Il migliore dei mondi possibile

 

Pochi giorni fa mi è capitato di vedere una commedia francese dal titolo “la famiglia Belier” che narra di una ragazza sedicenne, figlia di genitori sordomuti che gestiscono una fattoria in un paese nei pressi di Parigi.

La ragazza, che a differenza dei genitori e del fratello ci sente e comunica perfettamente, frequenta la scuola del paese ma al contempo lavora anche nella fattoria dove è di grande aiuto ai genitori, specie nelle relazioni con gli altri, il pubblico, i clienti, i fornitori, e via discorrendo.

Un bel giorno però, durante l’ora di canto, il suo insegnante di musica, “scoglionato” ma simpatico, con ambizioni frustrate come tanti altri suoi colleghi e “relegato” (pensa lui…) a insegnare in una modesta scuola di campagna, scoprirà il vero talento della ragazza, cioè la sua vocazione per il canto. La fanciulla è infatti un soprano in erba ma non sa ancora di esserlo e quando durante una delle rituali e anche un po’ stanche lezioni di canto la sua voce sublime emergerà improvvisa e imprevista dal coro tra lo stupore dei suoi compagni e soprattutto del professore, lei fuggirà e si rinchiuderà nel bagno sconvolta, come spaventata da questa scoperta destinata a cambiare la sua vita.

Il maestro di musica, a quel punto, che attraverso di lei riscopre anch’egli i suoi talenti sopiti e frustrati ma anche il senso del suo lavoro e del suo ruolo di insegnante (che va ben oltre la mera didattica), la spronerà ad impegnarsi nel canto e a partecipare ad una audizione per entrare in un importante scuola di canto di Parigi. Naturalmente tutto ciò avrebbe richiesto un duro lavoro di  preparazione che egli naturalmente si offre di fare a titolo puramente volontario per preparare la ragazza alla prova, ma lei è riluttante perché divisa fra la sua nuova passione e gli obblighi nei confronti della famiglia, al principio contraria, e che invece alla fine la comprenderà e la sosterrà, con forza e con amore, nell’intraprendere il suo nuovo cammino.

Il film, anche se un po’ (troppo…) “buonista” e a lieto fine (la realtà, purtroppo, è spesso un’altra e molto più amara…) ha tante implicazioni che meriterebbero di essere affrontate, a cominciare dalla condizione complessiva dei portatori di handicap e di tutta l’infinita gamma di problematicità che questa condizione comporta non solo per loro ma anche per i loro familiari e amici. E poi, naturalmente, la condizione giovanile, il ruolo della scuola, la relazione fra adolescenti e fra genitori e figli, e tanti altri ancora.

In realtà, però, il tema centrale è un altro. La ragazza, che quando esce da scuola passa il suo tempo a mungere vacche e ad accatastare balle di fieno,  scopre del tutto involontariamente il suo talento. Il contesto tenderebbe inizialmente a frustrare la sua vocazione ma alla fine, grazie proprio a quello stesso contesto (il suo insegnante, le sue amiche e i suoi amici, la sua famiglia e la comunità locale che la sosterranno), riuscirà a superare alla grande la prova di ammissione a quella importante scuola di canto della capitale che le spalancherà da lì a breve una nuova prospettiva di vita.

Il film, come abbiamo detto, è una commedia a lieto, anzi, a lietissimo fine, e tale vuole essere nelle intenzioni del regista. E questo è il suo limite, dal mio punto di vista. Ma per chi vuole leggere, come il sottoscritto, dietro le righe, la tematica affrontata va ben oltre la dimensione affettiva (sia pure importante, sia chiaro…) e un poco romantica con cui viene trattata.

Astraendoci infatti dal contesto un po’ bucolico e molto “umanizzato” del paese di campagna dove viene ambientata la storia (ammesso che esistano ancora simili contesti nella società dell’ipercapitalismo), la riflessione che mi è sorta spontanea è la seguente: ci raccontano che la competizione capitalista, con tutte le sue implicazioni, cioè la concorrenza spietata, l’individualismo sfrenato e la corsa affannosa al successo, all’accumulazione di beni e denaro e all’affermazione sociale, favorirebbe, più di qualsiasi altro contesto, l’emergere dell proprio talento e delle proprie vocazioni. In poche parole il famoso “daimon” di socratica memoria, ciò per cui saremmo nati e saremmo al mondo.

Ma le cose stanno veramente in questo modo?

Il film, pur nel suo approccio “buonista”, sembrerebbe volerci dare un’altra interpretazione e un’altra possibile prospettiva, anche se molto probabilmente non era quella l’intenzione dell’autore.

Pur dopo molte difficoltà e e resistenze di vario genere, sono infatti proprio la solidarietà e l’amore del maestro, della famiglia e della comunità che aiutano la ragazza a far emergere il proprio talento e ad affermarsi – nel senso di realizzarsi,  cioè di sviluppare il proprio “Se” più profondo – e non la competizione sfrenata che il più delle volte ingenera solo stress, angoscia, ansia da prestazione e frustrazione, qualora l’obiettivo, come molto spesso succede e per le più disparate ragioni, non venga raggiunto. E sappiamo che ciò accade nella grande maggioranza dei casi. Del resto la logica che sta alle fondamenta di questo modo di intendere il mondo e la vita è quella “dell’uno su mille ce la fa”, come recita una vecchia canzone. Ammesso anche che fossero dieci o cento o anche più a “farcela”, la sostanza del discorso non muterebbe.

Ma la domanda da porci è anche un’altra: è proprio vero che è la competizione capitalista che ci aiuta a riconoscere, a far emergere e a ottimizzare i nostri talenti?

Anche qui i dubbi sono molti, per quanto mi riguarda. La necessità della competizione e dell’affermazione sociale, costi quel che costi, del far parte della schiera dei vincenti e non di quella dei perdenti o peggio dei falliti (nel film è emblematica la figura del professore di musica che si considera egli stesso un fallito perché non è riuscito ad entrare in questa o in quell’accademia di prestigio e si è “ridotto” ad insegnare in uno sperduto liceo di provincia a figli di contadini e bottegai…), condiziona infatti pesantemente la vita di tutti noi e il più delle volte ci fa imboccare delle strade che in realtà non sono le nostre, ci obbliga in qualche modo a fare delle scelte che ci allontanano proprio da quelle che sono le nostre vocazioni, le nostre più profonde e autentiche passioni. Ed è così che invece di diventare dei musicisti, degli archeologi o degli entomologi, oppure anche degli apicoltori o dei viticoltori, ci ritroviamo a fare, se e quando ci va bene, i consulenti in marketing e comunicazione o finanziari (cioè dei venditori…) oppure, se siamo veramente “tosti” e abbiamo un bel po’ di pelo sullo stomaco e una gran voglia di salire i gradini della scala sociale, i manager in qualche azienda, magari lavorando dieci o dodici ore al giorno, se è il caso anche aiutandoci con l’assunzione di sostanze varie, dormendo quattro ore per notte, e aguzzando ciò che resta del nostro ingegno e della nostra creatività per fare le scarpe a qualche collega che ha le nostre stesse aspirazioni.

Salvo poi cadere in depressione qualora non riuscissimo a raggiungere i “nostri” obiettivi. E naturalmente anche questo accade e anzi deve accadere molto spesso, perché tutto questo complesso ma in fondo anche semplice (e, mi permetto di aggiungere, rozzo, primitivo e impoverente) meccanismo si fonda sul fatto che c’è chi ce la fa e chi non ce la fa. Se tutti ce la facessimo  il tutto non avrebbe più senso di essere e ci troveremmo a vivere in un’altra dimensione esistenziale,ovviamente tutta ancora da scoprire e da inventare.

Tutti gli altri che per una ragione o per l’altra (di natura sociale, ambientale o personale) sono impossibilitati a prendere parte alla (folle) corsa, finiscono ad ingrossare le fila degli “invisibili”, degli “spettatori” del “successo” (vero o presunto) altrui, condannati ad un’ esistenza grigia e subalterna, trascorsa tra le quattro mura di un ufficio, di una fabbrica o di qualsiasi altro luogo di “detenzione” sociale. La funzione di questi ultimi, la grande maggioranza, oltre a quella di consumare, è di alimentare il meccanismo proprio in virtù della loro stessa esistenza di subordinati. “Vincenti” e “perdenti” diventano quindi come due specchi che riflettono vicendevolmente la propria immagine.

Ed è così che talenti, energie, vocazioni, passioni, potenzialità, emozioni, desideri, intelligenze, finiscono ingoiati e frantumati per sempre in quel grande tritacarne che è ciò che chiamiamo Mercato e competizione capitalistica, cioè la società attuale.

Ce lo spacciano come il migliore dei mondi possibile. Io, per la verità, trovo che sia, oltre che profondamente ingiusto, di una povertà esistenziale e spirituale spaventosa.

 

 

 

 

 

 

13 commenti per “Il migliore dei mondi possibile

  1. armando
    6 aprile 2015 at 18:24

    Condivido in pieno il contenuto dell’articolo di Fabrizio. Non ho visto la commedia, ma rispetto a quel che ci racconta Fabrizio, non mi sembra affatto casuale che i talenti della ragazza emergano ed alla fine siano favoriti e lei sostenuta, in un contesto di piccola comunità rurale e di famiglia diciamo così tradizionale. Che non dico siano il paradiso e prive di contraddizioni, alle volte anche laceranti, ma che tuttavia rimangono, a mio personalissimo parere, il contesto migliore, o meno peggiore, affinchè ciascun individuo possa scoprire sè stesso, la sua individualità e i suoi desideri più autentici, anche se in contrasto o diversi da quelli del collettivo, da cui infatti le è consentito, anzi è incoraggiata, ad allontanarsi.

    • Raffaella
      6 aprile 2015 at 19:33

      Il racconto di questo bel film(cercherò di andarlo a vedere al più’ presto) e l’intressantissimo commento mi ha portato a chiedermi…per chi( e parlo della stragrande maggioranza delle persone che nn sono state scoperte e appoggiate da nessun maestro, genitore o condizione ambientale) vive questa difficilissima realtà’ che Ti ostacola oltre a nn appoggiarti, quale deve essere la via d’uscita? Continuare a sognare…qualche altro sogno, sicuri che se nn si è’ riusciti in quello che si credeva di volere nn e’per mancate capacita’ (perché oggi nn sono queste a far si’ che ti possa realizzare) …Il continuare a sognare e’ già’ la realizzazione…

  2. Enrico Fiorini
    7 aprile 2015 at 13:05

    Direi che questo è uno degli articoli più veri e più centrati di critica al capitalismo che io abbia mai letto.
    Lo dico non per fare una sviolinata all’autore,ma perchè HA CENTRATO IL PUNTO E LO HA CENTRATO IN UN MODO CHE FINORA NON AVEVO MAI AVUTO MODO DI LEGGERE.
    Il punto è l’aveva scritto anche altrove,per esempio nel mio articolo su masterchef e l’expò è che dal momento che il capitalismo crea un ”mercato” crea una domanda ed una offerta di lavoro.
    Se tu non rientri in quell’offerta,semplicemente ti fotti.
    Cioè il problema del capitalismo è molteplice
    il capitalismo ci viene presentato come ”competizione” pura e semplice,ma se fosse così sarebbe tutto sommato un sistema ”equo”’,spietato ma giusto equo,un pò come la natura,(quindi ”naturale”,si può cambiare ciò che è naturale forse?)ma in realtà,non è propriamente così, i problemi sono 2
    1)punto primo nella competizione non partono tutti dallo stessa linea di partenza,c’è chi parte dieci metri più avanti,chi dieci metri più indietro,chi già a un metro dal traguardo,e chi (beato lui) nasce direttamente sul podio,per cui alla fine gli altri che corrano pure, si possono permettere al massimo un quarto posto,una medaglia di legno,che le altre sono già state assegnate in partenza,ma questo aspetto l’hanno analizzato tutti (Marx Proudhon ecc..) e lo conosciamo bene
    2)punto secondo questo non è MOLTO ANALIZZATO
    IL PROBLEMA E’ CHE SE PER FARE UN ESEMPIO,IN UNA COMPETIZIONE VERA E PROPRIA TIPO LE OLIMPIADI FOSSE IL MERCATO A DECIDERE SUCCEDEREBBE CHE OGNI NAZIONE NEL MONDO GLOBALIZZATO PER QUESTIONI DI ”EFFICIENZA” SI TROVERA’ A COMPETERE PER SOLO 1 O AL MASSIMO 2 O 3 SPECIALITA’.
    MI spiego meglio:
    La conseguenza dello scambio libero di merci fra nazioni teorizzato da Adamo Smith è sì,che aumenta l’efficienza a livello globale,perchè ogni nazione si specializza nella produzione di una singola merce
    quindi la Russia,fa petrolio,la Corea del Sud fa telefonini,il Brasile fa il grano,l’Argentina carne,l’Italia cibo e alta moda (sic),si scambiano fra di loro le merci a prezzi più bassi che se ogni singola nazione le producesse per sè…
    Però il risultato è che se uno nasce con la passione per l’ingegneria elettronica in Italia,o se uno nasce con la vocazione a fare moda in Corea del sud,che minchia fa?
    Le cose sono 2,o si fa 10000 km LASCIA LA SUA FAMIGLIA,I SUOI AMICI,LA SUA CULTURA,PER INSEGUIRE LA SUA PASSIONE SENZA NESSUNA GARANZIA DI SUCCESSO,OPPURE E’ COSTRETTO A COMPETERE IN CAMPI CHE NON SONO I SUOI ED E’ OVVIO CHE PERDERA’.
    E’ questo il dramma del capitalismo,ci TRASFORMA in ogni caso in degli SRADICATI e in degli ALIENATI,o perchè seguiamo vocazioni non nostre,o perchè se le seguiamo rischiamo di finire in un KAFKIANO quartiere mostruoso di Shanghai SOLI SRADICATI E ALIENI,PERCHE’ IN UNA CULTURA CHE NON E’ LA NOSTRA,ma per ragioni di efficienza la produzione è stata trasferita lì.
    Ora,nessun dubbio che sia più ”efficiente”,però è anche più disumano e assurdo.
    Il capitalismo è competizione,ok, immaginiamo però se le olimpiadi fossero organizzate con il criterio capitalista:
    La Jamaica compete SOLO per i 100 metri piani,perchè i jamaicani sono bravi centometristi
    La Russia solo nel pattinaggio artistico,perchè sono più bravi lì
    L’Etiopia solo nelle maratone perchè come sono bravi i maratoneti etiopi…
    e così via…
    In questo modo tutte le nazioni vincono e prendono la loro medaglia d’oro,però il punto è:
    Ma se nasce un jamaicano che è bravo nel pattinaggio artistico,magari non come il suo omologo russo,che cosa gli si dice?
    Che è una schiappa,perchè fa i 100 metri troppo lentamente perchè gli piace la grazia nel movimento?
    E se un russo fosse un centometrista supermuscoloso,che gli fai fare?
    Gli fai danzare il lago dei cigni?
    Cioè non so se mi sono spiegato…

  3. Enrico Fiorini
    7 aprile 2015 at 13:28

    E poi ovviamente,ma questo è implicito:
    se poi la tua specialità non rientra nelle grazie del mercato,per varie ragioni,bhe sei fuori in ogni caso e non gareggeresti nemmeno se corri dall’altra parte del globo.
    Sapete a chi penso?
    A quel mio amico che aveva un talento innato nel dipingere,ma non era molto bravo a scuola,ma figlio di nessuno,per la semplice ragione che un padre non ce l’aveva proprio,la madre c’era una volta all’anno e l’aveva allevato la nonna che era una pensionata…
    Già a tredici anni aveva stupito tutti,perchè pur essendo un cattivo scolaro aveva dipinto una veduta di Parigi veramente notevole…
    Adesso non dico che fosse un novello Renoir,ma il punto è che neanche Renoir a 13 anni era Renoir…
    IL TALENTO VA COLTIVATO,E NON E’ ASSOLUTAMENTE VERO CHE LA NOSTRA SOCIETA’ LO COLTIVI,
    perchè lui appunto che lavoro fa adesso?
    Il benzinaio.
    Tu lo immagini che la mano che ti mette la benzina nella macchina è la stessa che potrebbe farti uno splendido ritratto?
    No,perchè checchè se ne dica la nostra società è classista,è la nostra borghesia è ontologicamente convinta che se fai il benzinaio,è perchè arrivi fin lì.
    Sai qual è la cosa strana?
    Che anche il mio amico è contento di fare il benzinaio,E NEMMENO LUI IMMAGINA DI POTER FARE ALTRO NELLA VITA,PER LUI E’ PERFETTAMENTE LOGICO CHE IL SUO TALENTO SIA SOLO UN HOBBY A CUI DEDICARSI NEI RITAGLI DI TEMPO.
    Il punto è che se a decidere è il mercato,trionferà ”la merda d’artista”,perchè è molto più semplice cagare uno stronzo,e poi con i giusti ganci spacciarlo per arte e venderlo a milioni d’euro,oppure fare un crostone di vernice in stile Pollock,che ci metti 3 minuti di tempo con tre secchi di vernice…e poi lo vendi a 40 milioni d’euro…
    Ma sono mica deficienti quelli che lo comprano,SANNO BENISSIMO CHE COMPRANO UNA MERDA O UNA CROSTA PER 40 MILIONI DI EURO,IL PUNTO E’ CHE CONTANO SEMPLICEMENTE DI RIVENDERLO A UN PREZZO PIU’ ALTO,E 90 VOLTE SU CENTO CI RIESCONO.
    Il punto è che se a decidere è il mercato c’è veramente il rischio che lo stronzo sia spacciato per talento,e il talento per uno stronzo.

  4. Roberto donini
    7 aprile 2015 at 18:52

    Andrò a vedere il Film, stimolato dalle interessantissime considerazioni di Fabrizio. Ritengo che la prima mossa falsa che occulta la realtà, sia l’ideologia “utilitarista” che sta alla base dell’antropologia individualista dell’attuale sistema capitalistico. La rappresentazione che si da del vivere sociale è naturalizzata: cioè astratta dalle concrete relazioni umane fatte di cura, formazione e condivisione. Le relazioni umane iniziano al di sopra della lotta bestiale per la sopravvivenza cui invece vorrebbe ridurci il pensiero barbarico e solo così nascono (nascita è la radice latina di natura) talenti e inclinazioni. Dunque assolutamente d’accordo con Fabrizio. E’ falsa la metafora della gara e illusoria la esoterica mano invisibile riequilibratrice, la Storia invece ci indica che i momenti di elevamento della civiltà sono fatti di convivi dialoganti e anche polemici come nella democrazia di Pericle, nelle lotte di classe a Roma, nel movimento cristiano originario, nei movimenti pauperisti ed ereticali medievali, nell’umanesimo fiorentino, nell’illuminismo francese. In questi passaggi in primo piano ci sono accademie, scuole, gruppi, partiti, cioè l’aristotelica socievolezza umana fatta di ragionamenti condivisi e non la vita come puro riflesso animale, che come ricorda Fabrizio è riproposta dall’attuale frantumazione.

    • Fabrizio Marchi
      8 aprile 2015 at 9:22

      In realtà, caro Roberto, si tratta di un “filmetto”, potremmo dire, di una classica commedia francese (anche un po’ “buonista”, dove anche le problematiche, il più delle volte drammatiche, dei portatori di handicap, vengono volutamente affrontate con un approccio “leggero” e anche ironico, diciamo così, in linea con lo spirito del film) seppur di piacevole visione, e nulla più. Come già ho avuto modo di dire, le intenzioni del regista non erano certo quelle di sollecitare una riflessione sulla natura del capitalismo…
      Tuttavia, è pur vero che il sottoscritto è stato stimolato in tal senso e che stiamo qui a parlarne. La qual cosa significa che il film è comunque valido e può suscitare, come in effetti ha suscitato in questo caso, una riflessione su tanti e diversi temi.
      P.S. all’elenco che tu hai fatto (condivisibile) dei momenti della storia in cui la civiltà si è elevata, ti sei fermato all’Illuminismo e alla Rivoluzione Francese. Io ne avrei aggiunti diversi altri, nello stesso ordine cronologico, penso alla Repubblica Romana, alla Comune di Parigi e all’Ottobre Rosso (e ad altri), ma credo che valga anche per te…

  5. simona
    8 aprile 2015 at 0:28

    Lei scrive divinamente, il suo articolo non fa una grinza, lei è propositivo ed imparziale, un genio intellettuale..

    Spero non se la prenda se le ho riscritto questa frase, ma……qui mi ha dimostrato di aver messo un po’ da parte quella forma di ”intellettualismo forzatamente stereotipato’ ‘Quel copione che spesso senza rendesi conto segue……. a stento ha seguito lei . In questa pagina ha espresso una parte di SE che non avevo dubbi vi fosse, lo ha fatto attraverso le sue belle riflessioni, toccando e confrontando punto per punto le tematiche sociali e culturali di due realtà dove la ” competizione capitalistica ” su cui si basa il nostro sistema attuale diventa ”oggetto di discussione” (ne fanno testimonianza gli ultimi commenti), rafforzando lo stato attuale delle cose, verso cui si dà più interesse e tralasciando in secondo piano ciò che lei ha sottolineato all’inizio del discorso.

    Credo che vi siano tantissime discendenze della famiglia Belier, ci sono talenti che forse non pensavano nemmeno di esserli sin quando non hanno letto ciò che lei ha saputo mettere in luce, è questa l’INFORMAZIONE CHE STIMOLA L’UOMO A MIGLIORARE E MIGLIORARSI, anche l’HANDICAP è qualcosa che incide adesso come sempre a livello umano, spesso le famiglie sono abbandonate nei loro drammi che diventano tali per essere completamente esclusi da ogni forma di diritto e non certo di privilegio.

    Io voglio ringraziarla per aver fatto della sua ”visione ”verso quel film la PROIEZIONE di una realtà che c’è ed esiste nella nostra quotidianità e che molto spesso si sottovaluta o si nega di darne la giusta attenzione.L’ORIGINE di un male individuale diventa collettivo se ci allontaniamo da cio’ che siamo. Uno su mille ce la fa….una statistica che potrebbe sorprenderci se si investe in un ”migliore dei MONDI OLTRE CHE MODI” possibili per viversi…

    • Fabrizio Marchi
      8 aprile 2015 at 9:07

      Gentile Simona/Ada (si, perché lei non può saperlo ma il nostro sistema informatico ci da la possibilità di monitorare un sacco di cose e anche se uno cambia nick come ha fatto lei siamo in grado di riconoscerlo; tranquilla non siamo la CIA o peggio il Mossad e può dormire sonni tranquilli…), visto che ormai ci segue con una certa attenzione, avrebbe dovuto notare che riflettiamo a 360° e sui più disparati argomenti. Insomma ce n’è per tutti, come si suol dire.
      E’ quindi evidente che articoli come quello in oggetto che lei ha così apprezzato e ne siamo felici, si alterneranno ad analisi filosofiche/politiche oppure economiche, oppure ancora di politica internazionale, oltre naturalmente ad articoli di cultura o di “costume”.
      Questo per spiegarle che non giochiamo a fare gli intellettuali e che se ci sono articoli diversi è per una precisa scelta editoriale. Quelli che lei considera degli esercizi intellettuali per mostrare quanto siamo eruditi (anche se in realtà si rivolge al sottoscritto quando, per la verità, sono stai pubblicati decine di articolo “complessi” da parte di tanti altri nostri collaboratori, ma evidentemente lei concentra la sua attenzione solo sul sottoscritto…) sono in realtà uno sforzo per comprendere la realtà in cui ci muoviamo; uno sforzo secondo noi necessario per ricostruire dalle fondamenta un tessuto e una critica politica e sociale che è purtroppo andato perduta. Anche noi cerchiamo di mettere il nostro mattoncino.
      E lo facciamo in modi diversi. Io stesso, come lei può notare, ho scritto e scrivo articoli molto diversi fra loro. In poche parole, non sono e non siamo monocordi e monotematici, e osserviamo il mondo nella sua complessità, per la semplice ragione che anche noi, in quanto esseri umani e sociali, lo siamo (complessi).
      In conclusione, lei non deve fare altro che evitare quegli articoli che non le interessano, senza per questo puntare il dito e accusarci di voler giocare a fare gli “intellettuali forzatamente stereotipati, propositivi ed imparziali, nonché geni”, per utilizzare le sue stesse sarcastiche parole (è evidente che non mi/ci conosce, altrimenti non penserebbe neanche lontanamente questo e penso che in parecchi si stiano facendo delle belle risate nel vedere lei che mi “accusa” di essere un intellettuale, proprio io che detesto gli “intellettuali”…), e leggere quegli articoli che le interessano e che toccano maggiormente le sue corde.
      Noi vogliamo fare un giornale per tutti e anche i suoi commenti e le sue critiche confermano che tutto sommato ci stiamo riuscendo. Ce n’è per tutti i gusti, e non è che un’analisi filosofica valga di più di un articolo di costume; sono tutti egualmente validi e importanti, solo che alcuni verranno letti da più persone, per ovvie ragioni (non tutti hanno la voglia, il tempo e gli strumenti per cibarsi un pistolotto filosofico/politico, pur necessario), altri necessariamente da un pubblico più ristretto.
      Un’ultima considerazione. Non è che un articolo è da considerarsi più o meno valido in base ai commenti favorevoli o sfavorevoli che ha. Ad esempio l’articolo (o uno degli articoli) che lei ha maggiormente commentato e criticato, quello sulla “nuova destra” (in cui si è affrontato, fra le altre cose, il tema dell’immigrazione, sia pure in modo assolutamente insufficiente), non era affatto un articolo “intellettuale”. Era molto semplice e comprensibilissimo, solo che toccava un tema assai delicato, come quello dell’immigrazione, che va a toccare determinate corde (molto delicate…), proprio come quelli che scriviamo sul femminismo che ne toccano di ancora più delicate, come lei sa perfettamente.
      In conclusione, mi pare che ci siamo chiariti ormai a sufficienza. Ora, se ha voglia di partecipare al dibattito ed entrare nel merito, ne siamo tutti contenti. Se invece deve continuare a stare qui per proseguire all’infinito questa personalissima polemica (non so cosa la motivi né mi interessa…) con il sottoscritto, la invito caldamente a mollare la presa perché non avrebbe nessun senso e non sarebbe di alcun interesse per nessuno e a nessun fine, come già le ho ribadito più volte (ma lei insiste…). Anche perché sarebbe fatica sprecata dal momento che, come lei stessa ha ricordato in un precedente commento che abbiamo scelto di non pubblicare (perché era rivolto esclusivamente al sottoscritto e non aveva nulla a che vedere con il dibattito), abbiamo il “potere” di pubblicare o non pubblicare i suoi commenti.
      Veda lei, può dare un contributo fattivo e propositivo, oppure impiegare il suo tempo a scrivere rimbrotti polemici e personalissimi al sottoscritto che non verranno pubblicati (per ovvie ragioni). Mi pare tutto sommato che potrebbe usare con più intelligenza questo spazio che noi mettiamo a disposizione di chiunque abbia qualcosa da dire.

      • simona
        9 aprile 2015 at 20:48

        Signor Marchi lei mi mette continuamente nella condizione di controbattere anche quando non risponde o viene cancellato ciò che le scrivo.

        ”Mi pare tutto sommato che potrebbe usare con più intelligenza questo spazio che noi mettiamo a disposizione di chiunque abbia qualcosa da dire. ”

        Cosa intende esattamente per intelligenza, quella che i nostri ”sistemi informatici” adoperano per scoprire l’identità delle persone e tante altre cose di cui forse lei pensa che io non sappia??Simona/Ada è la presa di coscienza di un accesso alla : FALSITA’ , una provocazione non diretta a lei personalmente ma al nostro Sistema attuale, quello che include il Mercato, le competizioni capitalistiche, il potere neoliberista e tutto quello che a gran parte della gente viene negato di capire (a loro discapito) a vantaggio di arricchire chi è già ricco, i ”veri intellettuali” del potere.Detto questo Sig. Marchi, le avevo addirittura anticipato io ,di starsene tranquillo, in quanto non faccio parte di un bel niente, ma lei oggi ,grazie a questi sistemi che monitorano persino il ns battito cardiaco, tranquillizza me ironizzando sulla CIA ed altro…….

        Ritiene che io debba mollare la presa quale???Quella ”presa di coscienza” che annienta le persone, che pretende di seguire uno stereotipo forzatamente? Io su questa pagina HO TROVATO LEI , lo comprende meglio adesso!!!! Le sue personali riflessioni, almeno….. vorrei credere che fossero davvero sue . Personalmente vorrei che emerga la persona autentica, quella che si esprime per come realmente é ….e non per come è stata costretta a diventare grazie ad un processo di omologazione e finzione che la porta a sentirsi accettata dagli altri e che vive male dentro se stessa.

        Si parla spesso di cifre, capitali, beni materiali che hanno un terribile POTERE quello che con il loro ”REALE PESO” SOPPRIMONO IL VALORE ESISTENZIALE DELLA PERSONA, I SUOI REALI PENSIERI,DESIDERI, PAURE,LACRIME,SORRISI, TUTTE QUELLE EMOZIONI CHE VANNO CONDIVISE E VISSUTE, stanno cedendo il posto ad una sorta di ripiego sbagliato che non viene compensato in altro modo.

        Sono una ”discendente della famiglia Belier”, con la differenza di aver vissuto con altre forme di handicap, se così possono essere definite… ho trovato una grande difficoltà nel cercare di fare un discorso politico, non fa per me, non fa per me il SISTEMA E NEMMENO IL MODO CHE USA L’ANTISISTEMA , trovo una grande difficoltà nel fermarmi per un lungo tempo nello stesso posto, non so in cosa potrei contribuire SIGNOR MARCHI, se non nel far prendere coscienza di quel che accade prima di tutto in noi stessi …….
        GRAZIE per aver letto…….. lei non è una persona superficiale,
        auguro una buona continuazione e mi scuso per tutti coloro verso i quali non ho dato una corretta attenzione .

  6. armando
    9 aprile 2015 at 0:02

    Nei commenti precedenti sono stati toccati diversi punti interessanti.
    Giustissima l’osservazione di Donini sull’utilitarismo, però attenzione: “l’interesse” individuale non è poi così diverso dall'”interesse” di classe. Diciamo che il secondo è la collettivizzazione del primo, ma non è filosoficamente diverso. Suppone sempre che la molla finale (o primaria) dell’agire umano sia l’utile. In ciò, che poi in sintesi è la questione del materialismo, noto un errore di Marx, ed anche una delle spiegazioni del fallimento dei socialismi reali. Alla fine, ogni filosofia materialista porta sempre ad escludere, o sottostimare, ogni altra motivazione dell’agire umano.
    Credo, comunque, che un merito teorico vada riconosciuto al capitalismo. Ha soppiantato le società castali, nelle quali era la nascita e non il “merito” a definire il destino. In linea puramente teorica, ma anche la teoria ha un significato, un capitalismo che funzionasse perfettamente dovrebbe, nel suo stesso interesse, prescindere totalmente dalla nascita, dalla famiglia, etc. etc. e porre ogni individuo sulla identica linea di partenza, anche, ad esempio, vietando la trasmissione dei beni da padre in figlio. Ovvio che non è affatto così, e lo vediamo ogni giorno. Ma se le “caste” tendono a riprodursi seppure con modalità e nomi diversi nonostante gli interessi teorici del sistema allo stato “puro”, ciò indica che qualcosa non torna nemmeno nella teoria, la quale non riesce a cogliere interamente la natura dell’uomo.
    Ma ammettiamo che nel capitalismo ci sia una competizione autentica alla pari e sia riconosciuto il merito. Cosa significa merito? Competizione per cosa? le risposte credo siano piuttosto semplici. Il merito significa produrre profitti per sè o per il capitalista, e la competizione si risolve sempre, alla fine, nello stesso scopo. Sul concetto di merito, faccio un solo esempio personale. Quando, moltissimi anni orsono, lavoravo in una banca, un impiegato fu promosso con ogni onore perchè aveva fatto guadagnare assai la banca ammollando ai clienti azioni in portafoglio che dopo pochi mesi diventarono carta straccia, valore zero. L’ etica è esclusa dalla logica interna del capitale-
    Questo non significa assolutamente che non possa esistere un capitalista etico, e ce ne sono molti esempi. Ma il punto è se possa esistere un capitalismo etico e tutto sembra dimostrare che non è così. Eppure, nonostante tutto, il capitalismo poteva essere pensato come il sistema più efficiente e razionale per soddisfare i bisogni umani. Poteva, quando dietro al valore di scambio c’era sempre un valore d’uso, ossia la merce serviva a soddisfare un bisogno umano reale e naturale, non necessariamente un bisogno materiale. Ebbene, oggi non è più così, e l’esempio del mercato dell’arte serve a meraviglia per illustrare il concetto.
    Le “opere d’arte” moderne vengono scambiate perchè hanno un valore di scambio (deciso dai mercanti) anche se non hanno alcun valore d’uso (di godimento estetico, ad esempio, e sfido a dire che lo hanno certe mostruosità di grande valore). La realtà è che non solo il valore di scambio si è autonomizzato da quello d’uso, ma è il primo che tende a creare in secondo in sua funzione (creazione di bisogni).
    Quindi, da un punto di vista di razionalità intesa in senso ampio, è del tutto irrazionale.

    • Enrico Fiorini
      9 aprile 2015 at 9:15

      Bhe direi che non c’è nulla di nuovo sotto il sole,Marx aveva definito l’ingresso nell’era del capitalismo,non dalla filosofia del profitto in sè,che è sempre esistita,ma dal passaggio dall’equazione:
      MERCE-DENARO-MERCE
      a quella
      DENARO-MERCE-DENARO
      Il banchiere fiorentino non era ancora un capitalista moderno tout court,perchè il suo profitto,non era finalizzato all’accumulo di denaro in sè,ma a circondarsi di opere d’arte e bellezze architettoniche,il capitalista moderno compra merda,perchè per lui il suo scopo fondamentale non è circondarsi di cose belle,ma di altre banconote,e infatti,l’opera di arte moderna è un mezzo temporaneo per appropriarsi di denaro,e nulla più.

  7. armando
    9 aprile 2015 at 13:26

    Si, lo schema è quello DMD, ma la differenza ulteriore è, come dici anche tu, che la M conservava necessariamente un valore d’uso. Ora non più: un primo salto di “qualità”!. Il secondo è che nel DMD marxiano erano eclusi alcuni campi della vita, quali ad esempio la vita stessa. Ora non più. E non è poco..

  8. Raffaella e Francesco
    10 aprile 2015 at 18:14

    Il racconto del film e lo stimolante commento che ne segue ha dato a me raffaella ea francesco (nuovo e felice lettore dell’INTERFERENZA) l’importante occasionedi un dibattito ‘a puntate e a distanza’ che si è concluso con la citazione letteraria di francesco de IL PREZZO di A. MILLER.
    Questa piece teatrale del noto scrittore statunitense narra una storia familiare vissuta in loft di New York (che sarà venduto per la demolizione).
    Qui arrivano i due figli del proprietario che si erano allontanati e nn avevano parlato per anni.
    In quel loft, dove i due fratelli avevano trascorso gran parte dell’infanzia, si riuniscono con le cose che avevano amato e il cui PREZZO NN STA NEL VALORE DEGLI OGGETTI in vendita, ma QUELLO CHE CIASCUNO HA DOVUTO PAGARE PER LA SCELTA CHE HANNO FATTO..Uno ha dato la priorità alla famiglia , l’altro alla carriera nella ricerca del successo professionale…
    Lo spettatore di questa piece teatrale lascia il teatro con un messaggio circa le scelte fatte nella vita ed il costo della stessa, perche sempre , a breve o a lungo termine, vi è un prezzo da pagare per loro…

Rispondi a armando Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.