“Signora mia, non ci sono più le guerre di una volta” (e neanche le paci)

Anni fa, alla vigilia della seconda guerra irachena, assistevo, con un mio carissimo amico francese ( anche lui esponente di spicco  della sinistra socialista/bastiancontrarista), ad una grande manifestazione pacifista per le vie di Roma. Con la simpatia, mista a malinconia, di chi ha di fronte un atto insieme dovuto, inutile e, come dire, datato. Da allora, infatti, grandi manifestazioni per la pace non se ne sarebbero viste più; anzi lo stesso movimento per la pace sarebbe completamente scomparso dalla scena. Per tante ragioni legate, tutte, alla dissoluzione della sinistra occidentale; ma anche perché era, come dire, scomparso il suo avversario, la “guerra ideologica”impersonata dal secondo conflitto mondiale. Una, diciamo così, “guerra per la democrazia” che aveva a sua volta sostituito le guerre classiche per la conquista del territorio in auge da secoli e che avevano vissuto la loro fase suprema e orribile nel 1914/18.

Se ben ricordate, infatti, la guerra contro Saddam Hussein era stata presentata al pubblico insieme come guerra per la pace (con annessa eliminazione delle armi di distruzione di massa) e come guerra per la democrazia (con annesse folle festanti ad accogliere i liberatori e a ricostruire il paese secondo le loro direttive). E, invece, niente armi e niente folle festanti; al loro posto, come era avvenuto anche nella “guerra democratica” in Afghanistan, anni e anni di conflitto, dollari su dollari buttati via; con la crescente consapevolezza che la guerra non era stata vinta. Come non erano state vinte tutte le grandi guerre scatenate in precedenza, eccezion fatta per quella di Reagan contro l’isola di Grenada.

Che fare allora ? Scartata, perché roba da museo, la guerra di conquista (ultima risibile vestigia, quella tra Etiopia ed Eritrea, recentemente conclusa) e, per l’intollerabile rapporto costo/qualità, la guerra ideologica, come utilizzare la propria stragrande forza politico-militare nel modo più razionale possibile ?

Le soluzioni adottate nel corso degli ultimi decenni sono state sostanzialmente quattro: la guerra umanitaria; la guerra in economia; la guerra per procura; le sanzioni. Le prime tre in qualche modo in combinazione tra loro. L’ultima “in solitaria”. Tutte, peraltro, non risolutive- almeno nel senso della sconfitta definitiva del Nemico di turno; oltre ad essere estremamente costose per gli interessati.

Vediamo perché.

La guerra umanitaria ha avuto un ciclo breve. Avviata in Bosnia e, più smaccatamente nel Kosovo, ha perso qualsiasi copertura ideologica in Libia per morire in Siria nell’indifferenza generale. Insomma “non attacca più”

La guerra in economia, invece, piacerebbe eccome ( a chi la fa; molto meno a chi la riceve). Perché a combattere e a morire sono quelli che la fanno per mestiere. Perché si fa bombardando dall’alto e senza alcun rischio; e con bombe intelligenti in grado, si dice, di individuare e distruggere i Cattivi senza colpire il barista al numero civico successivo. E, infine, perché, si dice, l’uso dei droni, anch’essi molto intelligenti, ti consentono di distruggere il nemico senza sobbarcarsi la fatica di vederlo. Piacerebbe; ma non funziona. Perché, per essere  sicuri che il Nemico sia morto occorre, da sempre, guardarlo in faccia.

La guerra per procura- Ucraina ( nel caso….) contro Russia, bin Laden, talebani, Isis contro Russia e poi Siria e Iran, Israele contro Iran, Guaidò contro Maduro, governi del Sahel contro oppositori etnici, tribali, religiosi e quant’altro- non è una scoperta recente; ma ha due controindicazioni pesanti. La prima è che è una guerra di lunga durata, perché ha a che fare con interessi, da ambedue le parti, non negoziabili e perciò anche pressoché impossibili da mediare. La seconda e forse ancora più pesante è la perdita progressiva di controllo del delegante sul delegato. In un processo in cui oggi Netanyahu, bin Salman e persino Haftar condizionano fortemente le strategie occidentali nell’area delle crisi. E in cui persino l’imperialismo francese non più chiudere l’avventura nel Sahel perché legato a fil doppio ai, si fa per dire, governi che è intervenuto a soccorrere.

Da ultimo, le sanzioni.  Lo strumento più efficace di tutti. Soprattutto perché  reca il massimo possibile danno al massimo numero di persone; e con un costo per il sanzionatore pressoché nullo. E perché, rovesciando lo schema di Clausewitz, è una guerra condotta con altri mezzi. Ma, tra parentesi ( “non sono antiamericano ma…), anche il più ignobile: perché praticato facendo strame delle elementari regole di qualsiasi ordine internazionale; e soprattutto perché condanna alla miseria e alla fame decine di milioni di persone per indurle a rovesciare le loro classi dirigenti. Ipotesi, peraltro, non confermata dai fatti.

Siamo, allora, in una situazione di stallo. Superabile in due opposte direzioni: il ritorno al conflitto militare aperto  e condotto in prima persona; oppure l’affermarsi non già della pace ma del dialogo e del negoziato. L’atteggiamento delle forze in campo ( nella totale assenza dell’Europa e del movimento pacifista) farebbe pensare al successo della prima. La logica delle cose al ritorno della seconda.

Detto in altro modo o impazzimento totale o razionalità. Possiamo allora dichiararci ottimisti.

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