo in parte, appunto perchè l’evoluzione della nostra specie è il risultato di questa commistione fra natura (già complessa per gli umani) e cultura, che è la specificità degli esseri umani.
      Io la vedo in modo diverso dal vostro, cioè nel mondo che ho cercato di spiegare. Aggiungo solo che il concetto di alienazione può essere applicato sia alla natura che alla cultura perché, dal mio punto di vista, fare leva soltanto sull’una o viceversa sull’altra, significa, per come vedo io le cose, intervenire pesantemente sulla “natura complessa” dell’essere umano e quindi metterlo in una condizione di alienazione.
      Spero di aver chiarito la mia posizione.

      • Panda
        21 febbraio 2020 at 20:32

        Ma per quale stravagantissima ragione affermare che ci sono indefinite possibilità implicherebbe il giudizio (che si sa dai tempi di Aristotele essere autocontraddittorio) che una vale l’altra?? Concordo che il relativismo culturale postmodernista è una faccia dell’odierno pensiero borghese, ma il riduzionismo naturalista è l’altra e il punto comune è proprio la svalutazione della cultura come habitat della socialità umana, a cui, come criteri di giudizio nella discussione, applicheremo il bene e il giusto, non il “naturale”.

        Sul resto non voglio ripetermi: stai semplicemente simbolizzando culturalmente la natura, o meglio: un certo modo di guardare alla natura, uno specifico e stravagante tratto della cultura occidentale su cui ha scritto un bellissimo libro Marshall Sahlins. Come ti ho fatto notare la reale pratica di studio delle scienze naturali, in particolare le neuroscienze, è, non sempre, peraltro, molto più cauta (come dice la Fine: “Where the convergence between female and male lives might end is anybody’s guess.”). E meno male. Ma veramente vuoi che vengano gli scienziati a dirci come dovrebbero funzionare i rapporti fra le persone, cioè a spacciarci i loro pregiudizi di ceto? L’autodenigrazione dei filosofi, come la chiamava Preve, è una delle patologie della società capitalista.

        L’argomento che in società più libere, ma anche su questo concetto bisognerebbe discutere parecchio, il comportamento fra i sessi è diverso non dimostra proprio niente, salvo immaginare che all’esistenza della libertà debba seguire l’apparizione dell’uomo (o donna) “in quanto tale”, quello che Castoriadis chiamava “il soggetto assoluto”, una fantasia che, ti assicuro, non coltivo affatto (ed è una delle ragioni della mia opposizione al femminismo). La condizionatezza storico-culturale è una dimensione da cui non c’è libertà che consenta di uscire, senza che in ciò vi sia di per sé alcunché di patologico: l’alienazione si dà nella storia, ma non è la storia stessa, per citare ancora Castoriadis (come vedi non ho nessun problema con autori non marxisti, quando ne ritengo corretto l’approccio). Quindi non sto affatto affermando che non c’è differenza fra la sessualità maschile e quella femminile: le differenze culturali non sono “finte”, mentre vere sarebbero solo quelle naturali. Sono progressivamente discutibili e dico progressivamente perché immaginare che siano tutte il frutto di un qualche gioco di potere, ossia di un meccanismo di oppressione, tanto più in una società caratterizzata da aspetti di libertà notevole come quella odierna, è, giust’appunto, una fantasia nietzschian-foucaultiana paranoica, che può solo legittimare o un nichilismo naturalista oppure utopie di instauratio ab imis della società, cioè dispositivi di potere totalitari (altra ragione di opposizione al femminismo); in ogni caso il capitalismo è un tale fattore di disturbo che individuare quelle autonomamente criticabili lo trovo al momento impossibile, ed è per questa ragione che ritengo il femminismo un fenomenale generatore di falsi bersagli e confusione, ma non riesco ad esprimere un giudizio granché più benevolo verso chi naturalizza lo scambio come fondamento dell’interazione umana (come Adam Smith!), anche limitandolo al rapporto fra i sessi. Ovvero quanto siano ampi i margini di questa, come la chiami tu, “accettabilità”, nessuno lo può sapere, ma proprio per questo un certo ottimismo è del tutto lecito conservarlo, soprattutto nell’ambito di una tradizione di pensiero che sugli elementi di socialità positiva umana (ragionevolmente, a mio parere) scommette molto.

  6. Rino DV
    21 febbraio 2020 at 19:33

    Il dibattito si fa interessante. Va a toccare i temi classici delle conversazioni originate dall’analisi del rapporto F/M sia contingente che sovrastorico. Il rapporto natura/cultura, il valore da assegnare alla visione marxista (al marxismo reale, quello novecentesco) e a quella marxiana doc sulla relazione tra i sessi, il ruolo delle religioni, il senso di un impegno per modificare ciò che ha anche una base naturale, la differenza tra filosofia descrittiva (sterile) e filosofia evolutiva (impulsiva di mutamenti) etc. Nel mio caso, chiama in causa anche la mia posizione personale (da una parte) e quella che invece assumo pubblicamente da sempre nel mio impegno promale (che non coincide con la prima, sic! …ma non è schizofrenia). Ancora: viene chiamato in causa il rapporto tra lotta di classe e lotta dei sessi.Etc.
    .
    Ho osservazioni da presentare su tutti questi aspetti. Ma non lo posso fare in una bacheca dei commenti (e allora dove? boh…!).
    Per ora valga quanto segue.
    .
    1-Concordo con Fab sulla inestricabile miscela natura cultura.
    2-Concordo pure sulla opinione che Marx non va considerato fonte di verità (pur riconoscendo che appartiene a quella minoranza di filosofi che non sono riusciti a sbagliare tutto o quasi…).
    3-Ci confrontiamo con la situazione presente, non con le condizioni dei rapporti in altri luoghi o tempi.
    4- L’analisi della c.d. “prostituzione” (come di tutto il resto) va centrata non solo sulla parte visibile, ma anche e soprattutto su quella invisibile.
    5-Bisogna tenere l’animo preparato alla caduta di molti sogni.
    6-Rispetto ai due conflitti, classe / sesso, non è detto che l’impegno su uno debba nascondere quello sull’altro. Tuttavia a fronte di chi sostiene che il secondo depista dal primo, affermo che, in questa fase storica, il primo depista dal secondo.
    (…questa affermazione è già pesante, lo so.)
    7-Sostengo (altra pesante…) che è in ballo l’esistenza stessa della psiche maschile in Occidente, non in quanto obiettivo conscio del femminismo o delle sue madri e paladine, ma come conseguenza inevitabile della sua avanzata e della sua (probabile) vittoria. La repressione sessuale antimaschile ne è parte integrante.
    8-Il permanere della c.d. “prostituzione” visibile è imbarazzante per il femminismo (la liberazione sessuale non doveva porvi termine?…) ed è uno strumento di lotta contro gli UU. UU che vanno a pagare una minestra insipida quando a casa hanno piatti di leccornie. Gratis. Bisogna rovesciarne il senso, per usarla nella lotta antimale.

  7. Sandro Desantis
    22 febbraio 2020 at 17:15

    A far luce sui diversi desideri dei due sessi sono i rapporti omosessuali.
    Quelli eterosessuali rappresentano un compromesso tra i desideri di un uomo e i desideri di una donna, e tendono quindi a minimizzare le differenze tra i sessi.
    Gli omosessuali, invece, non hanno bisogno di giungere a compromessi, e la loro esperienza mette in mostra la sessualità umana in una forma più pura.
    In uno studio sugli omosessuali di San Francisco condotto prima dell’epidemia di AIDS (il primo caso ufficiale fu registrato il 5 giugno 1981), emerse che il 25% degli uomini gay aveva avuto più di mille partner sessuali; il 75% oltre 100.
    Viceversa, nessuna femmina lesbica risultò essere così promiscua, solo il 2% di esse dichiarò un centinaio di partner.
    Anche altri desideri dei gay, come quelli riguardanti la pornografia, la prostituzione e l’attrazione per partner giovani, rispecchiano o portano all’eccesso i desideri degli eterosessuali.
    (Tra l’altro, il fatto che i desideri sessuali degli uomini siano gli stessi a prescindere dal fatto che siano rivolti alle femmine o ad altri uomini confuta la tesi che si tratti di strumenti di oppressione della femmina.)
    Non è che gli uomini gay siano sessualmente “più calorosi”: sono semplicemente uomini i cui desideri maschili si incontrano con altri desideri maschili anziché con desideri femminili.

    Tra gli eterosessuali, se gli uomini desiderano la varietà più delle femmine, quello che dovrebbe conseguirne può dircelo un qualunque corso di economia.
    L’accoppiamento dovrebbe essere considerato un’elargizione femminile, un “favore” che le donne possono decidere se concedere o negare.
    Fiumi di metafore parlano del rapporto sessuale con una donna come di una merce preziosa, sia che assumano il punto di vista di lei (concedersi, dargliela, sentirsi usata), sia che assumano quello dell’uomo (averla, favori sessuali, farcela).
    E le “transazioni sessuali”, come i cinici di ogni genere hanno scoperto da tempo, obbediscono spesso a logiche di mercato.
    In tutte le società sono quasi esclusivamente gli uomini che corteggiano, fanno approcci, ricorrono a “filtri d’amore”, fanno regali in cambio di rapporti sessuali, pagano le prostitute, etc.
    L’economia sessuale, naturalmente, dipende anche dalla desiderabilità dei singoli individui, non solo dai desideri medi dei due sessi.
    Si paga per il sesso (in denaro, impegni, favori, regali, vacanze, cene, etc.) quando il partner è più desiderabile di noi.
    Dato che le donne discriminano più degli uomini, l’uomo medio deve pagare per avere rapporti sessuali con la donna media…* (Non sempre è così ma poco ci manca*…)
    Un uomo medio può attrarre una moglie di qualità superiore a quella di una partner occasionale (presumendo che l’impegno matrimoniale sia una forma di pagamento…), mentre una donna media può attrarre un partner occasionale (che non pagherebbe niente…) di qualità superiore al marito*.

    Solo con gli uomini di qualità “più alta” sono disposte ad avere rapporti sessuali (gratis) un gran numero di femmine.

  8. Sandro Desantis
    22 febbraio 2020 at 17:20

    Il sistema di accoppiamento umano non assomiglia a quello di nessun altro animale.
    Il che non significa tuttavia che sfugga alle leggi che regolano i sistemi di accoppiamento, leggi documentate in centinaia di specie.
    Un gene che predisponesse un maschio a essere tradito, o una femmina a ricevere meno aiuto delle altre dal suo compagno, sarebbe rapidamente scartato dal pool genetico.
    Un gene che permettesse a un maschio di inseminare tutte le femmine, o a una femmina di partorire i figli più benaccetti del maschio migliore, prenderebbe rapidamente il sopravvento.
    Queste pressioni della selezione non sono da poco.
    La sessualità umana, se fosse una “costruzione sociale” indipendente dalla biologia, come vuole la concezione accademica popolare, sarebbe dovuta non solo sfuggire (miracolosamente) a queste potenti pressioni, ma anche resistere a pressioni altrettanto potenti di un altro genere.
    Se una persona si attenesse a un ruolo costruito socialmente, altri potrebbero plasmare quel ruolo per prosperare a sue spese: i potenti, per esempio, potrebbero sottoporre gli altri uomini a un lavaggio del cervello per convincerli a trovare piacevoli il celibato o il tradimento, lasciando così le donne a loro.
    Qualsiasi disponibilità ad accettare ruoli di genere costruiti socialmente sarebbe eliminata dalla selezione e i geni per resistere a questi ruoli prenderebbero il sopravvento…

    Che tipo di animale è l’Homo sapiens?
    Siamo mammiferi, quindi l’investimento genitoriale minimo di una donna è molto maggiore di quello di un uomo.
    Le dimensioni dell’uomo sono circa 1,15 volte quelle di una donna, il che ci dice che nella storia dell’evoluzione gli uomini sono stati in competizione fra loro: alcuni si accoppiavano con più femmine e altri non si accoppiavano affatto. (Ancora oggi è così…)
    A differenza dei gibboni, che vivono isolati, sono monogami e hanno un’attività sessuale relativamente scarsa, e dei gorilla, che vivono in piccoli gruppi, formano harem e, anch’essi, hanno un’attività sessuale relativamente scarsa, noi siamo esseri sociali: gli uomini e le donne vivono insieme in grandi gruppi e hanno continue occasioni di accoppiamento.
    Gli uomini, in proporzione alle loro dimensioni, hanno testicoli più piccoli di quelli degli scimpanzé, ma più grandi di quelli di gorilla e gibboni, il che indica che le donne ancestrali non erano sfrenatamente promiscue, ma nemmeno rigorosamente monogame.

    I bambini nascono inermi e a causa della grande importanza che hanno conoscenze e capacità per il nostro modo di vivere, restano dipendenti dagli adulti per una parte non indifferente dell’arco della vita umana.
    I figli hanno quindi bisogno dell’investimento genitoriale e gli uomini, grazie alla carne che ricavano(ricavavano) dalla caccia e ad altre risorse, hanno qualcosa da investire.
    Il loro investimento minimo è di gran lunga maggiore di quello al quale, per la loro anatomia, potrebbero tranquillamente limitarsi: essi nutrono i piccoli, li proteggono e li istruiscono.
    Il tradimento dovrebbe quindi essere (ed infatti è) un motivo di preoccupazione per gli uomini, e la capacità e disponibilità dell’uomo a investire nei figli un motivo d’interesse per le femmine.
    Poiché uomini e donne vivono insieme in grandi gruppi, come gli scimpanzé, ma i maschi investono nella prole, come gli uccelli, si è sviluppato il matrimonio, in cui un uomo e una donna stabiliscono un’alleanza riproduttiva volta a limitare i tentativi di terzi di ottenere accesso sessuale e investimento genitoriale.

    Questi aspetti della vita non sono mai cambiati, ma altri sì.
    Fino a epoca recente l’uomo cacciava e la donna raccoglieva.
    Le femmine si sposavano poco dopo la pubertà.
    Non esisteva la contraccezione, né l’adozione istituzionalizzata da parte di non parenti, né l’inseminazione artificiale.
    Sesso significava riproduzione e viceversa.
    Non c’erano alimenti provenienti da piante e animali domesticati, quindi non c’era il latte in polvere; tutti i bambini erano allattati al seno.
    Non c’erano neppure baby sitter a pagamento, né mariti casalinghi; i neonati e i bambini ronzavano attorno alle madri e ad altre donne.
    Tali condizioni sono rimaste immutate per il 99% della nostra storia evoluzionistica e hanno plasmato la nostra sessualità.
    I nostri pensieri e sentimenti sessuali sono adattati a un mondo in cui i rapporti sessuali davano figli, li si volesse o meno.
    E sono adattati a un mondo in cui i figli erano un problema della madre più che del padre.

    • Panda
      23 febbraio 2020 at 14:27

      E puntualmente il riduzionismo materialista è entrato in scena. Ma che sorpresa!
      Questa volta neanche più sotto forma del gene del tradimento, a cui la “divulgazione” ormai ci ha abituati, ma di quello che predispone ad essere traditi. Insomma, del gene del cornuto. Ma sei serio, Sandro? “È una mediocrità che presenta un bizzarro impasto di pettegolezzi e sensazionalismi per lo più infondati e di ideologia, quest’ultima ridotta in genere a un primitivo riduzionismo materialistico. La manifestazione più clamorosa (e onnipresente) di questo impasto è data da quella che gli anglosassoni chiamano la gene-for syndrome, ovvero la tendenza maniacale a individuare il gene che sarebbe responsabile di un particolare aspetto della nostra vita e del nostro essere: il gene della paura, della gelosia, dell’invidia, della rabbia e via folleggiando. Si tratta quasi sempre o di pseudoscoperte annunciate ai giornali o alla televisione prima che alle riviste scientifiche da qualche ricercatore in cerca di finanziamenti, o di ricerche deformate in modo sensazionalistico dai mezzi d’informazione stessi. Il tutto viene immancabilmente presentato nella cornice della solita predica materialistica secondo cui, pezzo dopo pezzo, la scienza starebbe svelando le cause materiali di ogni aspetto dell’esistenza.” (G. Israel, Chi sono i nemici della scienza?).

      Laddove, invece, un po’ più realisticamente: “In addition to having the longest period during which brain growth is shaped by the environment, human beings alter the environment that shapes their brains to a degree without precedent among animals.… It is this ability to shape the environment that in turn shapes our brains that has allowed human adaptability and capability to develop at a much faster rate than is possible through alteration of the genetic code itself. This transgenerational shaping of brain function through culture also means that processes that govern the evolution of societies and cultures have a great influence on how our individual brains and minds work.” (Wezler, Brain and culture: Neurobiology, ideology, and social change).

      Quanto al resto, nota bene che io l’espressione “costruzione”, tanto cara ai postmoderni, non l’ho usata, perché non si tratta di qualcosa progettato da qualcuno a tavolino, ma di un processo di socializzazione largamente spontaneo, solo parzialmente verbalizzato, che, come ho detto, solo uno (speriamo) fantascientifico potere totalitario potrebbe pretendere di controllare integralmente. Personalmente mi accontento dei livelli di manipolazione raggiunti dall’odierna società dello spettacolo, strumenti di difesa contro la quale ho paura sarebbe vano attendersi dalla genetica (e dalle sue caricature, che anzi fanno parte integrante del frame ideologico tecnoscientifico, come lo chiama Israel. Senza con ciò ovviamente negare gratitudine a quegli scienziati probi che ci aiutano a smontarlo, anzi), quanto dall’analisi critica della storia: “La storia oltrepassa di gran lunga qualunque angusto limite venga attribuito al potere di circoscriverci sia dei geni sia dell’ambiente. Come la Camera dei Lords che distrusse il suo potere per limitare lo sviluppo politico della Gran Bretagna nei successivi Reform Acts cui dette il suo assenso, così i geni, nel rendere possibile lo sviluppo della coscienza umana, hanno rinunziato al loro potere di determinare sia l’individuo sia il suo ambiente. Essi sono stati sostituiti da un livello completamente nuovo di causa, quella dell’interazione sociale con le sue proprie leggi e la sua propria natura, che può essere compresa ed esplorata solo attraverso quella forma unica di esperienza che è l’azione sociale.” (Lewontin, Biologia come ideologia).

      Insomma, di fronte alla portata dissolutrice di questa fase del capitalismo posso anche capire il desiderio di trovare punti fermi, ma cercarli nella natura, anziché nella cultura stessa, significa, a mio modo di vedere, cadere dalla padella nella brace. In effetti, voi regolatevi pure come meglio credete, ma io continuo a tenere molto caro questo avvertimento di Korsch: “Nonostante che taluni fenomeni di superficie dell’attuale attività filosofica e scientifica della borghesia paiano contraddire tale tendenza, e nonostante che indubbiamente esistano certune correnti realmente diverse e contrarie, anche oggi, come sessanta o settant’anni fa, si deve considerare tendenza fondamentale della filosofia borghese non quella che si ispira a una concezione idealistica, ma piuttosto quella che si ispira a una concezione materialistica influenzata dalle scienze naturali.”

      • Rino DV
        23 febbraio 2020 at 18:54

        Mi pare che tu abbia fatto una caricatura delle affermazioni di Sandro, che peraltro non contesti, rimandandone l’origine filosofica ad un “riduzionismo materialista” che sarebbe parte della nuova ideologica borghese.
        .
        Caricatura operata mediante l’ipotesi monogenetica che assegnerebbe ad un dato gene il condizionamento vincolante e deterministico sul fenotipo esteso.
        .
        Sì, ci fu un tempo in cui si cercò il gene del comportamento x, di quello y e di quello z. Visione semplicistica che è stata abbandonata persino in ambito medico in quanto si è visto che la predisposizione a determinate malattie è governata da un complesso di fattori genetici in combinazione con quelli ambientali e con gli stili di vita (benché in taluni casi pochi geni siano riconosciuti determinanti per sé soli). Ma questo non è il punto.
        .
        Si continua ad assimilare l’utilizzo “ideologico” di una tesi con la sua falsità.
        Criterio che però non si utilizza verso il femminismo. Proviamo a farlo.
        Che il femminismo sia una ideologia (una ideo-utopia nei miei termini) è fuori discussione. La tesi centrale (il dogma n. 1) di questa ideologia è che non esistono differenze naturali. Dal semplice fatto che è uno strumento ideologico se ne deve ricavare che è falso.
        Questo però contrasta con la tesi di tutto il movimento maschile internazionale, secondo cui esistono differenze naturali reprimibili ma non eliminabili.
        Chi ha ragione? Nessuno dal momento che per noi il femminismo è una ideologia mentre per il femminismo ideologia è la nostra.
        .
        Non se ne può uscire. Dico solo questo ma è decisivo, per quanto mi riguarda.
        1- se non si riconoscono differenze naturali che si esprimono in pulsioni, bisogni, interessi, orientamenti psicologici, vocazioni, stati emotivi, sofferenze, passioni diverse etc. la conseguenza è questa: gli UU non possono difendere nulla di se stessi.
        2-La ragione è semplice: se non esistono differenze naturali non esistono né UU né DD. Perciò gli UU possono e quindi DEVONO diventare DD.
        3-Non vi è alcuna ragione per la quale gli UU debbano esistere oltre. Infatti ciò che fa ed è un uomo lo può essere e fare una donna. Ma non sono le DD a dover diventare UU, sono gli UU a dover diventare DD.
        4-In altri termini ogni rivendicazione maschile è infondata e diventa ridicola in quanto fondata sul nulla.
        .
        Negata la Natura, possiamo gettare la spugna.
        Io non getto la spugna, non perché pensi che la battaglia maschile possa esser vinta, ma perché difendo la mia identità, ciò che sento e che sono (senza chiedere a nessuno se quel che sono e sento sia legittimo, buono, ammissibile, borghese o proletario). In secondo luogo, anche se la psiche maschile fosse destinata a scomparire, sono in campo da decenni per dare ad altri UU alcuni strumenti (quelli che ho scoperto) con i quali possano capire di quale morte stanno morendo.

        • Sandro Desantis
          27 febbraio 2020 at 18:55

          Rino
          >>>>>>
          1- se non si riconoscono differenze naturali che si esprimono in pulsioni, bisogni, interessi, orientamenti psicologici, vocazioni, stati emotivi, sofferenze, passioni diverse etc. la conseguenza è questa: gli UU non possono difendere nulla di se stessi.
          2-La ragione è semplice: se non esistono differenze naturali non esistono né UU né DD. Perciò gli UU possono e quindi DEVONO diventare DD.
          3-Non vi è alcuna ragione per la quale gli UU debbano esistere oltre. Infatti ciò che fa ed è un uomo lo può essere e fare una donna. Ma non sono le DD a dover diventare UU, sono gli UU a dover diventare DD.
          4-In altri termini ogni rivendicazione maschile è infondata e diventa ridicola in quanto fondata sul nulla.
          .
          Negata la Natura, possiamo gettare la spugna.
          >>>>>>

          Esattamente.
          Tra l’altro e come ben sai, la tesi secondo la quale maschi e femmine sarebbero “uguali” (?) è di vecchia data.
          Basta citare alcune affermazioni fatte in passato da esponenti di primissimo piano delle scienze sociali, convinti sostenitori della “tabula rasa”.

          Gli istinti non creano costumi; i costumi creano istinti: i presunti istinti degli esseri umani, infatti, sono sempre appresi, mai originari.
          ELLSWORTH FARIS (1927)

          I fenomeni culturali non sono sotto nessun aspetto ereditari, ma tipicamente e senza eccezione acquisiti.
          GEORGE MURDOCK (1932)

          L’uomo non ha natura; quello che ha è storia.
          JOSE’ ORTEGA Y GASSET (1935)

          Con l’eccezione delle reazioni istintoidi degli infanti a repentine sottrazioni del sostegno e forti rumori improvvisi, l’essere umano è del tutto privo di istinti. L’uomo è uomo perché non ha istinti; perché tutto ciò che è ed è divenuto l’ha appreso, acquisito, dalla sua cultura, dalla parte dell’ambiente prodotta dall’uomo, da altri esseri umani.
          ASHLEY MONTAGU (1973)

          Si è costretti a concludere che la natura umana è incredibilmente malleabile, tale da adattarsi infallantemente, con aspetti contrastanti, a condizioni culturali in contrasto.
          MARGARET MEAD (1935)

          Gran parte di quella che è comunemente detta “natura umana” è meramente cultura passata per un setaccio di nervi, ghiandole, organi sensoriali, muscoli, ecc.
          LESLIE WHITE (1949)

          Le nostre idee, i nostri valori, i nostri atti, perfino le nostre emozioni sono, come lo stesso nostro sistema nervoso, prodotti culturali fabbricati usando tendenze, capacità e disposizioni con cui siamo nati, ma ciò non di meno fabbricati.
          CLIFFORD GEERTZ (1973)

          Anche l’antropologo Loren Eiseley scrisse:
          La mente umana, con la sua indeterminatezza, con il suo potere di scelta e di comunicazione culturale, è prossima a sfuggire al cieco controllo di quel mondo deterministico con il quale i darwinisti avevano inconsapevolmente incatenato l’uomo. Le caratteristiche innate imposte a quest’ultimo dagli estremisti della biologia si sono sbriciolate. Wallace vedeva giusto quando diceva che con l’avvento dell’uomo l’evoluzione di parti era divenuta in notevole misura qualcosa di superato, che ora era la mente l’arbitro del destino umano.

          Il Wallace menzionato da Eiseley è Alfred Russel Wallace (1823-1913), che scoprì la selezione naturale contemporaneamente a Darwin e si allontanò poi da quest’ultimo sostenendo che la mente umana non poteva essere spiegata con l’evoluzione e doveva essere stata progettata da un’intelligenza superiore. Assolutamente convinto che la mente umana potesse sottrarsi al “cieco controllo di un mondo deterministico”, Wallace divenne uno spiritista e passò gli ultimi anni della sua vita alla ricerca di un modo per comunicare con le anime dei defunti.

      • Rino DV
        23 febbraio 2020 at 19:04

        1- Scrivi: “…l’attuale attività filosofica e scientifica della borghesia …omissis…si ispira a una concezione materialistica influenzata dalle scienze naturali.”
        .
        Questa affermazione apodittica mi assegna (con Sandro) direttamente al campo della ideologia borghese, di cui evidentemente sono un ignaro propagandista.
        Ricordo però che la concezione materialistica e naturalistica del mondo e dell’evoluzione storica è quella che fu prima illuminista, poi democratica e poi marxista.
        .
        2- “Ideologia”: quella visione delle cose deforme e deformante che appartiene agli altri. Sotto il dominio di una ideologia ci sono sempre gli altri. Noi mai.

        • Panda
          24 febbraio 2020 at 12:19

          Caro Rino, tu dici che starei mettendo in caricatura l’intervento di Sandro, aggiungendo che ci fu sì un tempo in cui si cercò il gene responsabile del comportamento x o y, ma oggi non più, ma tanto il punto non sarebbe questo. A me pare invece proprio che lo sia se qualcuno parla di “un gene che predisponesse un maschio a essere tradito”. Ovvero a me pare che le caricature le abbia fatte qualcun altro e che riconoscerle come tali sia una risposta. Chi legge giudicherà.

          Non capisco nemmeno bene cosa vuol dire questa accusa: “Si continua ad assimilare l’utilizzo “ideologico” di una tesi con la sua falsità.” E nemmeno questa: “Criterio che però non si utilizza verso il femminismo.” Non capisco dove avrei dato prova di timidezza a contestare il femminismo, il cui dogma è il seguente: “Che il femminismo sia una ideologia (una ideo-utopia nei miei termini) è fuori discussione. La tesi centrale (il dogma n. 1) di questa ideologia è che non esistono differenze naturali. Dal semplice fatto che è uno strumento ideologico se ne deve ricavare che è falso.
          Questo però contrasta con la tesi di tutto il movimento maschile internazionale, secondo cui esistono differenze naturali reprimibili ma non eliminabili.”
          Chi ha ragione?”

          “Non se ne può uscire.”

          Io spererei che da questo modo di ragionare da empirismo naturalista, direi prekantiano, si potesse uscire. Intanto, prima di essere iscritto a un campo o all’altro, vorrei rispondere di quello che ho detto io, ossia che la natura dell’uomo è la cultura, quindi l’esistenza di differenze culturali è perfettamente “naturale”, e che è paranoico, esso stesso filosoficamente naturalista e animato da aspirazioni totalitarie indicare questa diversità come problema in quanto tale. Se non ti pare che questo costituisca un’applicazione, direi piuttosto critica, del mio punto di vista al femminismo direi che semplicemente non lo vuoi prendere in considerazione, preferendo incasellarlo in una categoria di comodo, per ragioni tue che rispetto ma rendono difficile il dialogo. Aggiungerei che quando appoggi la critica a un rifiuto della “repressione” non mi pare tu stia brandendo chissà che arma più micidiale: tutta la nostra socializzazione passa attraverso l’introiezione di “repressioni”, e quindi?

          Dici che vuoi difendere la tua identità senza renderne conto. Se intendi rifiutare l’onere della prova di dover giustificare ogni differenza, quasi che il benchmark dell’umanità fosse la femminilità, hai perfettamente ragione; alla lettera vorrebbe dire che l’unico argomento a cui intendi ricorrere è quello ad baculum, ma sono certo non sia così.

          Nel secondo commento riportando come mia una citazione mi fai troppo onore: le parole sono di Karl Korsch e sono tratte da Marxismo e filosofia, un libro che puoi leggere se vuoi trovarla meno apodittica. Quando alla concezione materialistica, quasi mi commuove veder riproposte le tesi di Materialismo ed empiriocentrismo ma, nonostante la canonizzazione staliniana, non lo definirei proprio un capolavoro: Anton Pannekoek, che tra l’altro era uno scienziato quindi capiva un po’ più di Lenin di cosa si stava parlando, ne scrisse una critica direi definitiva (Lenin filosofo).

          Quanto all’ideologia, io sono perfettamente consapevole della mia condizionatezza storico-culturale e degli infiniti rischi a cui sono esposto in una società come quella odierna; non mi pare che chi è convinto di poter conoscere la Natura umana in quanto tale, con la N maiuscola, magari grazie agli imparzialissimi uffici degli studiosi di scienze naturali (ti prego, almeno il libro di Lewontin leggilo, è breve) dia prova di questa gran maggior cautela…

          Un saluto comunque cordiale.

          • Rino DV
            25 febbraio 2020 at 17:57

            Un po’ ci capiamo un po’ no. Un po’ concordiamo un po’ dissentiamo. Va bene.
            1- Non intendo imputarti debolezze verso il F.o.
            2- E’ un fatto che, negate le differenze naturali non si può difendere più nulla negli UU né l’intero genere con la sua storia. Il dogma centrale del F.o che le nega ha questo scopo. (Sì, esiste anche il “F.o della Differenza” funzionale a quello Genderista, anche se apparentemente contraddittorio, ma qui non approfondisco).
            Se non ci sono differenze naturali, possiamo gettare le armi e farci dire dal F.o chi siamo veramente, cosa vogliano etc. e quindi cosa dobbiamo essere, volere, sentire, desiderare etc.. Possiamo e quindi DOBBIAMO accettare la rieducazione. O vi è una base incoercibile (=naturale) di pulsioni diverse oppure ogni manipoalzione del maschio è possibile, come plastilina da modellare, oggi ovviamente ad uso e consumo della Liberata, secondo i dettami della classe agiata che ha generato il F.o Non vedo come possa essere altrimenti.
            3- Geni. Uno o molti, se un comportamento, o un orientamento comportamentale è naturale avrà una origine genetica. Che poi si possa esprimere in vari modi, questo è vero. Si può esercitare la paternità anche senza avere figli propri.
            4-Il fatto che determinate affermazioni vengano impiegate in campo ideo-politico dai miei avversari o nemici non le rende false. E’ così. I miei avversari non raccontano solo balle. Neppure il F.o. Raccontando verità parziali ed in questo sta la strumentalità. Si può mentire, ossia manipolare, anche con le verità quando siano parziali.
            5-Sull’utilizzo del termine “ideologia” dissento dall’opinione comune, che la intende come quel “sistema errato e manipolatorio che appartiene agli altri”. L’ideologia sarebbe sempre quella degli altri. Chi parla non si include mai in una ideologia, è ovvio. Così anch’io dovrei pensare che l’ideologia è quella degli altri, come fanno i credenti in una fede cui, casualmente, è accaduto di credere in quella vera, contrariamente agli altri. E’ dura da digerire, ma poiché io non voglio assegnarmi alla categoria del fortunati, evito di usare quel termine, anche se talvolta diventa inevitabile per non allungare il discorso e diventare stucchevoli. Non pretendo che si concordi, (Ovviamente so bene che Marx per ideologia intendeva… ma non è questo il senso odierno del termine. A determinare il significato dei termini non siamo noi, è la collettività che ci circonda).
            Es. “virile” non dovrebbe essere spregiativo, non lo fu. Lo è diventato. Ci piaccia o meno.

  9. Sandro Desantis
    23 febbraio 2020 at 18:16

    Sì, Panda, sono serio; perciò dov’è il problema?

    ———————–

    P.S.

    https://it.wikipedia.org/wiki/Steven_Pinker

    Come funziona la mente, Mondadori, 2002
    >
    Tabula rasa. Perché non è vero che gli uomini nascono tutti uguali, Mondadori, 2006

  10. Sandro Desantis
    23 febbraio 2020 at 18:38

    Negli ultimi anni si sono andate accumulando prove che il testosterone influenzi non soltanto gli ornamenti e la corporatura, ma anche i cervelli.
    Il testosterone è un composto chimico antico, presente in forma pressoché identica in tutti i vertebrati.

    La sua concentrazione determina l’aggressività in modo così preciso che, negli uccelli con scambio di ruoli sessuali come i falaropi o nei clan a dominanza femminile delle iene, è la femmina ad avere livelli ematici di testosterone più alti.
    Il testosterone mascolinizza l’organismo (in sua assenza il corpo resta di tipo femminile, quali che siano i geni dell’individuo) e mascolinizza anche il cervello.

    Tra gli uccelli, in genere canta solo il maschio.
    Un diamante mandarino che non ha nel sangue un livello sufficiente di testosterone non canta.
    In presenza dell’ormone, la parte del cervello preposta alla produzione del canto cresce e l’uccello comincia a cantare.
    Anche una femmina di diamante mandarino può cantare, purché sia stata esposta al testosterone in una fase precoce della vita e poi da adulta.

    In altre parole, il testosterone prepara il cervello del nidiaceo a reagire di nuovo, più avanti nella vita, al testosterone e quindi a sviluppare la tendenza al canto.
    Se si può parlare di mente per un diamante mandarino, l’ormone è una sostanza che ne altera la mente.
    Lo stesso vale per gli esseri umani.

    In questo caso le testimonianze provengono da una serie di esperimenti, in parte naturali e in parte no.
    La natura ha dotato alcuni soggetti maschili e femminili di dosi alterate di ormoni e negli anni Cinquanta i medici hanno fatto lo stesso iniettando certi tipi di ormoni in alcune pazienti gravide.

    Le donne affette dalla sindrome di Turner nascono senza ovaie e quindi hanno meno testosterone nel sangue di quelle che le hanno (le ovaie producono un po’ di testosterone, sebbene non quanto i testicoli).
    Queste donne sono esageratamente femminili nei loro comportamenti, di solito hanno uno spiccato interesse verso i bambini, i vestiti, i lavori domestici e le storie d’amore.

    Gli uomini che da adulti hanno nel sangue meno testosterone rispetto alla norma, gli eunuchi per esempio, si riconoscono per l’aspetto e l’atteggiamento femminile.
    Gli uomini che durante lo stato embrionale sono stati esposti a un livello di testosterone inferiore alla norma, per esempio i figli di diabetiche che durante la gravidanza hanno dovuto assumere ormoni femminili, sono timidi, poco energici ed effeminati.

    Gli uomini con troppo testosterone sono bellicosi.
    Le figlie di donne che negli anni Cinquanta sono state trattate con iniezioni di progesterone (per prevenire un aborto spontaneo) dicono di essere state “maschiacci” da bambine; il progesterone non ha effetti diversi dal testosterone.

    Anche le femmine affette da iperplasia surrenale congenita o sindrome adrenogenitale, sono dei maschiacci: le loro ghiandole surrenali, poste vicino ai reni, anziché produrre cortisolo, come dovrebbero, producono un ormone ad azione simile a quella del testosterone.

    In sostanza il cervello degli uomini e quello delle donne sono diversi sin dall’istante del concepimento.
    Pare scontato dire che tutte le cellule in un cervello maschile sono maschili.
    Questo significa, in realtà, che esistono differenze a livello di ogni cellula fra il cervello maschile e quello femminile: la cellula maschile ha un cromosoma Y che quella femminile non ha.

    Questo divario, piccolo ma significativo, comincia a manifestarsi precocemente nel cervello, man mano che i geni preparano la scena per una successiva accentuazione degli ormoni; entro otto settimane dal concepimento i minuscoli testicoli del feto cominciano a produrre abbastanza testosterone da impregnare il cervello e alterarne radicalmente la struttura.
    Nel corso della vita il cervello maschile si formerà e ri-formerà secondo uno schema disegnato sia dai geni sia dagli ormoni sessuali.

    E questa biologia del cervello produce i tipici comportamenti maschili.
    Mentre nel cervello di una femmina i circuiti sono predisposti verso comportamenti tipicamente femminili da ormoni come l’estrogeno, il progesterone e l’ossitocina, in quello maschile sono testosterone, vasopressina e un ormone detto MIS (sostanza di inibizione mulleriana) a condizionare alcuni degli atteggiamenti più precoci e durevoli.

    Gli effetti comportamentali degli ormoni maschili e femminili sul cervello sono importanti: si è scoperto che gli uomini usano circuiti cerebrali diversi per elaborare informazioni spaziali e risolvere problemi emotivi.
    Tali circuiti, assieme al sistema nervoso, sono collegati in modo diverso ai loro muscoli, soprattutto del volto.
    Il cervello maschile e quello femminile odono, vedono, “sentono” e valutano in modo peculiare i sentimenti altrui; i circuiti cerebrali sono praticamente identici in entrambi, ma uomini e donne possono arrivare agli stessi obiettivi e svolgere gli stessi compiti usando circuiti diversi.

    Si sa anche che nell’ipotalamo maschile lo spazio preposto all’impulso sessuale è due volte e mezzo maggiore rispetto a quello femminile.
    Gli uomini sono forniti pure di centri cerebrali più ampi dedicati all’attività muscolare e all’aggressività, nonché di processori più grandi al centro della zona più primordiale del cervello, quella che registra la paura e scatena l’aggressività protettiva: l’amigdala.

    —————–

    Per approfondire:

    RICH HARRIS, J.,
    Non è colpa dei genitori,
    Mondadori, 1999.

    BLAFFER HRDY S.,
    Mother Nature. A History
    of Mother, Infants and
    Natural Selection,
    Pantheon Books, New York, 1999.

    GEARY D. C., Male,
    Female: the Evolution of Human
    Sex Differences, American
    Psycological Association, 1998.

    FAUSTO-STERLING A.,
    Sexing the body. Gender
    Politics and the Construction of
    Sexuality, Basic Books, 2000.

    HINES M., Brain Gender,
    Oxford University Press, 2003.

    BUSS D. M., The Evolution of
    Desire: The strategies of human mating,
    Non Basic Stock Line, 2003.

    BLUM D., Sex in the Brain.
    The Biological Differences between
    Men and Women, Viking Press, 1997.

    DOMURAT DREGER A.,
    Hermaphrodites and the Medical Invention
    of Sex, Harvard University Press, 1998.

    LEHRKE R., Sex Linkage of Intelligence.
    The X-Factor, Praeger, Westport, Connecticut, 1997.

    • Panda
      24 febbraio 2020 at 11:05

      Appunto: uno dei libri più sbandierati degli ultimi anni.

      Comunque, se giochiamo alla bibliografia: oltre a Everett (che costituisce tra l’altro una risposta a Pinker), almeno J. Prinz, Beyond Human Nature e P. Lieberman, The Unpredictable Species. Ma nota bene che abbiamo dovuto far entrare in scena gli scienziati, naturalmente sempre imparzialissimi e saggi dispensatori di consigli su come dovrebbe funzionare la società e i rapporti fra le persone.

    • Panda
      24 febbraio 2020 at 11:07

      Il commento sopra si riferisce al libro di Pinker.

      La Fine ha riesaminato tutti gli studi relativi all’influenza del testosterone: puoi leggere il suo libro per un’articolata risposta.

  11. Panda
    26 febbraio 2020 at 23:08

    @Rino DV: Cerco di risponderti il più sinteticamente possibile, ma un po’ di spazio ci vorrà (si tratta, concederai, di questioni di una certa complessità. Riprendo la tua numerazione).

    2. Ma per quale incomprensibile ragione vuoi concedere ai postmoderni che la loro aberrante idea di cultura come vestito che si può mettere e togliere è sostanzialmente corretta e accettabili le pratiche di ingegneria sociale che vorrebbero annettervi? Le nazioni sono un fatto naturale? Direi che possiamo essere tutti d’accordo che la risposta è no. Non giudicheremmo sociologicamente assurda e politicamente criminale l’affermazione che allora si possono fare e disfare a piacere e che sarebbe bene che la nazione x cessasse di esistere, e venisse sostituita da quest’altro insieme di riferimenti culturali, magari un qualche cosmopolitismo modello, perché avrebbe fatto questi o questi altri danni? E’ stata pure coniata l’espressione “genocidio culturale” per opporsi a simili fanatismi… Fuori dalla cultura neanche esistiamo come soggetti morali: perfino il “fatto della ragione” kantiano è ancorato a un’esperienza concreta di vita morale. Se tu dici che contro questo “universalismo di nessun luogo”, come l’ha chiamato Zhok (nel contesto di questa interessante discussione sul prospettivismo storico-culturale, a cui ti rimando: http://antropologiafilosofica.altervista.org/cosmopolitismo-universalismo-e-lunione-europea-una-risposta-a-roberta-de-monticelli/ ), e di nessun sesso, l’unico argine opponibile è la biologia, gli hai già concesso una vittoria devastante su un numero imprecisabile di fronti. Non capisco proprio, in effetti, quale sarebbe il pregio difensivo dell’argomentazione biologica. Chi si propone di rimodellare “come plastilina” proprietà morali rilevanti di un soggetto, e l’appartenenza di genere certamente lo è (non perché ce lo dicono i biologi, largo agli esperti!, ma perché lo sappiamo benissimo da soli, grazie alla nostra esperienza e autoriflessione: largo a tutti!), a cui sono connessi alcuni degli aspetti più intimi e personali di noi stessi, ho i miei dubbi sia granché sensibile alla possibile obiezione circa l’irrazionalità pratica dei suoi propositi (a questo si riduce l’argomento biologico se rivolto a loro: “potreste non riuscire”). Agli uomini desiderosi di farsi rieducare, come i gay in terapia riparativa? Mi pare un argomento alienante, per le ragioni che ho accennato sopra, oltre che del tutto privo di quel che più ci vorrebbe, cioè un certo spessore assiologico: è totalmente ripiegato in difesa, non offre alcun tipo di modello positivo. E sul piano della discussione pubblica finisce inevitabilmente nel tecnocratico: a quanto pare chi siamo e cosa vogliamo, invece che dal femminismo, ce lo dovremmo far dire dagli scienziati. (E non puoi evitare di tirarli in ballo se vuoi argomentare credibilmente in materia di biologia: questa stessa discussione nel suo piccolo lo dimostra). A me non pare una prospettiva molto più rassicurante. In effetti non sarà per caso, dubbio malevolo, che a prevalere sarebbe il campo che può finanziare la ricerca e controllare l’accesso alle riviste più prestigiose? Ossia sempre quella stessa classe agiata che arma il femminismo? Per fare un’ipotesi, eh…

    3. Vuoi usare il termine “naturale” per poter usare “innaturale”, ma il fatto è che, senza il concetto di causa finale, che le scienze naturali non usano più, innaturale può solo voler dire quello che non succede mai, come aveva già notato Spinoza. Quindi riuscire a sopravvivere sei mesi senza nutrirsi direi che potremmo definirlo innaturale, ma temo che questo (inane) tentativo di liberarsi della filosofia tramite la scienza avesse altri scopi. Facciamo un esempio concreto: quanto all’omosessualità maschile, “there are modest correlations between male homosexuality and a few gene sites including Xq28” (sto citando dal libro di Prinz che ho segnalato). Quindi puoi avere uomini eterosessuali che hanno i “geni gay” e gemelli omozigoti con diverso orientamento sessuale. Evidentemente i geni non rendono impossibile l’omosessualità, infatti si verifica, ma non è che, biologia alla mano, si possa dire molto di più (forse anche fattori biologici non genetici, come l’esposizione ormonale nell’utero, hanno un qualche ruolo), certo nulla su come dovremmo regolarci in relazione al fenomeno. I gay, almeno prima delle recenti follie gender, affermano di non aver scelto il loro orientamento sessuale, e in un qualsiasi senso plausibile di soggetto morale penso abbiano ragione. Ma è una valutazione filosofica, non scientifica (anche perché nelle scienze naturali, tra causalità e casualità, è assai dubbio che per un concetto umano di scelta ci sia qualche posto: vedi questo bel paper di Israel: https://www.academia.edu/2053718/Il_determinismo_meccanico_e_il_suo_ruolo_nelle_scienze ). Ma come immaginare, mi chiedo io, che la pretesa scientista di voler sottoporre il mondo morale alle leggi della causalità possa esserci minimamente di aiuto? A quale formazione sociale risulta più consona questa vocazione a rigettare un’esplicita esigenza di sensatezza e sostituirla con meccanicismo e casualità? Sono argomenti di cui avete parlato anche voi qui, eh…

    4. Sì, ovviamente sono d’accordo, non capivo i termini in cui quell’osservazione costituiva una critica alle mie argomentazioni.

    5. Mi pare che intendi ideologia come sinonimo di visione del mondo: lo faceva anche Gramsci e allora, certo, tutti abbiamo un’ideologia. Pure i biologi e i neuroscienziati, ovviamente. Conservare la distinzione fra ideologia e filosofia, come insisteva Costanzo Preve, lo ritengo però indispensabile, altrimenti l’esercizio della ragione può essere sempre accusato di essere solo una maschera della volontà di potenza. Un punto di vista, di nuovo, oltre che autocontraddittorio (il famoso elenchos aristotelico), giovevole a chi è forte, per nulla a chi è debole.

    • Fabrizio Marchi
      27 febbraio 2020 at 11:28

      Io non credo che Rino voglia gettare al macero la filosofia per attribuire alla scienza ogni velleità e funzione veritativa (ammesso che sia mai esistita e possa mai esistere una scienza “fredda”, completamente svincolata dal contesto sociale, culturale e politico). Se così fosse sarebbe uno scientista, ma non lo è. Naturalmente ti risponderà lui stesso ma io non credo che sia così. Rino, come il sottoscritto, è uno che crede nel legame indissolubile fra natura e cultura, per le ragioni che abbiamo già ampiamente spiegato.
      Mi sfugge, francamente – ma è un mio limite, sia chiaro – dove vuoi andare a parare. Rino dice una cosa chiarissima che, naturalmente, condivido. Il femminismo nega la differenza biologica fra i sessi, e lo fa attraverso una operazione prettamente ideologica (non certo scientifica). Ed è anche facile capire il perché. Pensiamo alla divisione sessuale del lavoro che ha caratterizzato la storia dell’umanità, insieme alla divisione sociale del lavoro. Quella divisione sessuale è stata dovuta a fatti oggettivi, cioè alla differenza biologica e fisica (e non credo ci sia bisogno di tirare in ballo la scienza per dimostrarlo) che ha fatto sì che le donne fossero adibite ai lavori meno pesanti (e quindi necessariamente anche e spesso soprattutto quelli di cura e domestici) e gli uomini a quelli più pesanti.
      Qui forse vado fuori tema rispetto a quanto stiamo discutendo ma c’è già una considerazione importante da fare (che magari può aiutarci). Il fatto che gli uomini fossero e siano fisicamente più robusti non impedisce certo alle donne di fare gli stessi loro mestieri; impiegheranno molta più fatica e molto più tempo (e un bel numero di morte sul lavoro…) ma sono senz’altro in grado di farli. Perché, forse una donna non può lavorare in una miniera, in una cava, in una fonderia, su un traliccio dell’alta tensione o andare a caccia di balene? E chi l’ha detto? Tutt’al più deve solo allenarsi (molto) di più, aumentare la sua muscolatura, e a quel punto può anche tirare un arpione o scendere nelle fogne (cosa che non costa, peraltro, nessuna fatica particolare che una donna non possa sostenere…). Nessuno glielo impedisce… Sono gli uomini che lo hanno fatto al loro posto senza chiedergli nulla, ovviamente.
      Le cose sono andate “naturalmente” in questo modo fin dalla notte dei tempi, come si suol dire, e gli uomini non hanno mai avuto nulla da obiettare, considerando questa divisione del lavoro come naturale. E in parte, ma solo in parte (per le ragioni che abbiamo visto) lo era. Il femminismo ha dovuto necessariamente reinventare e reinterpretare (e manipolare) la realtà e la storia perché doveva e deve affermare il fatto che le donne fossero “relegate” ai lavori di cura e domestici non in ragione della differenza fisica-biologica e nello stesso tempo del tacito assenso da parte maschile a questa divisione del lavoro (sarebbe meglio dire a questo enorme sacrificio che li ha visti senza alcun dubbio, in ambito lavorativo, più penalizzati…e scusate se è poco…), ma in ragione di una millenaria, sistematica, consapevole e scientifica discriminazione ai danni delle donne da parte del genere maschile e di tutte le forme di dominio sociale (e di genere) che si sono succedete nella storia perché comunque dominate dal patriarcato (e qui siamo di fronte ad una altra clamorosa contraddizione: il dominio patriarcale manda a crepare sul lavoro e in guerra i maschi, cioè gli oppressori e non le oppresse, ma va bè, tiremm innanz…).
      Come vediamo siamo di fronte ad una manipolazione che riguarda sia la sfera biologica e quindi scientifica (siamo fisicamente diversi e questo è un fatto indubitabile) sia quella culturale e ideologica (il sacrificio maschile trasformato in discriminazione). Ancora una volta vediamo come natura e cultura siano indissolubilmente legati.
      Lo stesso identico discorso può e deve farsi per quanto riguarda la sessualità. E anche qui non riesco francamente a capire dove sarebbe la contraddizione. Non è forse vero (nel senso di oggettivo) che uomini e donne sono fisicamente e biologicamente diversi? Ebbene, questa diversità non può non manifestarsi e determinarsi anche in atteggiamenti e comportamenti sessuali diversi (sempre, sia chiaro, mantenendo ben saldo il concetto che natura e cultura non sono separabili e che la natura umana è diversa e più complessa di quella animale…). E anche questo a me pare un fatto talmente evidente (non dico oggettivo, volutamente, perché non voglio essere assertivo e chiudere il cerchio) che non dovrebbe neanche essere oggetto di dibattito. Lo è perché il femminismo e ora la sua variante genderista lo hanno messo al centro dell’attenzione (mettendolo in discussione), altrimenti non se ne parlerebbe neanche. Ora, il femminismo deve negare questa diversità perché altrimenti dovrebbe ammettere – come ho già detto più volte – che le donne sono in effetti in grado di esercitare un potere enorme sugli uomini (e anche questo a me pare un fatto evidente però, che vi devo dire…). E quindi cosa è costretto a dire? Che la sessualità femminile è stata scientemente repressa. Cosa in larga parte vera ma, come è stato più volte ribadito anche e soprattutto da Rino, chi erano e chi sono i veri destinatari di questa repressione? Ovviamente i maschi che sono quelli che vivono in una costante condizione di sollecitazione/frustrazione del desiderio sessuale. La stragrande maggioranza dei maschi (con rarissime eccezioni), infatti, non è assolutamente in grado di autodeterminare la propria vita sessuale ed è totalmente dipendente dalla volontà delle femmine.
      Ora – mi chiedo – gli uomini avrebbero messo in piedi tutta questa gigantesca macchina di potere e di dominio per poi rimanere dipendenti e subordinati in ciò che più di ogni altra cosa gli sta a cuore, e cioè nella sfera sessuale? Ma su…
      Mi pare un bel paradosso, assai difficile da spiegare, per lo meno secondo i parametri del femminismo…
      In conclusione di questa filippica, probabilmente se non sicuramente, sarò tacciato di empirismo. Però, devo essere onesto, mentre ho una certa resistenza, diciamo così, nella ricerca della Verità Ultima, che sia questa determinata dalla Scienza o dalla Filosofia, credo intimamente in due cose, e cioè nella logica e nel buon senso (che scrivo volutamente con la minuscola…). Forse sono molto poco hegeliano e molto poco marxista in questo, e però io credo che la logica e il buon senso (insieme) costituiscano proprio quel “giusto mezzo aristotelico” che è in grado di farci avvicinare, esso sì, se non al Vero a qualcosa che gli sta abbastanza vicino.
      P.S. anche per me, ovviamente, vale quanto già detto da Rino. Le mie sono soltanto riflessioni e non certo (ci mancherebbe altro…) Verità Escatologiche o tanto meno Scientifiche. Riflessioni animate, però, dal buon senso e dalla logica di cui sopra…

      • Panda
        27 febbraio 2020 at 14:39

        La discussione si è un po’ allungata, ma era inevitabile date le argomentazioni. Comunque mi pare (spero…) che il mio punto di vista non manchi di una certa coerenza e non sia troppo difficile riprenderne il filo. Vediamo un po’.

        Distinzione biologica fra i sessi: non la nega nessuno, nemmeno i postmoderni genderisti (che distinguono appunto il gender dal sex). Il fatto è però che di fatti oggettivi biologici ce ne sono un’infinità, però è la società, cioè la cultura, che ne valorizza alcuni, e in certi modi, e ne ignora altri, e non si può nemmeno evocare una sorta di inconscia efficienza transtorica nella divisione del lavoro, una classica proiezione retrodittiva humean-smithiana dell’efficienza quantitativista capitalista. Per esempio in Camerun le donne erano tradizionalmente adibite ai lavori agricoli più pesanti in ragione di una loro presunta particolare comunione col divino (la notizia in Douglas, How Institutions Think). Ovvero anche la divisione del lavoro non dipende direttamente da fatti biologici, e nemmeno da un inconscio funzionalista (di nuovo Hume), ma dal complessivo “immaginario” sociale, per dirla con Castoriadis. Non mi pare che su questo ci siano però dissensi particolarmente profondi.

        Il punto del contendere è un altro: “Non è forse vero (nel senso di oggettivo) che uomini e donne sono fisicamente e biologicamente diversi? Ebbene, questa diversità non può non manifestarsi e determinarsi anche in atteggiamenti e comportamenti sessuali diversi (sempre, sia chiaro, mantenendo ben saldo il concetto che natura e cultura non sono separabili e che la natura umana è diversa e più complessa di quella animale…).”
        Questo “non può non manifestarsi” è un’argomentazione che può convincere solo chi è già convinto ma non è minimamente in grado di resistere a obiezioni basate su considerazioni scientifiche, che dimostrano al contrario come sia tutt’altro che ovvio (altrimenti neanche ci sarebbe discussione), il che costringe a sua volta chi la vuol mantenere a misurarsi su quel campo (questa non è una mia illazione o ipotesi: è quello che è successo in questa discussione), sprofondando ancora di più in quella che secondo me era fin dall’origine una trappola. Vorrei ricordare da dove sono partito: la mia obiezione aveva ad oggetto una presunta incolmabile estraneità naturale fra i sessi, mediabile solo in termini utilitaristici. Quel che ho voluto sostenere è che le differenze di comportamento, anche sessuale, fra uomini e donne non si sa affatto quanto possano essere avvicinate e quindi non si sa nemmeno quanto profonda può esserne la comunione (tu avevi parlato di accettabilità dei rapporti: a me pareva e pare lecito sperare in qualcosa di più). Certo questa speranza comporta un prezzo, che è la rinuncia al “salvagente” dell’incoercibilità biologica come trincea contro il femminismo. Ho voluto argomentare, non so quanto bene, che lungi dall’essere un salvagente si tratta di un peso che rischia di trascinare ancora più a fondo. Per farlo ho dovuto esporre argomenti che rischiavano di avvicinarmi, e per certi aspetti non posso negare lo facciano, al postmoderno, e ho quindi dovuto anche spendere un po’ di righe per smarcarmene (per esempio è ovvio che, se mi auguro una ridefinizione dei rapporti fra uomini e donne, penserei di raggiungerlo con la persuasione, la polemica, al limite lo scontro politico, ma mai con la manipolazione “come plastilina” della sessualità altrui). E’ chiaro dove voglio “andare a parare”?

        • Rino DV
          1 marzo 2020 at 22:12

          Vedo solo ora (1.3.20) la tua risposta. Direi che ho capito meglio cosa intendi dire e che le differenze restano ma sono cmq stimolanti. Con Fab, a parte sfumature, concordo.
          Va bene così.

    • Sandro Desantis
      27 febbraio 2020 at 12:55

      Panda
      >>>>>
      Quindi puoi avere uomini eterosessuali che hanno i “geni gay” e gemelli omozigoti con diverso orientamento sessuale. Evidentemente i geni non rendono impossibile l’omosessualità, infatti si verifica, ma non è che, biologia alla mano, si possa dire molto di più (forse anche fattori biologici non genetici, come l’esposizione ormonale nell’utero, hanno un qualche ruolo), certo nulla su come dovremmo regolarci in relazione al fenomeno. I gay, almeno prima delle recenti follie gender, affermano di non aver scelto il loro orientamento sessuale,
      >>>>>

      L’omosessualità è diffusa tra molti animali, dagli insetti ai cani.
      In passato lo scomparso Giorgio Celli dimostrò che viene ampiamente usata per tenere sotto controllo la crescita demografica.
      E che esistono meccanismi automatici che la fanno aumentare e diminuire.
      Ossia, se mancano cibo e spazio e le popolazioni devono ridursi, l’aumento dell’omosessualità, cioè di attività sessuale non riproduttiva, è un buon modo per fare calare le nascite.
      Questo succede ad esempio tra i topi.
      Per molti mammiferi l’omosessualità è anche un sistema di comunicazione sociali.
      Le mucche, per esempio, si “montano” tra loro per sincronizzare il ciclo produttivo.
      Le femmine di scimmia Rhesus per stabilire la gerarchia del gruppo.
      E qualcosa di simile succede quando due babbuini maschi si incontrano: uno dei due saluta l’altro mostrandogli il fondoschiena.
      Si tratta di un’offerta sessuale, fatta dall’individuo di rango inferiore a quello di rango superiore per ingraziarselo.
      Un comportamento tipico anche dei cani.
      Atteggiamenti a vario livello omosessuali riguardano anche insetti e molluschi.
      Tra le cimici Afrocimex, ad esempio, un maschio inocula i suoi spermatozoi in un altro maschio, che poi li userà, insieme ai suoi, per fecondare una femmina.
      La scoperta più sorprendente è però quella fatta nel 1995 da un gruppo di biologi canadesi, che hanno filmato, a 2512 m di profondità nell’oceano Atlantico, 16 minuti di amplessi “a luci rosse” tra due polpi maschi di specie diverse.

      E per quanto riguarda l’uomo?

      Dal 17 maggio 1990 l’Oms cancellò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola per la prima volta “una variante naturale del comportamento umano”.
      Alla ricerca di una risposta su che cosa sia veramente l’omosessualità la scienza ha negli ultimi anni studiato le varie fasi in cui si sviluppano i caratteri sessuali.
      Partendo da quello che sta alla base di tutto, il cosiddetto sesso cromosomico.
      Nella parte più interna di ogni cellula umana in 23 coppie di cromosomi sono conservate le istruzioni per costruire l’intero organismo.
      Due di queste coppie sono diverse secondo il sesso: nei maschi hanno forma di XY e nella femmina di XX.
      Il cromosoma Y contiene il gene della mascolinità.
      Il cromosoma X contiene il gene della femminilità, che si chiama Dss ed è potentissimo.
      Infatti è in grado da solo di far diventare femmina un moscerino con sesso cromosomico maschile.
      Le possibilità di variazioni dalla “normalità” iniziano già qui.
      Un maschio ogni 20 mila nasce con i due cromosomi sessuali femminili XX; e ogni 100 mila femmine ne nasce una con i cromosomi sessuali maschili,XY.
      Ogni 30 mila nascite, poi, un individuo XX ha genitali interni sia maschili, sia femminili: un ermafrodita sterile.
      E un maschio ogni 700 ha due X e un Y.
      Alcune di queste varianti possono portare all’omosessualità? No. Almeno gli studi finora effettuati non l’hanno scoperto.
      Ma è molto probabile che possano avere un’influenza sulla sessualità, anche se ancora non si sa quale.
      Molti studi d’altronde dimostrano che i geni possono essere responsabili dell’omosessualità.
      Ralph Greenspan, un genetista della New York University, ha creato (negli anni ’90) in laboratorio un moscerino bisessuale inserendo geni femminili in alcune zone del cervello dei maschi che governano l’odorato (molto importante nella sessualità animale).
      Certo, nell’uomo l’odorato svolge un ruolo meno importante.
      Ma se questo carattere sessuale ha una causa genetica è probabile che anche altri la abbiano.
      E infatti Dean Hamer, del laboratorio del National cancer institute, di Betheseda, negli Stati Uniti e uno psicologo dell’Illinois, Mike Bailey, studiando i gemelli omozigoti omosessuali e ricostruendo la presenza di altri omosessuali nella famiglia d’origine, scoprirono che c’è sicuramente un’origine genetica dell’omosessualità maschile.
      Ci sono cioè dei geni, che si trasmettono per via materna (perché sono nel cromosoma sessuale X delle femmine, probabilmente in una regione chiamata Hq28), che fanno salire le probabilità di avere figli omosessuali dal 2-4% (media normale) al 13,5%.
      Il che significa che se nella famiglia materna l’omosessualità è più diffusa della media è probabile che sia presente il gene che la provoca.

      Anche l’omosessualità femminile, secondo i ricercatori della Northwestern University, ha una componente genetica: il 48% delle gemelle omozigote figlie di donne lesbiche sono lesbiche a loro volta.
      Ma i cromosomi non sono tutto.
      Se i geni contenuti in essi danno gli ordini, a eseguirli, o meglio, a portare alle proteine gli ordini per eseguirli, sono gli ormoni.
      Sono testosterone e estradiolo, verso la settima settimana di gravidanza, a trasformare un feto ancora con identità sessuale non riconoscibile in un individuo con organi sessuali.
      Non solo danno il via alla costruzione dei genitali esterni,ma anche di quelli interni: ovaie, utero e tube nelle femmine; testicoli, vescicole seminali e prostata nell’uomo.
      Sebbene svolgano un ruolo così importante nel determinare il sesso non ci sono però ancora prove che un diverso dosaggio di ormoni durante la gravidanza possa essere alla base di qualche forma di omosessualità.
      C’è un caso però in cui un incidente embriologico provoca un sovrafunzionamento delle ghiandole surrenali: l’iperplasia surrenalica congenita.
      Le femmine con questa caratteristica nascono con genitali femminili.
      Ma l’eccessiva secrezione di ormone maschile delle ghiandole surrenali le mascolinizza: giocano agli indiani e non sanno cosa farsene di gonne e bambole.
      Da adulte possono diventare anche atlete di alto livello.
      Il corteggiamento maschile le angoscia, faticano a vivere armoniosamente desideri di femmina, anche se sono attirate dagli uomini.
      Per aiutarle ci vuole in questi casi una terapia farmacologica con un anti-ormone maschile.

      Durante il corso dell’adolescenza, gli ormoni sono responsabili della formazione di una serie di caratteri secondari tanto ampia che finiscono per avere una grande influenza sulla formazione dell’identità sessuale della persona.
      Dall’azione degli ormoni dipendono infatti: la distribuzione dei peli e del grasso nelle varie parti del corpo,lo sviluppo del seno, la forma dei muscoli, la lunghezza dei capelli, il timbro della voce, le linee del viso, l’odore del corpo e l’aggressività.
      Hanno anche influenza sul cervello e possono conferirgli capacità maschili (come le abilità spaziali) o femminili (le abilità linguistiche).
      C’è chi ipotizza, perciò, che possano quindi predisporre, in alcuni casi, al sorgere di identità sessuali di fatto in contraddizione con il sesso così come sarebbe determinato dalla forma degli organi genitali.
      Con ormoni si possono allora “curare” forme di omosessualità?
      E’ più frequente l’inverso.
      Ovvero che persone con identità femminile dentro un corpo maschile cerchino con gli ormoni di acquistare caratteri sessuali femminili.
      Come fanno molti transessuali.
      Il caso dei trans è molto importante per capire un altro aspetto della sessualità: il cosiddetto orientamento sessuale.
      Ci sono cioè individui perfettamente conformati sessualmente e sani di mente che sono convinti di far parte dell’altro sesso: hanno cioè una rappresentazione interna del proprio sesso diversa dal loro sesso biologico.
      Questo disagio aumenta, finché chiedono aiuto al medico; alcuni prendono ormoni femminilizzanti per far crescere il seno, altri si sottopongono a interventi chirurgici ai genitali.

      Negli ultimi anni molti scienziati sono andati alla ricerca di differenze biologiche che distinguono gli omosessuali e i transessuali dalle persone dello stesso sesso anagrafico.
      E della base biologica dell’orientamento sessuale.
      Sulla base di studi effettuati dapprima sui topi e poi ripresi anche sugli uomini, Simon Le Vay, un neurobiologo del Salk institute di San Diego, sostenne che in una zona del cervello, l’ipotalamo, c’è un nucleo di neuroni, chiamato Inah 3, che ha molta importanza nel determinare i comportamenti sessuali.
      E che questo nucleo è, negli omosessuali, più piccolo che negli eterosessuali, appena più grande di quello delle femmine.
      E Dick Swaab dell’Istituto olandese di ricerche del cervello, scoprì che un altro nucleo dell’ipotalamo, chiamato BSTc, potrebbe avere un ruolo nel transessualismo.
      Sono queste differenze nel cervello a determinare l’orientamento sessuale diverso degli omosessuali e dei transessuali?
      E se è così, che ruolo rimane alle cosiddette cause psicologiche?
      Prima che se ne identificassero le basi biologiche, si dava spesso la “colpa” dell’omosessualità alla famiglia.
      Per esempio, a una madre opprimente o castrante e a un padre assente e ostile.
      Ma se così fosse, dovrebbe potersi anche “curare” con la psicanalisi.
      E invece, lo stesso Sigmund Freud riconosceva che la terapia della psiche non “cura” l’omosessualità.
      Ora numerosi studi hanno dimostrato che la famiglia, se ha responsabilità, è solo uno dei tanti tasselli, non il principale.
      “Il carattere dei genitori non basta a causare l’omosessualità”, sostenne lustri fa Richard Friedman, psichiatra di New York, uno dei maggiori esperti in questo campo.
      E aggiunse:
      “Possiamo solo dire che la sessualità non nasce una volta per tutte da un meccanismo unico. I nostri studi sui gemelli mostrano che nel 70% dei casi l’omosessualità non è ereditaria. Ci sono anche altre cause, biologiche o psicosociali”.

      Per saperne di più:

      LeVAY SIMON, A Difference in Hypothalamic Structure between Heterosexual and Homosexual Men
      in “Science”, 253, 30 agosto 1991.
      HAMER DEAN H., HU STELLA, MAGNUSON VICTORIA L., HU NAN e PATTATUCCI ANGELA M.,
      A Linkage between DNA Markers on the X Chromosome and Male Sexual Orientation
      in “Science”, 261, pp.321-327, 16 luglio 1993.
      MACKE JENNIFER P., HU NAN, HU STELLA,BAILEY J. MICHAEL,KING VAN L. e BROWN TERRY P.,
      Sequence Variation in the Androgen Receptor Gene Is Not a Common Determinant of Male
      Sexual Orientation in “American Journal of Human Genetics”,53, n.4, ottobre 1993.
      LeVAY SIMON, The Sexual Brain, MIT Press, 1993.
      LEWONTIN R.C., ROSE STEVEN e KAMIN LEON J., Il gene e la sua mente,
      Mondadori, Milano, 1983.
      STOLLER ROBERT J., e HERDT GILBERT H., Theories of Origins of Male Homosexuality: A Cross-Cultural
      Look in “Archives of General Psychiatry”, 42, n.4, aprile 1985.
      FAUSTO-STERLING ANNE, Myths of Gender: Biological Theories about Women and Men, Basic Books, 1992.
      BYNE WILLIAM e PARSONS BRUCE, Human Sexual Orientation: The Biologic Theories Reappraised in “Archives of General Psychiatry”, 50, n.3, marzo 1993.

      • Panda
        27 febbraio 2020 at 15:38

        E’ vero, Sandro, che la bisessualità è diffusa fra gli animali ma l’omosessualità esclusiva è assai più rara. D’altra parte nel regno animale sono osservabili i più vari comportamenti, dalla pedofilia, al cannibalismo (quest’ultimo diffuso fra centinaia di specie): un terreno direi un po’ ambiguo per pensare di trarne argomentazioni di carattere politico.

        Non mi intrattengo oltre sull’argomento, se non ovviamente per dire che Prinz tiene conto di tutti i vari back and forth della ricerca. Pure le tue fonti d’altra parte confermano che non si tratta di un destino genetico: “nel 70% dei casi l’omosessualità non è ereditaria”. Sarebbe quindi forse più corretto parlare di attrazione omoerotica, più che di omosessualità, che ne costituisce già una specificazione storico-culturale. Quel che volevo dire è che per decidere come regolarsi rispetto alla questione è infinitamente più importante il dialogo con gli omosessuali che non sapere quel che fanno o non fanno gli animali o andare su google scholar a contare quante sono le citazioni di questo biologo o quello psicologo evoluzionista.

  12. Sandro Desantis
    27 febbraio 2020 at 17:59

    Questa è una discussione che aprii su uomini3000.

    https://questionemaschile.forumfree.it/?t=9472460

  13. gino
    3 marzo 2020 at 14:08

    ma sto sandro desantis da dove esce? casapound?

    • Rino DV
      6 marzo 2020 at 23:36

      Abbi pazienza, ma potresti motivare, in breve, l’origine di questa tua domanda?

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