Il Luigi Di Maio (cattivo) pensiero

Mi pare che quanto dichiarato pochi giorni fa da Luigi di Maio, esponente di punta e candidato premier in pectore del M5S, nel “salotto” di Bruno Vespa https://youtu.be/ri8uoVQoytE , abbia fatto chiarezza come mai prima d’ora sulla natura, le finalità e l’orizzonte ideale e politico di questo movimento.

La tesi di Di Maio è che la destra abbia tradito gli imprenditori e la sinistra i lavoratori. La nuova coppia amico/nemico, secondo il Di Maio-pensiero, sarebbe dunque costituita dalla cosiddetta società civile (composta da imprenditori e lavoratori, capitalisti e salariati) VS la politica. La categoria dei produttori (capitalisti piccoli, medi e grandi, e lavoratori salariati) contro quella degli improduttivi, dei parassiti e dei corrotti che vivono alle spalle dei primi (la stessa identica tesi della Lega Nord), cioè la classe politica.

Il ceto politico, la famigerata “casta”, secondo questa visione delle cose, non sarebbe dunque l’espressione politica dei rapporti di produzione, cioè dei rapporti economici e di classe attualmente dominanti che la determinano, ma di una sorta di usurpazione della “volontà generale” del popolo, tutto indistintamente accomunato (capitalisti e salariati, ricchi e poveri, dominanti e dominati) da parte di un corpo separato di professionisti corrotti della politica. Si tratterebbe, a questo punto, di “mandare a casa” questa nomenclatura autoreferenziale (e, a quanto sembra, anche autogenerata…) e sostituirla con la “buona politica” e la “buona amministrazione”, cioè con un nuovo ceto politico composto da “cittadini” che agiscono (o agirebbero) in modo onesto, efficiente e trasparente al fine del buon funzionamento della cosa pubblica (e anche privata, dal momento che la trasparenza e l’efficienza del sistema favorirebbero anche e soprattutto l’iniziativa privata).

Si capisce quindi perfettamente per quale ragione il M5S si faccia portatore del superamento delle categorie di destra e di sinistra.  Nella visione pentastellata la contraddizione di classe viene completamente archiviata. Il superamento delle categorie di destra e di sinistra non è riferito al processo di mutazione che queste (in particolare quella della sinistra) hanno vissuto da una quarantina di anni a questa parte e che le ha rese entrambe intercambiabili, indistinte e indistinguibili nonchè funzionali e organiche al sistema capitalista, ma al superamento della contraddizione e del conflitto di classe. Da questo punto di vista, la visione “grillina” è del tutto simile ed omogenea a quella dei cantori ufficiali del neoliberismo e della cosiddetta “fine della storia”. Una storia che si conclude appunto con il trionfo del capitalismo che si scopre essere (o si vorrebbe che fosse…) non una forma storica dell’agire umano ma una dimensione ontologica e naturale della realtà, e quindi non superabile. Non resta che cercare di amministrare e governare al meglio questa realtà strutturalmente immutabile e intrasformabile, rimuovendo gli ostacoli sul cammino: cattiva amministrazione, corruzione, logiche clientelari, presenza invasiva dei partiti ecc.

Se questo è il paradigma ideologico e politico, e io credo che lo sia, è evidente come nella sostanza non ci sia nulla di diverso fra il M5S e gli altri partiti, cioè PD e cespugli alla sua “sinistra” al seguito, Forza Italia e Lega Nord. La differenza – ma solo sul piano nominale, non certo sostanziale –  potrebbe darsi sotto il profilo pseudo ideologico, nel senso che partiti come Il PD o Forza Italia continuano per ragioni strumentali ed elettoralistiche a dichiararsi di “sinistra” o di “destra”. Ma noi sappiamo che questa è una finzione che serve solo come falsa coscienza necessaria dal momento che entrambi sono del tutto organici al sistema della cui governabilità aspirano ad essere garanti. La stessa cosa a cui in fondo aspira anche il M5S. La differenza fra quest’ultimo e gli altri è data dal fatto che mentre il PD e Forza Italia rivendicano – peraltro in modo assai maldestro – la storia che hanno alle spalle e di cui sono in qualche modo il prodotto (degenerato), il M5S opera una cesura netta, una discontinuità politica e anche ideologica, ponendosi appunto come una forza politica post-ideologica. Ma anche e soprattutto questo è ciò che rende funzionale e omogeno il M5S all’attuale ideologia dominante, che è appunto quella della “fine delle ideologie”, che, tradotto, significa fine della possibilità di trasformare la realtà, che è poi la realtà del capitalismo naturalizzato ed eternizzato.

Stando così le cose, il M5S potrebbe costituire per le classi dirigenti, non solo nazionali, una carta vincente sulla quale investire politicamente, proprio ai fini di garantire quella “governance” e quella pace sociale necessarie alla riproduzione del sistema (capitalista). I padroni del vapore stanno in finestra a guardare, e scelgono di volta in volta il cavallo vincente o comunque quello giudicato più funzionale ai loro interessi.

Anche e soprattutto dal punto di vista ideologico, il M5S è dunque un prodotto dei tempi, così come lo è il PD renziano (o anche non renziano…) e come lo fu il “partito-azienda” berlusconiano. L’asso nella manica, per così dire, è la sua presunta vocazione “anti sistema”, ma in realtà, alla prova dei fatti, il M5S risulta essere più un modernizzatore del sistema stesso piuttosto che un suo antagonista.

Del resto, la vis anti casta che lo contraddistingue non è certo nuova (anche i radicali lanciarono grandi campagne contro la “partitocrazia” e la sindacatocrazia”, riprese innanzitutto da Berlusconi) e va oggettivamente incontro a quel processo di modernizzazione capitalistica neoliberista che preme per il primato dell’economico sul politico, del Mercato sulla Politica. C’è da dire che questa è un’ottima carta per confondere le idee a tanta gente che sovrappone del tutto il concetto di “antipolitica” con quello di “antisistema”. In fondo, come ripeto, anche Berlusconi giocò la stessa carta, ponendosi come l’imprenditore fuori dal “palazzo”, l’uomo della “rivoluzione liberale” che avrebbe scompaginato il “sistema” (di cui lui era in realtà parte organica…).

Anche le disinvolte dichiarazioni di Di Maio su Almirante, Berlinguer e i vecchi leader democristiani e sui valori ideali da questi rappresentati (in un minestrone da brivido che dovrebbe essere indigesto per chiunque mastichi appena di politica…) non sono casuali e ci dicono molto sulla concezione ideologica e politica pentastellata.  I “valori”, le idee e gli orizzonti ideali e culturali vengono infatti messi sullo sfondo in un partito dove fascisti, cattolici, liberali e comunisti possono e debbono tranquillamente convivere. E possono convivere proprio perché anche e soprattutto per i M5S, in perfetta sintonia con lo spirito dei tempi, il dibattito filosofico-politico-ideologico è stato ridotto a chiacchiera, a mero carosello di opinioni, né potrebbe essere altrimenti secondo questa concezione. Perché ciò che conta non sono le “chiacchiere” ma la dimensione del “fare”, che viene completamente separata da quei valori e da quegli ideali, in cui la politica viene ridotta ad una sorta di spazio neutro, tecnico, con la differenza che al posto dei professionisti della vecchia politica (la famosa casta) agiscono invece i “cittadini” (dubito che Di Maio possa essere definito altrimenti se non un professionista della politica, oltre ad essere, insieme ad altri suoi colleghi di partito,  uno dei miracolati della rete…) nel nome di un supposto “interesse generale” dove Marchionne e Cipputi fanno parte dello stesso schieramento  e hanno gli stessi comuni nemici (la casta). In fondo la vecchia idea del collaborazionismo e della conciliazione fra le classi (che era anche la concezione del vecchio corporativismo fascista) viene riesumata in forma post-moderna e post-ideologica (se andiamo a scavare, di veramente nuovo c’è ben poco in tutte le trovate politiche che sono state escogitate negli ultimi trent’anni da tutte le parti…).

Il fatto che il M5S abbia rappresentato e continui a rappresentare un contenitore di dissenso (con il quale, in quanto tale, bisogna relazionarsi) non muta però la sostanza delle cose. Ed è bene cominciare ad attrezzarsi, indipendentemente dalle alchimie elettorali che tireranno fuori dal cilindro, perché in un prossimo futuro non è da escludere, in linea di principio, che il M5S possa andare al governo. E allora quelle contraddizioni che oggi sono apparentemente sopite non potranno non esplodere.

Dispiace dover dire in modo così diretto e forse brutale queste cose, in special modo ai tanti nostri lettori, amici e simpatizzanti che hanno guardato e continuano a guardare al M5S come ad un soggetto politico se non antagonista quanto meno alternativo. Però, come abbiamo detto tante volte, questo giornale non è stato concepito per rassicurare ma per dire le cose come le vediamo, anche e soprattutto quando sono scomode e difficili da digerire.

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Fonte foto: Next Quotidiano (da Google)

 

 

4 commenti per “Il Luigi Di Maio (cattivo) pensiero

  1. Enrico
    26 giugno 2017 at 9:00

    Totalmente d’accordo.

  2. Giacinto
    26 giugno 2017 at 20:10

    Io, invece, che non sono marxiano ma kantiano, mi chiedo che cosa è accettabile alla mente umana e che cosa non è accettabile e giungo alla conclusione kantiana che ciò che posso accettare è l’unibersalità della legge morale a fondamento della legge positiva che non tradisce ma concretizza la legge morale. Perciò mi è più facile accettare l’idea di un professionista che guadagna mille o più euri al giorno e paga le tasse che mille forme di parassitismo statale che non rispondono al motto che la legge è uguale per tutti. Io, classe maledetta 1952, costretto ad andare in pensione con 43 anni di servizio o 67 anni di età, mal sopporto il collega del ’51 che in pensione ci è andato con 36 anni di servizio. Come non sopporto il Ministero delle Pari opportunità fatto di sole donne, il privilegio pensionistico femminilel, i mantenimenti a vita delle divorziate, i vitalizi solo per parlamentari e regionali italiani. E’ la costante violazione della parità dei diritti e dei doveri che mi rende furioso.

  3. silvia
    5 luglio 2017 at 21:33

    l’altra sera sulla 7 dalla Gruber, Di Battista si è lasciato sfuggire che suo padre votava Almirante.io ho una mia idea sui 5 stelle: penso che sia un prodotto creato a tavolino da certi poteri non piu’ occulti per cercare di rimediare all’ondata di assenteismo che rischia di abbattersi nelle prossime elezioni.

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