I Katanga spiegati alla mia nipotina

Quando ero un ragazzino, mio padre mi raccontava le sofferenze e le angherie patite sotto il fascismo. Mi raccontava, anche, di quando entrò nelle Brigate Matteotti (io avrei preferito le Brigate Garibaldi!) per combattere i nazisti e i loro giannizzeri della repubblichina di Salò. Un certo ‘reducismo’ è fisiologico e normale. Ma il reducismo è come l’alcol: piccole dosi vanno bene, altrimenti diventa insopportabile. Naturalmente, per chi ascolta (o legge) il reduce.

 La pagina bianca

 Dato che anch’io sono un reduce del Sessantotto, ho raccontato varie volte – ma con moderazione – quei tempi ai miei figli. Lo stesso farò, appena sarà in grado di capire e se sarò ancora in questa valle di lacrime, con la mia nipotina Sabrina, che in questi giorni compie un anno di vita.

Ho deciso di raccontarle la storia dei Katanga, che hanno sempre avuto una cattiva stampa, sia a destra sia a sinistra.

So già che qualcuno dirà che io voglia fare propaganda approfittando della mente di Sabrina, che per un certo periodo di tempo sarà come una pagina bianca. Propaganda? No, sarà solo ed esclusivamente contro-informazione, come si diceva una volta. D’altra parte, la mia nipotina verrà nel corso degli anni letteralmente bombardata dalle tesi che vengono da Washington e divulgate da tutti i media occidentali -uniti come una falange macedone- che le spacciano come l’assoluta verità detta da giornalisti ‘liberi ed indipendenti’.

 La genesi in Congo? Niente affatto

 E allora, cara ed amata mia nipotina: durante il Sessantotto, il più famoso Servizio d’ordine del Movimento studentesco fu sicuramente quello dell’università Statale di Milano. Il nome dei componenti, katanga o katanghesi, è ormai passato alla storia.
Perché un nome simile? Perché scegliere un nome che ricordava i mercenari bianchi europei che avevano organizzato nel 1960 la fallita secessione, guidata da Mose Ciombé (1919-1969), del Katanga, regione diamantifera dell’ex Congo Belga appena diventato indipendente?

Da un certo punto di vista, quei mercenari – varie centinaia – erano anche responsabili dell’assassinio di Patrice Lumumba (1925-1961), fondatore del Movimento Nazionale Congolese di Liberazione e Primo ministro della neonata Repubblica Democratica del Congo, appunto l’ex Congo Belga. Se la ‘contestazione’ studentesca era antimperialista e sosteneva il Vietnam, come mai questa esaltazione dei mercenari in Africa, che operavano al servizio di Belgio e Usa?

La storia del nome dei katanga della Statale parte dalla Francia. Il 12 giugno ’68, Bertrand Girod de L’Ain, giornalista di Le Monde, entra nella Sorbona occupata e fa conoscere ai lettori uno dei piccoli gruppetti ‘rivoluzionari’ che in quei mesi sono spuntati come funghi dopo una notte di pioggia.
Girod de L’Ain intervista uno strano tipo di studente: ha 28 anni, si fa chiamare Jakie le katangais e afferma di essere stato due anni mercenario nel Katanga.

 I Katanga della Sorbona ‘arrivano’ a  Milano

 Jakie ha fondato il CIR (Comité d’Intervention Rapide), primo gruppo della Sorbona a dotarsi di caschi, bastoni, spranghe. Nella Sorbona occupata i katanghesi non solo cucinano il cibo, ma preparano anche i ‘cocktail Molotov’, come si può vedere in questo raro e brevissimo video (Les Katangais à la Sorbonne).
Jakie il katanghese scompare ben presto dalla scena politica francese: il 14 giugno, due giorni dopo l’intervista a  Le Monde, il Comité d’occupation de la Sorbonne decreta l’espulsione dall’università di Jakie e del suo gruppo, tra cui vi sono altri due ex mercenari delle guerre di Corea e d’Algeria.
Jakie torna nell’oblio, il nome ‘katanga’ diventa, al contrario, molto conosciuto in Francia e, poco tempo dopo, popolarissimo in Italia.

Sono i maggiori giornali italiani che, infatti, usano questo termine, che è legato alle efferatezze dei mercenari, per definire il nascente Servizio d’ordine del Movimento Studentesco della Statale di Milano.
Quel nome è ingombrante. Che fare? Contestare il nome usato dai giornali? E come? In breve: gli studenti della Statale si appropriano ironicamente del nome e ci fanno sopra una canzoncina: ”Se non ci conoscete guardateci la spranga, noi siamo quelli del Settimo katanga”. L’ironia del Movimento, si sa, esplose nel ’77, ma il seme fu gettato indubbiamente anche nel ’68 e dintorni.
I katanghesi erano inquadrati in squadre, ognuna con un nome e un responsabile. I responsabili delle varie squadre rispondevano direttamente ad un alto dirigente del Movimento Sudentesco il quale, a sua volta, doveva rendere conto alla Direzione del MS.

 La Brigata Garibaldi

 L’inno ufficiale dei katanga era la canzone partigiana La Brigata Garibaldi, poi vi erano altre canzoni in cui si promettevano vari e diversi tipi di sofferenze ai fascisti o ai sanbabilini. I fascisti di Milano venivano chiamati così perché stazionavano, armati di pistole e coltelli, in piazza San Babila.
Quali erano i compiti dei katanga? Fare da ‘cuscinetto’ tra i partecipanti ai cortei e le forze di polizia durante eventuali scontri; isolare e allontanare dall’università o dalle manifestazioni provocatori, spie, infiltrati; costringere i fascisti a rinunciare a qualsiasi attività politica costituita, per lo più, da pestaggi ed aggressioni a giovani democratici o di sinistra.

I katanga durante le manifestazioni avevano un abbigliamento costituito da casco da motociclista, giacca di tipo militare con ampie tasche, scarpe anfibie. Foulard e guanti completavano questa ‘divisa’, che non prevedeva assolutamente l’eskimo, adottato invece dai componenti di altre formazioni politiche di estrema sinistra. Nei giorni in cui non si prevedevano scontri con le forze di polizia o con l’estrema destra i katanghesi amavano mettersi in testa, come segno di riconoscimento, la coppola o berretto – come vengono chiamati in Sicilia e in Lombardia quei cappelli.
Negli scontri ravvicinati, mentre poliziotti e carabinieri usavano manganelli, bandoliere a mo’ di frusta, calci dei fucili lacrimogeni, i katanga erano dotati della Hazet, una delle più famose marche di chiavi inglesi. Per vari anni, divenne fonte di narrazione una memorabile sconfitta patita da un plotone di poliziotti. Il plotone adottò una nuova tattica, ovvero una disposizione a testuggine. I poliziotti furono attirati con un trucco in una piccola piazza con solo due uscite. A causa dell’ingombro causato dagli scudi nella formazione a testuggine, il plotone fu ‘polverizzato’.

I katanghesi furono certamente tra gli alfieri della violenza che imperversava in quegli anni; molti furono gli errori compiuti da parte della cosiddetta ‘sinistra rivoluzionaria’ e da parte, anche, del Movimento Studentesco.
Sbaglia, però, chi dovesse credere che quegli anni furono solo violenza o guerra civile, anche se, in fondo, simulata. Cara nipotina: noi del MS, che poi si tramutò in MLS (Movimento Lavoratori per il Socialismo), avevamo un obiettivo politico: gettare le basi affinchè l’Italia passasse da una democrazia rattrappita ad una democrazia diversa e più avanzata, ovvero una ‘democrazia progressiva’. Quello era il nostro intendimento, che spero verrà portato a termine dalla generazione della piccola Sabrina.

31 commenti per “I Katanga spiegati alla mia nipotina

  1. armando
    17 ottobre 2014 at 0:29

    Caro Paolo, per un certo periodo ho fatto anch’io parte del MLS. Però, a parte il tatticismo, non mi sembra proprio che il suo obbiettivo fosse la “democrazia progressiva” o più “avanzata” alla stregua del togliattismo. Volevamo fare la rivoluzione e la Cina, dopo il tradimento dell’Urss, era il nostro faro. No, credo sia necessario ripensare totalmente quel periodo alla luce dei suoi esiti. E’ vero che di quegli esiti i gruppi come il MLS sono stati meno ideologicamente responsabili dei lottacontinuisti finiti in massa (non tutti per fortuna) ad esaltare la cosi detta rivoluzione femminista, ed ancora oggi convinti di aver ottenuto grandi vittorie culturali perchè hanno contribuito a superare la morale borghese, quando invece l’unico vincitore è stato il capitale, come è chiarissimo a chi non manca un minimo di onestà intellettuale e la capacità di ripensarsi. Ma insomma, anche dalle parti del MLS e dintorni, quanto a illusioni ed errori di giudizio sulla società di allora non si scherzava. Senza contare i metodi non esattamente, diciamo, democratici nel dibattito con gli altri gruppi della sinistra extraparlamentare. Perchè spranghe o chiavi inglesi o bastoni erano a volte usati dai servizi d’ordine dei gruppi anche l’un contro gli altri, per non parlare delle contumelie ideologiche. E poi, siamo ancora certi che parole d’ordine come “ogni fascista preso lo massacriamo” o cose del genere, fossero giustificabili anche allora, pur dando per scontato il clima ben diverso dall’attuale che vivevamo? C’è da meravigliarsi o da indignarsi più di tanto, allora, se da soggetti “attivi” si poteva passare a soggetti “passivi” di quegli stessi metodi?. E bada bene che non sono affatto un pacifista a oltranza o un non violento ideologico. So bene che ci sono circostanze in cui l’uso della forza è necessario,e non mi scandalizzo affatto. No, è la ferocia insita in quelle parole d’ordine a spaventarmi, perchè la forza va amministrata, canalizzata, controllata, agita quasi, direi, controvoglia. Gli va data una forma, senza la quale tracima incontrollata in istinto belluino, spietato e, appunto, feroce, nel quale l’essere umano con cui ti confronti cessa di essere tale per assurgere a simbolo del male. Ma a quel punto non c’è più nessuna distinzione reale col nemico, e l’ideologia solo una copertura o l’illusione di essere dalla parte del giusto e del vero.
    Certo, come dici tu, quel periodo non fu soltanto violenza o guerra civile. Fu anche un periodo di grandi speranze e entusiasmi, di energie generose e di ribellioni che spesso avevano ragioni da vendere. Grandemente contraddittorio, insomma. Ma proprio per non rinnegare quelle speranze occorre essere giudici severi e spietatamente analitici di noi stessi. Perchè quelle speranze tradite, quelle illusioni destinate a spegnersi? Dov’era , perchè è certo che esisteva, il baco? E l’esaltazione, dei più paurosi solo a parole, dei più coraggiosi anche nei fatti, della violenza come levatrice della storia anzichè come estrema ratio con la consapevolezza che comunque lascia il segno (e guai così non fosse), non faceva parte essa stessa di quel baco, del lato oscuro di quei tempi?
    Eravamo giovani o giovanissimi, ed è vero che le classi dirigenti più avvertite di allora, valga per tutti il Corriere, ci strumentalizzarono lusingandoci, fingendo di darci ragioni per sbarazzarsi di tutte quelle scorie non più funzionali al capitale in trasformazione. Ed è altrettanto vero che i nostri padri, anzichè fare i padri prendendoci sul serio e contrastandoci quando sembrasse loro il caso, si sbracarono per senso di colpa o di inadeguatezza. Ma alla fine nelle piazze c’eravamo noi. Ecco, io ai miei nipotini direi tutto questo nella forma adatta ad un bambino curioso. E speriamo che la tua lo sia. Sarebbe già tanto. Ai miei tempi ero assetato anch’io dei racconti della guerra partigiana, ma da ormai anziano brontolone, temo che la generazione 2.0 abbia poca voglia di ascoltare certe cose. Dal 44 al 68 erano passati 24 anni, dal 68 ad oggi 46 ma sembrano due secoli.
    armando

    • Paolo Torretta
      17 ottobre 2014 at 12:17

      Caro Armando, prima di tutto ti ringrazio per il tuo articolato commento. Sarò sintetico e me ne scuso. Il MS e il MLS non hanno mai creduto alla rivoluzione, a parte il periodo iniziale -diciamo tra il novembre ’67 e i primissimi mesi del ’68. La prova? L’UPA (l’uso parziale e alternativo dell’universitá).e la testata del nostro settimanale. Si chiamava, non a caso, Fronte Popolare. Togliatti? Il MLS aveva grande stima del Milgiore. Ovvio: fino al 1947. Da quell’anno e fino al 1956 avevamo grandi dissensi con la sua politica. Dopo il ’56 chiudemmo con Togliatti (questo dal punto di vista politico, perché nel 1947, tanto per dire, molti di noi non erano ancora nati. E io ero tra questi). Il nostro appoggio alla Cina? Ci fu, ma per altri motivi rispetto a quelli da te accennati. La prova? Il MLS fu d’accordo con la ‘svolta’ di Den Xiao Ping. Il Corriere ci dava ragione? A me non pare e sì che lo leggevo tutti i giorni, visto che al tempo studiavo a Milano. Alla Statale, of course. Un caro saluto.

  2. gl lombardi-cerri
    18 novembre 2015 at 9:12

    Sono anch’io un reduce : delle Fiamme Verdi.
    Ho combattuto (non con la chiave inglese, ma con il mitra) per cacciare tedeschi e fascisti.
    Molti miei compagni sono caduti. E non dal marciapiede.
    Quelli come me sono tornati si sono rimboccati le maniche e lavorando sodo hanno realizzato il “miracolo economico”
    Voi avete cercato solo una distrazione , una bravata gratuita e senza rischi.
    Non raccontatelo ai vostri bambini!

    • francesco
      20 marzo 2019 at 1:44

      ..paradisiaco

    • Oscar
      2 gennaio 2021 at 19:36

      … Direi che non c’è nulla da aggiungere alla sua analisi.
      Firmato: uno che per laurearsi ha dovuto studiare… Niente voto politico per me.

  3. Vincenzo Bucci Sabattini
    11 dicembre 2017 at 15:23

    Ho vissuto il periodo del MS Milanese dal novembre 1969 alla defenestrazione di Capanna, in cui riconoscevo il mio leader anche per la proposta di mantenere il movimento come era:” un movimento settoriale capace di orientare i figli della borghesia ad un’alleanza col movimento operaio e attivo nell’interesse delle masse popolari, non un mini partito come invece tentò di fare il MLS. Come molti militai nel mio collettivo e nelle sue articolazioni. Massimo rispetto per i partigiani veri, ma anche basta con la denigrazione del movimento del 68. Mio padre fu partigiano e perse un polmone per azioni di guerra. Io godo di salute normale, data l’età,ma continuo ad essere felice dell’opportunità che ho avuto e dell’esperienza che ho potuto fare. Il movimento non fu mai vicino al terrorismo brigatisti e di ogni genere proprio perché si proponeva un contatto con la popolazione ed i lavoratori. Per ciò fummo chiamati neorevisionisti da alcuni altri gruppi. Sono anche orgoglioso di aver capito e proposto l’UPA uso parziale alternativo della scienza borghese, che proponeva ai quadri un impegno nello studio così da essere stimato esempio anche per gli studenti non attivi in politica.

    • Tommaso Aiace Marcantonio
      9 maggio 2018 at 10:18

      Ottimo Vincenzo,sono molto d’accordo con quanto scrivi.
      La scelta del Movimento di defenestrare Capanna e lo scazzo con AO in piazza Fontana furono i fatti per cui Non aderii all’MLS

    • Paolo Torretta
      3 gennaio 2021 at 15:41

      Vincenzo, ti confondi. L’espulsione (e non defenestrazione) di Capanna dal Movimento Studentesco è del 1972. La nascita del Movimento Lavoratori per il Socialismo avviene nel 1976. Ora, siccome ti confondi sulle date (e ciò è comprensibile perché son passati tanti anni) ne consegue che ti confondi sulle motivazioni dell’espulsione di Capanna. Capanna fu espulso per ‘deviazionismo di destra’. Capanna voleva spostare a destra (in senso relativo, ovvio) il MS. Oltre a ciò, Capanna non capiva che una fase era chiusa e se ne apriva un’altra.

  4. TIZIANA Egi
    9 maggio 2018 at 13:08

    Interessante..leggere…il tutto…io in quegli anni frequentavo l’ Oriani..a Mi….comunque..eravamo..molto.attivi….cortei….ecc.ecc.i famosi Katanga..li ho conosciuti quando..con sfasciarono il bar dei miei genitori…a Città Studi…..ma quelli erano giorni sì…nessun rancore….del resto eravamo tutti di sinistra..e mio padre fu’ partigiano…

  5. romana bernini
    18 giugno 2018 at 7:56

    per carità…raccontare la storia di persone, se si può definirle così, che con l’Hazet 36 hanno spaccato la testa di un ragazzo di sedici anni, senza che avesse nessuna colpa.(si chiamava Sergio Ramelli) e in quel periodo a Milano ne hanno combinate di ogni colore non fa onore a chi si definisce nonno amorevole. la storia è vero va raccontata in tutta la sua intierezza e verità , ma non occorre plagiare le giovani menti e soprattutto la visione deve essere offerta di intierezza non di una sola parte, se vuole davvero essere obiettiva.

    • Fabrizio Marchi
      18 giugno 2018 at 9:55

      Signora, volendo potrei farle l’elenco di tutti i giovani di sinistra uccisi dai fascisti in vari modi in quegli stessi anni. Ci mettiamo a fare la contabilità? Avrebbe senso?
      A Roma, un giovane, Ivo Zini, che non era neanche un attivista politico, stava leggendo la pagina del cinema sull’Unità appeso sulla bacheca di una sez del PCI proprio vicino casa mia, quando due militanti dei NAR scesero da una moto e gli spararono senza neanche sapere chi fosse, per il semplice fatto che stava leggendo l’Unità. Ivo Zini non faceva politica attiva e non era iscritto a nessun partito.
      Sempre a Roma, un commando di fascisti penetrò in casa di un giovane militante di sinistra di 18 anni, Valerio Verbano, legò e imbavagliò i genitori e quando il figlio rientrò lo freddò davanti agli occhi degli stessi genitori.
      Sono solo due episodi fra i tanti, ovviamente, gliene potrei citare tanti altri…
      L’omicidio del giovane di destra, Ramelli, che era un ragazzino proprio come Verbano, fa parte di quella storia che, come tutte le storie di questo mondo, ha visto le sue follie e i suoi deliri. Il nostro compito è di analizzarla e interpretarla dal punto di vista storico e politico. Non esistono e non sono mai esistite al mondo storie che non abbiano avuto il loro risvolto di follia. Dico solo che se entriamo in questo ambito non ne usciamo più e dovremmo giungere alla conclusione che la vita stessa è una follia, priva di ogni senso. Ma entreremmo appunto in un altro ambito (il che è lecito, sia chiaro…), che non avrebbe più nulla a che vedere con quello storico e politico.

      • Marco
        5 settembre 2019 at 19:51

        Patetico tentativo di giustificare una violenza gratuita. Per fortuna che la storia prima o dopo fa riemergere la VERA verità e imbarazza chi in quegli anni ha causato disastri, sia da DX che da SX (un po’come i famosi”partigiani”).

        • Marco Vittorio
          12 dicembre 2019 at 23:07

          Mi chiedo come si possa parlare di disastri causati dai partigiani. Forse dimenticando che combattevano uomini senza scrupoli morali dediti solo alla sopraffazione e alla ruberia.
          O forse caro Marco avresti preferito che vincesse Il Duce ?

          • Oscar
            2 gennaio 2021 at 22:23

            Disprezzare I fascisti rossi tanto come quelli neri non vuol dire inneggiare al duce (ovviamente scritto volutamente in minuscolo).
            Denunciare i crimini dei partigiani prima e dopo la guerra è un atto di giustizia. Un atto inviso a chi per ideologia tenta di censurare la verità storica.

        • Fede
          5 giugno 2020 at 19:04

          “La Storia mi assolverà”. Fidel Castro.

        • Oscar
          2 gennaio 2021 at 22:24

          Parole sante Marco… Purtroppo la verità scomoda è rimasta nascosta per decenni

          • Fabrizio Marchi
            3 gennaio 2021 at 12:57

            Queste come la sua sono, a mio parere, posizioni fortemente ideologizzate camuffate per equilibrate. Giampaolo Pansa ha fatto la sua fortuna pubblicando sei libri, uno dietro l’altro, sostanzialmente per gettare discredito sui partigiani e sulla Resistenza. Che ci siano state delle rappresaglie da parte di alcuni partigiani in alcune limitate aree del paese è indubbio e anche fisiologico. Ma in realtà il vero obiettivo di questo revisionismo storico è sdoganare la destra – peraltro già ampiamente sdoganata da tempo – e buttare tutto nello stesso calderone, per arrivare a dire che in ultima analisi, come avrebbe detto mia nonna, “romana de Roma”, come si suol dire, “Ammazza, ammazza, sò tutti ‘na razza…”.
            E invece no, le cose non stanno affatto così ed equiparare i partigiani che combattevano nella parte dell’Italia occupata dai nazisti e che venivano impiccati o fucilati seduta stante quando venivano catturati (perché essendo considerati dei banditi fuorilegge non venivano riconosciuti come prigionieri di guerra al pari degli altri soldati) ai nazifascisti è un atto di becero e strumentale revisionismo finalizzato a scopi politici.
            Di tutt’altra natura fu (un vero atto politico) invece l’amnistia ai fascisti che Togliatti fece subito dopo la guerra proprio per cercare di ricucire una lacerazione troppo profonda che aveva spaccato il paese. Ma quello fu un vero atto politico, mentre il tentativo di equiparare i partigiani ai nazifascisti è soltanto una bieca manipolazione e strumentalizzazione politica.
            Giampaolo Pansa si è prestato a questa strumentalizzazione. Lo dimostra il fatto che dopo il primo, ne scrisse altri quattro o cinque, non ricordo bene. Ora, il primo poteva anche essere giustificato da una esigenza di leggere la storia in modo obiettivo. Passiamogliela. Continuare a battere e ribattere su quel tasto (pompato ovviamente da tutto lo schieramento di destra e centrodestra) conferma la sua malafede.
            La verità è che la Resistenza ha restituito dignità ad un paese che l’aveva totalmente persa, prima per colpa dei crimini fascisti – e non mi riferisco soltanto alle solite leggi razziali di cui tutti si riempiono la bocca ipocritamente – ma all’infame aggressione ai popoli greci, albanesi, jugoslavi, libici ed etiopi con relativi massacri – e poi in seguito all’indegno e ipocrita voltafaccia di Badoglio e al comportamento altrettanto becero del re.
            La criminalizzazione dei partigiani italiani fa parte di un processo di revisione storica per fini politici. Del resto, è noto che la storia la scrivono i vincitori e non i vinti. E se è vero, ad esempio, che per quarant’anni la vicenda delle Foibe è stata di fatto occultata, è altrettanto vero che, crollato il comunismo ed equiparato al nazifascismo, da una trentina di anni a questa parte non si fa che parlare delle Foibe, naturalmente decontestualizzandole, con lo scopo, ovviamente, di criminalizzare i partigiani jugoslavi né più e né meno di come si fa con quelli italiani. Ma si “dimentica” (si fa per dire…) che le Foibe sono state una rappresaglia dopo anni di una ferocissima occupazione della ex Jugoslavia da parte dei nazifascisti e dei loro ancor più feroci alleati in loco. Una occupazione che ha provocato almeno un milione di morti, per lo più civili, uccisi nei campi di concentramento nazifascisti oppure durante rappresaglie, pulizie etniche, rastrellamenti bombardamenti vari e distruzione di centinaia di paesi e villaggi. Il che non giustifica le Foibe (o il famoso “triangolo rosso” emiliano), perché nessuna vendetta o rappresaglia è giustificata, però se de-contestualizziamo le cose non facciamo una onesta operazione di ricostruzione storica ma solo deformazione della realtà e della becera propaganda per scopi politici.
            Oggi, ad esempio, va anche molto di moda parlare dei famosi “centomila stupri” (chi dice addirittura un milione, chi cinquecentomila, le cifre sono molto “arlecchine”, guarda caso…) che i soldati dell’Armata Rossa avrebbero commesso durante la loro avanzata in Germania. Stessa becera operazione che ha come finalità la criminalizzazione prima dell’URSS e ora della Russia, cioè il paese che ha subito l’occupazione più feroce e che ha pagato un prezzo incredibilmente alto e più di qualsiasi altro le conseguenze della guerra.

      • Michela Galliani
        7 aprile 2021 at 9:40

        Ramelli era fascista, mi può spiacere che sia morto ma era un fascista convinto e anche con una posizione da responsabile.

        • 18 settembre 2022 at 11:39

          Scusa Michela , ma vuoi dire che “uccidere un fascista non è reato” ? Uccidere il tuo avversario , o nemico, per non farlo parlare più che ideologia ti sembra? poi hai vissuto quegli anni a milano? quanti hanni hai ?

    • Oscar
      2 gennaio 2021 at 19:39

      … Le hazet ne hanno spaccate tante di teste…
      Concordo con la sua analisi

    • Paolo Torretta
      3 gennaio 2021 at 15:44

      Signora, Ramelli non fu ucciso dai Katanga o dall’MS (MLS). I casi sono due: o lei parla senza conoscere i fatti oppure racconta bugie.

      • Gianluca Maccolini
        13 agosto 2021 at 16:58

        Sergio Ramelli che onoro ogni anno,fu assassinato da esponenti di AO:Marco Costa, Giuseppe Ferrari Bravo, Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari. Due gli spaccarono il cranio e gli altri controllavano le strade attigue. Nessuna confanna per questi assassini. Uno,addirittura primario di medicina al Niguardia. Da anni il mio commento è: SERGIO VIVE !!!

        • Fabrizio Marchi
          13 agosto 2021 at 17:57

          E’ un commento inutile per un articolo, forse, inutile…Vuoi che ti faccia l’elenco dei militanti di sinistra massacrati dai fascisti e ogni anno commemorati da qualche sparuto gruppetto di compagni come tu commemori quelli della tua parte?…
          E allora? Che facciamo? Che ciascuno si pianga i suoi morti assassinati, da una parte e dall’altra, e andiamo avanti.
          Non c’è altro da dire e da fare. Quella era la fase storica, che piaccia o meno. Ora la situazione attuale è completamente diversa nel bene ma anche nel male. E di questa dobbiamo occuparci. Tutto il resto è roba da consegnare alla storia, anche in questo caso, che piaccia o no. ma mettersi a fare la gara a chi è stato più cattivo, per favore questo risparmiamocelo…

  6. Jaz
    8 settembre 2019 at 21:07

    Qui classe 1995 e amante “fuori tempo massimo” degli anni 70 e dei mitici Katanga ❤️

  7. edstark
    19 novembre 2020 at 2:05

    Vi garantisco che voi “bravi” ( come quelli di DOn Rodrigo) del MS , con il bernoccolo ad imporre la propria visione agli altri, avrete dalla generazione che vi segue, ciò che più meritate.
    E farò del mio meglio perchè sia così.

  8. Angelo Luigi Gualco
    5 marzo 2021 at 10:16

    genovese, a milano per lavoro e amore, nel 70 credo, potrebbe essere il 71, chissà frequentavo la statale e fui affascinato dalla forza e dall’organizzazione del servizio d’ordine. La politica del Movimento studentesco era equilibrata, ragionevole al confronto con l’estremismo sterile imperante. Tornai a Genova e costituimmo con altri , non molti, un gruppo legato al Ms di Milano, ho portato anch’io la coppola e non me ne vergogno, non si voleva ne doveva uccidere nessuno, avevamo regole precise al riguardo la nostra funzione era prevalentemente difensiva protettiva, serviva a mandare via la paura che era tanta nel prima. Un’esperienza che resta dentro che ti appartiene oggi proporrei strategie di autodifesa non violenta più efficaci , forse ma, erano gli anni delle bombe delle stragi dei golpe, ed eravamo giovani non dimentichiamolo, scoprimmo la forza del gruppo, la capacità di stare uniti, di resistere la fatica e la paura .Nessuna esaltazione delle doti individuali, delle arti marziali, delle armi da fuoco, tutto questo ci era estraneo e apertamente condannato così come i gap, le br e la lotta armata in generale. Ho l’orgoglio di dire che eravamo i migliori davvero, malgrado gli eccessi rari, peraltro.

  9. stefano
    28 maggio 2021 at 12:45

    Sono giunto su questa pagina quasi per caso, spinto dalla curiosità di approfondire. 50 anni dopo. A volte si vedono in televisione “intellettuali” il cui nome viene associato ai ricordi di infanzia o aneddoti di fratelli, sorelle, suoceri, amici più grandi che ricordano con precisione “faceva parte dei Katanga, era un picchiatore… uno cattivo”.
    Si attivano i neuroni della memoria, quando in casa coi suddetti fratelli e sorelle più grandi si sentivano gli ammonimenti dei genitori “non uscire con il Loden” e la preoccupazione di stare attenti, preoccupazione che diveniva anche mia pur nato nel 64. Preoccupazione accentuata dal fatto che il pericolo proveniva spesso da figli di conoscenti, quando non da vicini di casa. Spesso giovani dell’ottima borghesia milanese: la spavalderia degli impuniti.
    La preoccupazione era legittima devo dire, se l’omicidio di un ragazzino di 16 anni viene ancora legittimato in quanto “fascista con posizione da responsabile”. A 16 anni dubito che la posizione sia di responsabilità, più probabilmente era da “irresponsabile” . E trovo veramente tragico che ancora oggi non si abbia il pudore, non il coraggio, il pudore di riconoscere le mostruosità commesse. Da una parte e dall’altra. Ma almeno dalla propria dire “è vero: abbiamo sbagliato”
    A meno che, ma allora si esce da questo terreno di riflessione e si entra nel tifo da stadio, non si voglia sostenere che i Gulag fossero meglio dei campi di concentramento nazisti.

    La riflessione di questo post inizia così: “Quando ero un ragazzino, mio padre mi raccontava le sofferenze e le angherie patite sotto il fascismo”. Io quelle non le ho vissute, ne ho racconti orribili di squadristi che passavano con il manganello a “dare lezioni”. Mi domando però se fossero insegnamenti molto diversi da quelli fatti con spranghe, Chiavi Inglesi e violenza generalizzata negli anni 70, che più che una società migliore credo cercassero privilegi a “prezzo politico” dai 18 universitari alle serate musicali. Spesso trovandoli
    C’è molto di vero, mi pare, nel detto che le colpe dei padri ricadono sui figli e le conseguenze le vediamo in modo sempre più chiaro con nuove generazioni politiche tese solo a gridare slogan e a cercare privilegi.
    D’antro canto io con le mie personalissime orecchie ho ben sentito un vostro ex – ben sistemato, come stranamente tanti – raccomandare che “lui” per i suoi privilegi aveva lottato e ora non aveva intenzione di perderli: che i giovani lottassero per avere nuovi privilegi, non per toglierli a chi li ha ottenuti con tanta fatica!
    E’ il teorema di Orwell e di “Napoleone” applicato e dimostrato.

    Non è “reducismo”, per niente. Non cerchiamo di mettere sempre tutto in vacca.
    E’ desiderio di aria pulita, senza ipocrisia, vittimismo e autocelebrazioni, da ambo le parti.

    Pansa non ha fatto un’operazione di semplice lucro: ha anche aperto una prospettiva di analisi storica diversa a quella che era ormai semplice mitologia.
    Il problema non sono i partigiani ma la loro strategia: l’eliminazione delle opposizioni. Vogliamo dire che Porzus sia stato casuale?

    Ci saranno studi disinteressati per analizzare le motivazioni dell’attentato di via Rasella, quando tutti – tutti – sapevano che ci sarebbe stata una rappresaglia e alcuni – alcuni – sapevano che i più “probabili” destinatari della rappresaglia sarebbero stati i partigiani “moderati” di Giustizia e Libertà di cui molti dei responsabili ( qui si con ruoli di responsabilità certi) erano ospiti a Regina Caeli?
    Ci sono similitudini con le strategie rivoluzionarie bolsceviche?
    E perché Donato Carretta, direttore di Regina Caeli fu oggetto di un irrazionale linciaggio?
    E vero, mi domando, che Ghisellini, fascista -moderato raccontano -, a Ferrara fu eliminato dai partigiani? questo lo dice Giorgio Bocca. Fu per alimentare una strategia della violenza?
    Ci sono tanti dubbi.
    E’ legittimo averli ?

    E forse ad una nipotina bisognerebbe dire “non credere alle facili verità, informati studia e dubita, di tutti anche di me”.

    Mi angoscia pensare che ci siano persone come Jaz e temo che edstark ( ed, vero? non nedstark spero)
    abbia tragicamente ragione: c’è una generazione, questa, su cui ricadono le colpe dei propri padri

    • Fabrizio Marchi
      28 maggio 2021 at 19:15

      “La storia è un immenso banco di macelleria” diceva Hegel, caro Stefano.
      Non c’è dubbio che in quella “concitata” (per usare un eufemismo…) fase storica (in altre è andata MOLTO peggio…) siano stati commessi atti del tutto gratuiti come appunto quelli di ammazzare a sprangate un ragazzino di diciassette anni. E come Ramelli tanti altri, a sinistra ancora di più che a destra, ma non è questo il punto.
      Ci stupiamo ancora? Ci indigniamo? Tutto questo ci fa orrore?
      Solo pochi giorni fa l’aviazione israeliana ha ucciso, fra gli altri, 66 (sessantasei) bambini a Gaza. Ma da quelle parti è normale…
      Ramelli è stato una vittima di quegli anni, come tanti altri ragazzi, perché quelli che si facevano ammazzare avevano più o meno la sua età o di poco superiore. Anche quello era normale, all’epoca.
      Su Pansa. Ho un pessimo giudizio di Pansa, uno che si proclamava antifascista e che ha scritto ben sei libri per gettare immondizia sulla Resistenza (unico fenomeno politico che ha restituito un minimo di dignità ad un paese che l’aveva perduta, prima con il fascismo e le sue criminali guerre coloniali e imperialiste, poi con il voltafaccia di Badoglio e il miserabile comportamento della monarchia). Sei libri per dire che i partigiani erano criminali né più e né meno dei nazifascisti. Tutti pubblicati con Mondadori.
      E’ evidente che anche il tuo commento va in quella direzione. Libero di andare dove ti pare però di farlo con dignità e onestà intellettuale. Quella che non ha avuto Pansa e di cui, a mio parere, sei sprovvisto anche tu, nel momento in cui tiri fuori la tristissima vicenda del giovanissimo Ramelli per dire che i suoi assassini si sono poi tutti sistemati e integrati alla grande nel sistema. Cosa peraltro in larghissima parte vera, ma questo è un altro discorso che ha a che vedere con la forse inevitabile deriva di un movimento, quello del ’68 che, in larga parte, conteneva già (come aveva intuito Pasolini) i germi della sua successiva degenerazione, o forse, meglio, della sua adesione al sistema capitalista postmoderno al quale, in qualche modo ha fornito degli importanti strumenti ideologici di cui questo si è ampiamente servito. Ma questo è un altro discorso ancora.
      Il tuo è un altro. E’ il tentativo di equiparare, di buttare tutto in caciara, come si dice dalle mie parti, sostanzialmente per difendere la tua parte politica. Fra i sessantottini era pieno zeppo di pezzi di merda? Sì, è vero, e allora? Anche tra i fascisti era pieno di pezzi di merda, se è per questo. E allora? Cosa cambia dal punto di vista dell’analisi storica e politica di quella fase?
      I partigiani erano come i nazifascisti? Manco per niente, amico mio, per quanti fascisti siano stati ammazzati nel famoso “triangolo rosso” subito dopo la guerra. Non giochiamo a scandalizzarci e soprattutto non la buttiamo sul “ammazza, ammazza, sò tutti ‘na razza”, sempre come si dice dalle mie parti, perché questa è solo ipocrisia qualunquista che serve a scopi politici precisi. Gli stessi (non dichiarati apertamente, per ovvie ragioni) da un soggetto come Pansa.
      P.S. hai omesso di citare le Foibe ma abbiamo pubblicato diversi articoli nel merito. Puoi leggerli, se vuoi.

  10. Claudio Coltelli
    13 agosto 2021 at 17:19

    La verità è che eravate solo dei violenti che volevano rovesciare la democrazia in Italia per sostituirla con un regime comunista sotto la protezione dell’Unione Sovietica.

    • Fabrizio Marchi
      13 agosto 2021 at 18:01

      Invece i fascisti erano delle mammolette tutte dedite alla evoliana vita spirituale…
      Comunque sì, è vero, pensavamo di essere dei rivoluzionari e pensavamo di voler costruire una società comunista. E allora? Sia per noi che per altri la strada da percorrere prevedeva il versamento di una certa quota di sangue. Vogliamo fare a gara a distanza di quasi mezzo secolo a chi ne ha versato di più? Non abbiamo proprio niente da fare, a quanto pare, alla vigilia di ferragosto…Meno male che domani chiudiamo per una decina di giorni…

      • Steven
        15 agosto 2021 at 11:16

        La storia si ripete
        Mussolini era un socialista che voleva dare una sveglia ai socialisti sonnacchiosi.
        Applicò i metodi imparati tra i socialisti
        Fondo un partito con tanti compagni socialisti pensando di fare la rivoluzione.
        Uso la violenza come molti dopo loro.
        Pansa scrisse semplicemente i fatti, scrisse di partigiani che uccidevano altri partigiani
        Scrisse di fascisti diventati partigiani
        Scrisse che alcuni erano pessime persone purtroppo anche dei leader
        Peró un fatto perpetrato dal nemico, da sempre, dallo sconfitto diventa il modo di operare di tuttio il movimento, nel caso dei vincenti ha giustificazioni e comunque resta un caso isolato.
        Si preoccupa di Pansa? Pensi all’ANA che pochi anni fa gustificava lo stupro di gruppo e l’uccisione di una 13enne perché collaborazionista. Oggi se si ha una coscienza si chiede scusa e si dice “fu un errore” Dire ciò che dissero conferma che la barbaria fu voluta, studiata, condivisa ancora oggi.
        E se vuole ricordare la storia, ricordi pure che il partito fascista ammalò da solo la banduera, restituì poteri e fece arrestare il leader.
        Non ricordo molte dittature finite così.
        Sinceramente chi organizza agguati per picchiare e far male, sapendo che poi il morto ci può scappare, è un vile violento e basta non un rivoluzionario.
        Certo potrebbe essere stato trascinato dagli eventi ma dovrebbe fare ammenda e sapere che non è diverso dai fascisti che picchiava

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