“Contestando i padri abbiamo finito per non contestare più i padroni”

“L’attuale crisi della Politica è una crisi di autorità. Nel ’68 è stato messo in discussione il concetto di autorità, è stato messo in discussione il “padre”, e così facendo si è cominciato con il contestare i padri e si è smesso di contestare i padroni”.
Queste le testuali parole di Mario Tronti, ascoltate con le mie orecchie, proprio oggi nell’ambito di un suo più articolato intervento alla presentazione del Libro di Adriano Labbucci, dal titolo “La salvezza e il pericolo” che si è tenuto presso la Biblioteca Angelica a Roma.
Parole che pesano come macigni, soprattutto se pronunciate da uno dei “grandi vecchi” del Movimento Operaio Italiano, uno dei più autorevoli filosofi della politica marxisti attualmente viventi, il padre storico dell’ “operaismo”, l’autore di una delle più celebri opere della “saggistica di classe” italiana, l’indimenticabile anche se ormai datato “Operai e Capitale”, un vero e proprio monumento al conflitto di classe (e alla centralità operaia, come si diceva una volta…), quando la vecchia famosa grande fabbrica fordista rappresentava ancora (per poco) il luogo deputato dello scontro sociale, per definizione, prima della grande ristrutturazione capitalistica degli ultimi trenta/quarant’anni.
Parole magiche, vera e propria musica per le mie orecchie, diciamo pure uno squarcio di luce nelle tenebre, se mi è permesso citare il grande Kant quando parlava della Rivoluzione Francese.
E allora ho pensato: ”Forse non tutto è perduto, forse c’è ancora un filo di speranza di salvare qualcosa “a sinistra” se un uomo come Tronti, pur con tutte le sue contraddizioni che abbiamo proprio di recente evidenziato in questo articolo La sostenibile e schizofrenica scissione di Mario Tronti arriva a pronunciare quelle stesse parole.
Poche ma, come dicevo, pesantissime. Non può forse esserci sintesi migliore per simboleggiare la parabola ideologica prima ancora che politica della Sinistra occidentale, il percorso che l’ha portata a suicidarsi e a diventare, nell’arco di una quarantina d’anni, la “stampella politicamente corretta” del Capitale.
Non potevo lasciarmi sfuggire una così ghiotta occasione e nei pochissimi minuti che si aveva a disposizione per intervenire ho provato a fare una brevissima sintesi di questo mio articolo pubblicato di recente Il Capitalismo all’offensiva su tre fronti e a lanciare una sorta di appello/sfida allo stesso Mario Tronti, al quale ho chiesto di “darci udienza”, quando gli sarà possibile.
Riusciremo anche noi ad aprire uno squarcio nelle tenebre del “politicamente corretto”? Troverà, Tronti, (noi certe questioni le portiamo avanti da un pezzo…) il modo e soprattutto la volontà politica di accettare la sfida che gli abbiamo lanciato e di affrontare questi temi, non necessariamente in una sede cattolica, come avvenuto oggi?
Ce lo auguriamo. Noi siamo pronti. Da un bel pò. Pochi ma forse buoni, sicuramente audaci, questo ce lo possiamo riconoscere…

10 commenti per ““Contestando i padri abbiamo finito per non contestare più i padroni”

  1. armando
    9 giugno 2015 at 12:19

    Bene. Spero che Tronti accetti l’invito. E’ importante , credo, che abbia posto quel problema, ma ancora di più che l’abbia posto in quel modo, “Crisi d’autorità”, è un epitaffio per il ribellismo e per il libertarismo che da quegli anni hanno prima fatto capolino poi colonizzato praticamente tutta la sx, fino a farla diventare il più importante stampello culturale del capitale. Certo, sarebbe anche bene che Tronti prendesse atto di cosa è il PD.

  2. Aliquis
    9 giugno 2015 at 17:57

    Bè, se non si vuole il potere delle madri, non si dovrebbe volere nemmeno quello del padre……continuo a pensare che il 68 fu un esplosione di libertà e di giustizia….

    • armando
      10 giugno 2015 at 14:46

      Aliquis, non so quanti anni hai. Io, all’epoca, ne avevo venti ed ho vissuto in pieno quel periodo condividendo quelle istanze che, lo penso tutt’ora, erano reali, ed anche frutto di grande spinta ideale. Ma….oggi lo vediamo, ci fu il grande torto di gettare il bambino insieme all’acqua sporca. Non sempre il potere è male, non sempre l’autorità (che è comunque concetto diverso dal potere) , è sbagliata. In ogni caso non esiste aggregazione umana senza che ci sia anche un’autorità. Perchè sarebbe la totale anarchia, bel sogno utopistico ma tragedia quando quel sogno si vuol fare doventare realtà. Anche una delle icone della sinistra rivoluzionaria, il Che, non esitava a far valere la sua autorità, e il potere datogli da quella autorità, peraltro riconosciutagli dai suoi compagni, in modo alle volte durissimo. Occorre, dunque, distinguere, sempre.
      D’altra parte esiste un potere che è tanto più forte e pervasivo quanto più nascosto , ovvero quando non scaturisce dall’avere autorità ufficiale, ma è nei fatti. Ti chiedo: oggi hanno più potere le multinazionali o tanti governi e stati? Eppure le multinazionali, che determinano la politica mondiale, formalmente non possiedono alcuna autorità politica, al contrario dei governi? Esemplare l’articolo sullo stupidotto Jovanotti invitato al club Bildeberg dove si riuniscono i veri potenti,
      E tu credi che le madri, per avere ul fortissimo potere che hanno sui figli e sui mariti/compagni, abbiano bisogno di avere un’autorità formalmente riconosciuta?
      Diciamo allora che la ribellione contro l’autorità del padre di quegli anni , che nelle intenzioni era ribellione contro ogni potere, incarnando il padre il principio di autorità, si è risolta col potere occulto della forma merce e del capitale. Come sempre accade in circostanze simili, il ribellismo indiscriminato contro tutto e tutti, viene abilmente sfruttato da chi ha interesse ad abbattere l’autorità presente per subentrarvi in silenzio. Allora non potevamo, forse, vederlo, ma oggi è chiarissimo alla luce di questi esiti. Tronti su questo ha perfettamente ragione. E, per tornare all’oggi, non ti desta qualche sospetto la tanto sbandierata democrazia del web dei 5 stelle, anch’essi inclini a pensare che la politica (quella vera, alta, e non la mera amministrazione dell’esistente) non serva a nulla, sostituita dalle consultazioni sui social network che, lo sappiamo, sono del tutto manipolabili? La verità è la libertà non può mai essere incondizionata, e che la giustizia non può esistere senza un’autorità che la persegua e la faccia rispettare. Si tratta allora di ragionare su quale autorità, su come nasce e cosa persegue, non sul concetto in sè.

      • Alessandro
        10 giugno 2015 at 19:47

        “Si tratta allora di ragionare su quale autorità, su come nasce e cosa persegue, non sul concetto in sè.”
        Questa è la questione decisiva.

  3. Fabrizio Marchi
    10 giugno 2015 at 14:57

    Questo è un mio commento in risposta ad un paio di amici su face book che criticavano il mio articolo e soprattutto le parole di Tronti.
    Credo che possa andar bene anche qui.
    “il fatto che tu abbia avuto un rapporto buono con tuo padre (come io con il mio) non significa che il ’68 non abbia incarnato anche quell’aspetto.
    Ciò detto – per rispondere anche ad Anio che ha bollato le parole di Tronti come stupidate (il che mi pare esagerato e anche poco rispettoso, Tronti avrà mille contraddizioni ma è stato un pensatore e un filosofo della politica di razza) – credo che bisogna cogliere il significato più ampio di quelle stesse parole.
    La mia interpretazione (ed è comunque ciò che penso, al di là di ciò che pensa Tronti…) è che Tronti abbia voluto mettere l’accento su quegli aspetti del ’68 (che alla fine sono stati quelli che hanno prevalso…) che animavano quella che era sostanzialmente la contestazione dei vecchi costumi della società borghese (e non di una reale volontà di trasformazione di classe rivoluzionaria) . La quale (società borghese poi ultracapitalista), proprio grazie al ’68 si è liberata del vecchio apparato valoriale, appunto borghese, il vecchio “Dio, Patria e Famiglia”, diventato del tutto inservibile e addirittura di ostacolo al pieno dispiegarsi del capitalismo assoluto, per assumere il nuovo apparato valoriale e ideologico, cioè l’ideologia politicamente corretta: apparente libertà di costumi (solo apparente perché tutto è oggi mercificato, in primis e soprattutto il sesso), laicismo (cosa ben diversa dalla laicità), femminismo (cioè sessismo interclassista camuffato per liberazione della donna…), genderismo (cioè distruzione delle identità sessuali a cominciare da quella maschile, che è il vero obiettivo), “diritto umanismo” (occupiamo e bombardiamo mezzo mondo per portare diritti e democrazia), “eugenetismo” (cioè la possibilità in linea teorica illimitata di modificare e plasmare tutto, quindi volontà di potenza camuffata per libertà, vedi la questione ad es. degli uteri artificiali dove fra poco tutti potremo comprarci, nel senso letterale della parola, un figlio,e siccome paghiamo scegliamo pure di che colore, di quale razza, di quale sesso ecc. ).
    Il fatto che poi nel ’68 e negli anni a seguire ci siano stati tanti gruppi marx-leninisti, maoisti, traoschisti, operaisti, e chi più ne ha più ne metta, è a mio parere del tutto secondario rispetto al fenomeno che poi ha prevalso, cioè a quella contestazione di costumi che si è rivelata essere alla fin fine (così comunque è stata sussunta dal sistema dominante, ed è il risultato finale che conta nelle cose, non le intenzioni…) un processo di rinnovamento “valoriale” e ideologico delle classi dominanti e del sistema, che appunto si libera della vecchia ideologia-falsa coscienza (ormai obsoleta, e quindi inutile e addirittura di ostacolo) per dotarsi della nuova.
    Il ’68, alla fin fine, è stato questo. Ciò non significa che sia stato solo questo o che tutti coloro che ne sono stati protagonisti erano in malafede. Assolutamente no. Tanti erano veramente convinti di stare contestando il sistema borghese e capitalista. Per tanti altri è stata solo una moda data dalla fase storica, per tanti ancora è stato un trampolino di lancio. E’ un dato oggettivo che quella generazione è oggi in larga parte classe dirigente, e non c’è bisogno che faccia i nomi di tutti i personaggi mediatici e politici ai vari livelli che da molto tempo imperversano sui nostri schermi. Allora anche questo dovrebbe farci riflettere sulla natura profonda del ’68, dietro e oltre le interpretazioni ufficiali. Non a caso un uomo come Pasolini, uno dei pochi capaci di guardare lontano, si era espresso in modo molto critico nei confronti del ’68 e naturalmente per questo era stato accusato di essere un reazionario. Del resto già allora il “politicamente corretto” mostrava il suo vero volto ideologicamente intollerante: ch osa criticarlo viene immediatamente e inesorabilmente bollato a seconda dei casi come reazionario, stalinista, maschilista, nostalgico vetero tradizionalista, fascista e chi più ne ha più ne metta. Proprio loro che parlano di “diversità come ricchezza”, di tolleranza ecc. sono in realtà dei veri stalinisti, perché chiunque osi anche solo avanzare una critica al l’ideologia politicamente corretta, viene marchiato a fuoco, ostracizzato, emarginato, di fatto la sua vita pubblica è finita. Chiunque lavori negli ambiti della comunicazione, della cultura, della politica (ma anche della scuola, pensate ad esempio se qualcuno dicesse che visto che la scuola è per l’80% composta da donne, allora vuol dire allora che questa femminilizzazione massiccia non ha portato effetti positivi e che anche le donne son o responsabili del suo disfacimento, esattamente come gli uomini…), del mondo accademico e universitario, dell’economia, in pratica ovunque (a meno che non faccia l’operaio edile, anche perché in quel settore lavorano solo uomini…), sa benissimo che se solo osa criticare ad esempio il femminismo, è praticamente finito, si condanna da solo, ogni prospettiva di carriera gli è preclusa, contestualmente all’emarginazione a livello professionale scatta quella a livello umano.
    Il discorso sarebbe ora ovviamente lunghissimo e quindi mi fermo. Sta di fatto che questi sono stati gli effetti concreti e duraturi del ’68. Che poi il ’68 abbia in qualche modo dato una spinta anche al movimento operaio (ricordiamo il ’69) è indubbiamente anche vero, ma questo purtroppo, sul lungo periodo, non ha più nessun significato. Perché ciò che conta, come ripeto, sono gli effetti concreti sul lungo periodo. E quali sono stati questi effetti? Come si è evoluta la nostra società anche in seguito al ’68?
    E qui mi fermo per ovvie ragioni di tempo e spazio.
    Aggiungo solo che la contestazione al padre ci sta tutta, fa parte del processo di crescita e di evoluzione di un individuo, ma un conto è questo processo di crescita psicologica che prevede anche il distacco dal padre (dopo quello dalla madre che dovrebbe avvenire proprio grazie all’intervento paterno…), e un altro è la colpevolizzazione, la criminalizzazione e la distruzione sistematica del concetto di padre e di paterno che è stata scientemente operata dal femminismo (oggi un mattone dell’ideologia dominante capitalistica). Un processo che ha come obiettivo (non dichiarato, ovviamente…) quello di distruggere qualsiasi istanza e di qualsiasi natura che possa costituire un potenziale ostacolo al pieno dispiegarsi della “forma merce”, cioè la mercificazione totale di tutto e di tutti che per essere realizzata deve necessariamente prevedere lo spappolamento di ogni identità.
    La realtà ci sta dimostrando che la distruzione del “padre”, concettualmente parlando, ha spalancato le porte al dominio della “grande madre postmoderna”, cioè la “forma merce”.
    Di questi temi me ne occupo da tempo e ho scritto anche molto, naturalmente pesantemente osteggiato dai “sinistri politicamente corretti e progressisti”.
    Mi permetto di segnalare qualche articolo che potrebbe essere utile ad una riflessione più ampia…
    https://www.linterferenza.info/editoriali/il-capitalismo-alloffensiva-su-tre-fronti/
    https://www.linterferenza.info/editoriali/il-nuovo-orizzonte-del-capitalismo/
    http://www.uominibeta.org/editoriali/ha-ancora-senso-considerare-il-patriarcato-come-larchitrave-delle-societa-capitalistiche-occidentali/

  4. 10 giugno 2015 at 20:52

    C’ e’ una bella dufferenza tra,il contestare l’ Autorità di un Padre per fini propri o per contestare lo sfruttamento di un Padrone. Forse poi che questo non rappresenta un ‘ Autorità riconducibile al Padre Padrone ?
    Io penso che la differenza che fece il 68 fu quella di contestare sia il Padre che il Padrone.
    Che poi i padroni lo abbiano travisato mi pare chiaro.

    GATTO ROSSO

  5. Fabrizio Marchi
    13 giugno 2015 at 11:11

    Sono completamente d’accordo con questo commento di Armando e in particolare, fra gli altri, con questo passaggio:” Anche una delle icone della sinistra rivoluzionaria, il Che, non esitava a far valere la sua autorità, e il potere datogli da quella autorità, peraltro riconosciutagli dai suoi compagni, in modo alle volte durissimo”.
    E perché, Lenin, Trotszchj, Mao, Togliatti, non erano forse delle “autorità”? E il Soviet di Pietroburgo, e la Comune di Parigi? Non erano forse delle “autorità”? E i Consigli di fabbrica della Fiat Mirafiori e dell’Alfa Romeo dei bei tempi gloriosi del Movimento operaio non erano forse della autorità? E i “saggi” che hanno elaborato la Costituzione? E i comitati centrali dei partiti? E i grandi filosofi? Non erano forse della autorità? E i padri che hanno il compito di educare i propri figli non lo sono, forse? E un maestro di scuola? E un allenatore di sport, non lo è forse?
    Il concetto di autorità è stato da molto tempo ormai declinato come un concetto negativo, del tutto sovrapposto a quello di autoritarismo, così come, per fare un esempio, quello di paterno è stato del tutto sottoposto a quello di patriarcato e patriarcalismo, tutt’al più e al meglio di paternalismo. E’ successo anche con tanti altri concetti, sia chiaro, non solo con questi.
    Ecco, giustamente è stato detto da Armando e anche dal sottoscritto, l’aver declinato questi concetti solo nella loro accezione negativa (che pure è esistita ed esiste, sia chiaro…) ha portato al trionfo di una nuova forma di autorità, quella appunto della “forma merce”, della società capitalista liquida”, dove l’unica autorità è quella del Capitale e delle sue strutture economiche, politiche, culturali, mediatiche e di controllo di ogni sfera della vita degli individui, sia essa pubblica o privata.
    Ciò che voleva dire Tronti (era ora…) è che la distruzione del concetto di “autorità”, inteso appunto nel senso alto del termine (e la Politica, con la P maiuscola, è la massima rappresentazione di quel principio, e proprio gli esempi che abbiamo portato lo testimoniano…), ha portato proprio al trionfo del dominio capitalistico nella sua forma attuale “postmoderna”, diciamo così. Tant’è che quando ancora la Politica aveva un suo ruolo ed era riconosciuta in quanto tale, cioè anche in quanto “principio di autorità”, il capitale non aveva mano libera, perché con la Politica doveva fare i conti, nel bene e nel male. Il trionfo del Capitale è avvenuto di pari passo, in questa fase storica, alla crisi della Politica, né poteva essere altrimenti.
    Ora bisognerebbe aprire un altro lungo capitolo sull’eterogenesi dei fini, su come alcuni fenomeni e movimenti si trasformano o finiscono addirittura per essere, in parte o del tutto, funzionali proprio a quel sistema che volevano combattere. Purtroppo il ’68, o meglio, ciò che nel ’68 ha prevalso e che è stato filtrato nel tempo, ha finito per essere funzionale al capitale.
    Ora, si tratta di capire, che il mondo e la realtà si trasformano costantemente, e che bisogna dotarsi di strumenti adeguati per interpretarli. Purtroppo, la capacità di interpretare la realtà, in una grandissima maggioranza dei casi, procede sempre molto più a rilento rispetto al trasformarsi della realtà stessa.
    E proprio questo rappresenta il punto di maggior criticità di ciò che chiamiamo sinistra…

  6. armando
    6 luglio 2015 at 13:24

    Ho appena finito di leggere, troppo velocemente, l’ultimo libro di Mario Tronti, “Dello spirito libero”. lo consiglio davvero, e non perchè sia d’accordo su tutto. Ma è una riflessione grande sul novecento e sul suo significato, nonchè sull’oggi.
    Analisi lucida di una sconfitta storica, per ciò ricerca di altre strade, anche molto lontane ma insieme vicine rispetto alle strade del passato. Ammettendo errori ed aporie, forse inevitabili, non rinnega però nulla di ciò che ha vissuto, conservandone le motivazioni profonde. E questo gli fa grande onore, a differenza dei furbetti quaqquaracquà che sono saltati sul carro dei vincitori, magari illudendo se stessi di essere sempre “antagonisti” al capitale.

    • Fabrizio Marchi
      6 luglio 2015 at 15:33

      Dopo di che però si è fatto eleggere senatore nelle file del PD…
      E allora perché non di Forza Italia? Cosa cambia? Anzi, addirittura peggio, perché Berlusconi rappresentava una pseudo borghesia provinciale e cialtronesca tipicamente italiota (in buona parte traghettata alla lega Nord di Salvini), mentre il PD è il partito del grande capitale europeo.
      Con tutto il rispetto che si può nutrire per lui, la contraddizione è troppo grande.
      Dopo di che sono certo che il suo libro sia interessante e condivisibile.
      Però fra teoria e prassi non dico un massimo ma un minimo punto di contatto deve esserci…

  7. armando
    7 luglio 2015 at 13:40

    Sono d’accordo con te, Fabrizio, figurati. E’ una delle cose che mi sarebbe piaciuto chiedergli. D’altronde quella lettera appello sui temi etici e antropoligici (2011) redatta insieme con Barcellona, Vacca e Sorbi, era indirizzata al PD. E nel mio sincero apprezzamento sul merito, non mancai di far rilevare l’enorme contraddizione, in più articoli sul Covile. Sono passati 4 anni, e la contaddizione è ancora più evidente. Rilevatala, sottolineatala, però, rimane il valore di un filosofo, il che non significa affatto essere d’accordo con lui su tutto o elevarlo a guru intoccabile.

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