Il “Codice di Camaldoli”. Alcune riflessioni rispetto all’attualità

Tra il 18 e il 23  luglio del 1943, in pieno conflitto mondiale, con l’Italia stremata da tre anni di sconfitte, nel Convento di Camaldoli si riunì un gruppo di intellettuali cattolici che elaborò un documento programmatico quale base per la ricostruzione del Paese all’indomani della fine della guerra che molti ritenevano erroneamente prossima alla fine. Il documento che prese il nome di “Codice di Camaldoli” venne pubblicato solo nel 1945 dalla Rivista di Azione Cattolica. Tra organizzatori e partecipanti si annoverano personaggi che diventeranno importanti esponenti della DC andando a ricoprire incarichi di primo piano nella Prima Repubblica: Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Guido Gonella, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taiani, Aldo Moro, Giulio Andreotti, solo per citarne alcuni. Alcuni dei personaggi richiamati hanno legato il proprio nome ad iniziative che hanno segnato in positivo la Storia della “Prima Repubblica”.

L’economista Pasquale Saraceno ha fondato la SVIMEZ ed è stato uno dei più convinti sostenitori della Cassa per il Mezzogiorno[1] inaugurando la nuova stagione del meridionalismo. Ezio Vanoni, anch’egli economista, per la precisione docente di Scienza delle Finanze e Diritto Finanziario, materia quasi scomparsa dalle Università italiane, un tempo obbligatoria per chi intraprendeva studi giuridici o economici, ha legato il proprio nome alla Riforma Vanoni che modificò il nostro sistema tributario[2]. Significativo il nome della Legge “Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale straordinario“. Con tale legge venne resa obbligatoria la dichiarazione dei redditi e la diminuzione delle aliquote sulle quali calcolare le imposte favorì i lavoratori dipendenti e vide il gettito fiscale aumentare di due volte e mezzo. Giorgio La Pira, parlamentare e sindaco di Firenze, è da ricordare per la profonda fede che tradusse in azione politica ed amministrativa. Il suo impegno a difesa della Pace e del Disarmo possiamo considerarlo epico, intervenne a favore della pace addirittura al Soviet Supremo a Mosca. C’è un episodio particolarmente significativo ed è la risposta data a don Luigi Sturzo che lo accusava di essere statalista e un “comunista bianco”.  La Pira gli rispose semplicemente «10000 disoccupati, 3000 sfrattati, 17000 libretti di povertà. Poi le considerazioni: …cosa deve fare il sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: “scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?”». I nomi che ho richiamato hanno contribuito a fare la Storia dell’Italia repubblicana. Il Codice di Camaldoli è cosa nota che nasce negli ambienti dell’Azione Cattolica ed è sostanzialmente il documento culturale e politico che ha dato origine alla Democrazia Cristiana. Questa mia riflessione non vuol essere una celebrazione postuma di quel partito, una formazione politica che nel bene e nel male ha egemonizzato la vita politica della Prima Repubblica prima di scomparire dal quadro politico nazionale insieme agli altri partiti natidalla Resistenza che avevano trovato nei valori condivisi della Costituzione un comune punto di riferimento, ma semplicemente una riflessione per provare a capire quanto è ancora attuale “Il Codice di Camaldoli”.

Oggi in molti, come succede per il Comunismo e il Socialismo, si richiamano alla cultura politica che fu appunto della “Balena Bianca”, lo stesso PD a guida Renzi tentò di passare come erede del Codice di Camaldoli cogliendo l’estemporanea dichiarazione della Boschi quando dichiarò di ammirare Fanfani. Poco credibile di fronte ad un PD renziano spostato non al centro ma su politiche neoliberali che ancora pesano come un macigno sulla credibilità del PD quale partito, non di sinistra, ma di centrosinistra. La società italiana e il contesto internazionale sono mutati, il ruolo stesso della Chiesa, a fronte della secolarizzazione della società e di una post modernità nichilista, appare annebbiato, e questo nonostante una personalità di rilievo come Papa Francesco I; mi sono chiesto se a distanza di ottanta anni dalla sua redazione il “Codice di Camaldoli “ possa essere ancora un punto di riferimento non solo per i cattolici ma anche per le Sinistre e più in generale per un’area politica progressista, come riferimento per un nuovo patto, per così dire, Costituzionale.

Il “Codice di Camaldoli “ è complesso e ricco di spunti per riflessioni che investono questioni teologiche, etiche, economiche e politiche, per cui mi sono limitato ad analizzare e richiamare solo alcuni punti. Quelli che a mio modesto parere potrebbero essere presi, ancora una volta, come punti di riferimento per la costruzione di un’alternativa politica e culturale alle destre. Mi scuso in anticipo per la semplificazione che dovrò operare rispetto ad alcune questioni che affronterò.

Per chi ha una impostazione marxiana,  è del tutto evidente che passare da una interpretazione della Storia come lotta di classe ad  una interpretazione della Storia che parte dalla rivelazione cristiana e in modo particolare con il richiamo alla Summa Politicorum I, 1 e alla Summa Eticorum I, 13 di San Tommaso d’Aquino, diventa difficile ma non impossibile da superare se al centro viene posto l’Uomo in relazione alla Società. Il “Codice di Camaldoli esordisce  << 1.L’uomo è un essere essenzialmente socievole: le esigenze del suo spirito e i bisogni del suo corpo non possono essere soddisfatti che nella convivenza. Sennonché la convivenza familiare e la solidarietà dei gruppi intermedi sono insufficienti: perché l’essere umano abbia possibilità adeguate di vita e di sviluppo occorre che le famiglie si uniscano tra di loro a costituire la società civile. La quale perciò proviene direttamente dalla natura dell’uomo, remotamente da Dio che ha creato l’uomo socievole.

  1. La società però non si può conservare nè sviluppare senza un principio cosciente e volitivo che ne precisi in concreto il fine e vi coordini le attività dei singoli: tale principio è la sovranità che si personifica nello Stato. Per cui lo Stato è pure una formazione dello spirito umano nel senso che mai sorgerebbe se l’uomo non fosse anche spirito, non è però una formazione arbitraria giacché l’uomo è determinante a trarlo all’esistenza da necessità imprescindibili di natura (S. Tomm. Politicorum I, 1).
  2. La ragione per la quale l’uomo non può fungere soltanto da membro nell’organismo sociale è che egli, quale essere spirituale, è preordinato a un fine che trascende ogni umana istituzione, lo Stato compreso; e cioè preordinato a Dio: “homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua. sed totum quod homo est, et quod potest et habet ordinandum est ad Deum” (S. Tomm. I, II” XXI, 4, ad III). Per cui se risponde alla natura dell’uomo unirsi quale membro attivo nell’organismo sociale, risponde pure all’essenza della società non assorbire l’uomo fino ad annullarlo; ma la sua ragion d’essere sta nel creargli l’ambiente migliore per il suo perfezionamento integrale (Pio XI nella Mit brennender Sorge, 8). >>

La distanza tra queste posizioni, come dicevo, e la cultura politica comunemente considerata come di Sinistra può essere superata se ci si limita ad utilizzare il pensiero di  Marx come metodologia di analisi delle condizioni materiali e le proposte programmatiche presenti nel “Codice di Camaldoli” come azione politica finalizzata da una parte al superamento delle disuguaglianze sociali e dello sfruttamento da parte del sistema liberal capitalista, dall’altra al rafforzamento della Democrazia politica, della Democrazia economica e alla costruzione di un sistema  dove ciascuna Persona possa avere modo di realizzarsi contribuendo al miglioramento delle condizioni sociali nel suo complesso. A differenza del Socialismo e del Comunismo che nascono come antitesi del Liberalismo e del Capitalismo, il Codice di Camaldoli affonda le sue radici più indietro nella storia. I richiami alla giustizia commutativa e redistributiva, al diritto di resistenza a una legge ingiusta dello Stato, come le riflessioni sui beni comuni, sulla ricchezza e sulla proprietà privata ci portano indietro alla Scolastica Francescana e più in generale al dibattito teologico, giuridico e filosofico che interessò la Chiesa tra il XII e il XIV secolo. Il diritto di resistenza ad una legge ingiusta dello Stato è il fondamento giuridico e teologico che sta alla base della concessione della Magna Carta. Ai fini della concessione della seconda Magna Carta da parte del re d’ Inghilterra Enrico III l’inviato pontificio Guala Bicchieri ebbe un ruolo importante, questo per sottolineare il ruolo avuto dalla Teologia e dal Diritto Canonico rispetto alla Modernità. L’idea politica contenuta nella Magna Carta è il punto di partenza che nel corso dei secoli porterà alla nascita dello Stato moderno e del Liberalismo. Radici antiche, dicevo, ma nel contempo i richiami alla  Rerum Novarum di Papa Leone XIII e al Codice di Malines  rendono il Codice di Camaldoli parte integrante della Dottrina sociale della Chiesa. Quali sono quindi gli elementi sui quali è possibile costruire un progetto alternativo capace di tenere insieme un polo progressista alternativo alla destra? Ne cito alcuni. Il primo è sicuramente il lavoro.

L’art. 55 del Codice di Camaldoli riporta <<Diritto al lavoro; sua dignità. Risponde a un principio di giustizia naturale che ogni uomo possa attingere ai beni materiali disponibili sulla terra quanto necessario per un pieno sviluppo delle sue energie individuali e di quelle dei familiari ai quali egli deve provvedere. Una società bene ordinata deve dare perciò a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia.>>

In un contesto come quello attuale porre al centro il lavoro diventa fondamentale. Bene ha fatto il Presidente della Corte Costituzionale, la giurista Silvana Sciarra, intervenendo sul tema al Meeting di CL, a dichiarare che il lavoro è fondamentale ai fini del mantenimento della Democrazia. Per capirlo è sufficiente leggere gli artt. 1, 3 e 4 della Costituzione.  L’Italia non solo è una Repubblica fondata sul lavoro, suo compito è “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, “ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. I tre articoli della Costituzione che ho richiamato sono fondamentali perché in sé contengono il presupposto per politiche economiche funzionali ad una Democrazia sostanziale. Lavoro, partecipazione politica, giustizia sociale, perseguimento del bene comune, ruolo dello Stato in economia, funzione sociale della proprietà privata, tutela della piccola proprietà e della piccola impresa in contrapposizione alle degenerazioni oligopolistiche e monopolistiche, sono tutti temi presenti nel Codice di Camaldoli e trovano riscontro nella Costituzione Repubblicana. Su alcune questioni oggetto di confronto politico gli estensori del Codice di Camaldoli appaiono anche più avanti rispetto a rivendicazioni che mettono in discussione, inconsapevolmente o in mala fede, il lavoro come fondamento della Democrazia. Penso al tema della giusta retribuzione e del Reddito di Cittadinanza. L’art. 57 del Codice di Camaldoli riporta <<Elementi del giusto salario. La natura dei bisogni umani non consente di indicare in via assoluta la quantità di sussistenze indispensabile all’uomo, e quindi la retribuzione minima del lavoratore; non vi è dubbio, d’altro canto, che in una data situazione storica, le condizioni economiche generali indicano il livello di retribuzione al di sotto del quale la giustizia sociale non permette di scendere.>>

Altro tema quello della Democrazia economica, ossia la partecipazione del lavoratore al governo delle aziende attraverso << la partecipazione alla nomina degli organi di controllo (…)>>. Sempre in merito al lavoro è la relazione tra questo e l’innovazione tecnologica un elemento sul quale riflettere al fine di evitare un’interpretazione ideologica e fuorviante delle innovazioni tecnologiche. Una certa narrazione sostiene che l’innovazione tecnologica porterà in prospettiva alla  “Fine del Lavoro”[3], in sostanza il lavoratore non verrà liberato dalla sfruttamento ma dal lavoro stesso. Pensare di risolvere il problema della scarsità di lavoro o della fine stessa del lavoro prevedendo l’introduzione di un salario  minimo universale da attribuire a tutti i cittadini equivale a minare il fondamento stesso della Democrazia oltre che a snaturare l’Uomo. E poi, siamo davvero sicuri che il lavoro scomparirà, che la tecnologia sostituirà completamente l’Uomo? Se analizziamo il contesto scopriamo che siamo in presenza di tendenze uguali e contrarie. Il lavoro diventa sempre più performativo, vengono chieste continuamente maggiore flessibilità e maggiore disponibilità, l’età pensionabile viene allungata, di contro esistono attività che richiedono lavoro ma si tende a farle passare come non lavoro. Il pericolo è che il lavoro finisca con l’identificare lo status sociale della classe egemone che, proprio perché lavora, concentra, legittimamente, in sé il potere economico e politico e lo esercita su una massa di assistiti ai quali, a fronte di un salario base universale, si fa credere che, ad esempio, la manutenzione del verde pubblico non è lavoro ma un hobby. Per i “codificatori” di Camaldoli l’innovazione tecnologica non deve portare al superamento del lavoro. Le innovazioni non possono e non devono sostituire l’Uomo, in tale ipotesi l’Uomo perderebbe la sua essenza. Sul tema del lavoro i redattori del “Codice” si spingono fino al punto di sostenere politiche di piena occupazione, l’art. 86 punto 2 Fini specifici della attività economica pubblica recita “creare condizioni perchè le forze di lavoro disponibili trovino un’adeguata occupazione (art. 55), promuovendo eventualmente attività economiche trascurate dalla iniziativa privata, giudicate profittevoli al bene comune”. Gli estensori del Codice di Camaldoli ritengono centrale la proprietà privata, il libero mercato, l’iniziativa imprenditoriale, ma nel contempo riconoscono i limiti insiti nell’iniziativa privata e nell’uso della proprietà privata; proprio per questa consapevolezza  attribuiscono allo Stato tanto il ruolo di ordinatore quanto quello di Stato imprenditore al fine di realizzare il bene comune.

Altri punti di convergenza si possono trovare in quanto riportato nel Capitolo V – Produzione e scambio. Sul tema gli autori del codice sono fin troppo chiari <<71. La giustizia sociale principio direttivo della vita economica. I beni materiali sono destinati da Dio a vantaggio comune di tutti gli uomini. Nel campo economico, la giustizia sociale si risolve, fondamentalmente, nella attuazione di questo principio. Appartiene quindi alla giustizia sociale di promuovere una equa ripartizione dei beni per cui non possa un individuo o una classe escludere altri dalla partecipazione ai beni comuni. A fondamento di tale equa distribuzione deve porsi una effettiva e non solo giuridica uguaglianza dei diritti e delle opportunità nel campo economico, per cui, tenuto conto delle ineliminabili differenze nelle doti personali, nell’intelligenza, nella volontà, sia attribuito a ciascuno il suo secondo giustizia e non secondo privilegi precostituiti o conferiti da un ordinamento che ostacoli taluni individui o gruppi sociali nello sforzo di migliorare le loro condizioni. ( …) La giustizia sociale si pone, perciò, quale concreta espressione del bene comune, come fine primario dello stato e di ogni altra autorità. Le esigenze della giustizia sociale legittimano dunque, in via primaria, l’intervento positivo dell’autorità nella vita economica, sia per promuovere, coordinare e limitare nell’interesse del bene comune le attività degli individui e delle comunità locali, regionali e professionali, sia per svolgere una diretta attività economica.>>

Questo passaggio ultimo, insieme agli altri, richiama quanto teorizzato dagli esponenti Ordoliberali negli anni 30[4] del secolo scorso da Walter Euchen, Alfred Muller – Armack fino a Wilhem Ropke. A differenza di quanto si pensa comunemente l’Ordoliberalismo, filosofia dalla quale trae origine l’Economia Sociale di mercato, non esclude affatto l’intervento dello Stato.  Il concetto di Stato ordinatore richiamato in diversi passaggi del Codice di Camaldoli non esclude che lo Stato possa farsi imprenditore. Tanto Muller – Armack quanto lo stesso Ropke contemplano una tale ipotesi. I limiti alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi sono a pieno titolo richiami presenti nell’Economia Sociale di Mercato. Se si considera che Il Codice di Camaldoli è stato il punto di riferimento per le politiche messe in campo prima dai governi centristi degli anni ‘50 e successivamente dai governi di centrosinistra degli anni ‘60, si comprendono il risanamento della finanza pubblica ma anche la nazionalizzazione dell’Energia elettrica e la stessa politica abitativa voluta dai Governi Fanfani e sostenuta oltre che dalla DC anche dal PSI.

In sintesi, potremmo dire che se il Socialismo e il Comunismo partono dalla dialettica tra borghesia e proletariato ipotizzando come sintesi il superamento del sistema Capitalista nel comunismo, la Dottrina Sociale della Chiesa, della quale il Codice di Camaldoli è parte integrante, ipotizza un sistema sociale fondato sulla persona in quanto parte integrante di un sistema sociale orientato al perseguimento del bene comune. Gli estensori del Codice di Camaldoli al fine di realizzare gli obiettivi contenuti nel programma fanno affidamento sulla forza morale che scaturisce dalla fede e quindi dall’adesione al Cattolicesimo. Il forte richiamo alla solidarietà, al bene comune, alla società come luogo dove la persona si realizza si pone come modello alternativo al neoliberalismo anglo-americano e al sistema delle economie pianificate proprie dei regimi totalitari. Con la questione ambientale e i richiami di Papa Francesco I, con la sua seconda Enciclica “Laudato Si’”, si amplia l’orizzonte ponendo in modo nuovo le questioni della giustizia sociale e della realizzazione del bene comune associandole alla tutela dell’ambiente. Leggendo la Carta dei Principi del M5S e provando ad interpretare il dibattito interno al PD e più in generale alle forze politiche e sociali che si dichiarano alternative alla destra, all’individualismo e al neoliberalismo l’incontro con il mondo Cattolico diventa fondamentale per la costruzione di una visione di Società capace di dare risposte adeguate ad una comunità sempre più allo sbando. Nulla di nuovo sotto il cielo. L’Italia Repubblicana e il patto costituzionale nascono dall’incontro dei grandi partiti di massa: DC, PCI e PSI, infatti le uniche vere riforme fatte in età repubblicana si sono avute proprio quando le culture politiche Cattolico Democratica, Comunista e Socialista hanno avuto modo di dialogare. Nei primi due decenni di questo secolo il contesto è molto cambiato, all’orizzonte c’è il pensiero forte offerto dalla Destra. Pertanto, o si mette in campo un pensiero forte alternativo al Neoliberalismo, all’Individualismo e al Nazionalismo oppure la Storia di questo Paese prenderà uno sviluppo completamente diverso rispetto alla prospettiva e ai principi sanciti in Costituzione. Gli errori fatti sono stati tanti, troppi; le classi dirigenti non sono state all’altezza o semplicemente sono state autoreferenziali. Bisogna ritornare all’autonomia della Politica ed una Politica autonoma ha bisogno di un pensiero forte che può trovare il suo humus solo nel passato.

[1] A.A.V.V. La Cassa per il Mezzogiorno- Quaderno SVIMEZ Numero Speciale ( 44)

[2] Gianni Marongiu. Storia del fisco in Italia I – II Vol. Ed. Einaudi

Storia dell’Italia Repubblicana  – La costruzione della Democrazia Vol. I ed. Einaudi

 

[3] Jeremy Rifkin. La fine del Lavoro. Ed. Mondadori

[4] Adelino Zanini. Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti. ( 1933 – 1973) ed. il Mulino 2022

Lorenzo Tesini. Stato forte ed economia ordinata. Storia dell’Ordoliberalismo ( 1929 – 1950) ed il Mulino 2023

Wilhem Ropke. Oltre la domanda e l’offerta. Ed. Rubbettino

Flavio Felice. Istituzioni, Persona e Mercato. La persona nel contesto del Liberalismo delle Regole. Ed. Rubbettino 2013

Flavio Felice. L’economia sociale di mercato. Ed. Rubbettino 2008

A cura di Francesco Totaro in Filosofia ed Economia. Markus Krienke. Economia.Cultura.Libertà. Ed. Morcelliana

A cura di Francesco Forte e Flavio Felice. Il Liberalismo delle regole. Genesi ed eredità sociale di mercato. Ed. Rubbettino.

Audio Rai.TV - Gr Parlamento - Il Codice di Camaldoli

Fonte foto: Rai.it (da Google)

11 commenti per “Il “Codice di Camaldoli”. Alcune riflessioni rispetto all’attualità

  1. Fabrizio Marchi
    29 Agosto 2023 at 21:40

    Capisco e condivido le ragioni che spingono il nostro redattore, oltre che amico e compagno, Gerardo Lisco, a ricercare dei punti di contatto con il mondo cattolico e in particolare con la sua componente più evoluta e provvista di una spiccata sensibilità sociale. Proprio Mario Tronti del resto, recentemente scomparso, sosteneva che la cesura fra Cristianesimo e Comunismo, dovuta ad una serie di oggettive ragioni di natura storica e politica, sia stata una sciagura della modernità. Non c’è dubbio, per come la vedo io, che proprio ai fini della costruzione di una nuova e auspicabile forza Socialista e di classe, sia necessario ricucire un filo sia con le masse cattoliche che con la parte migliore del pensiero cattolico e cristiano nel suo complesso.
    Fatta questa premessa, dissento però radicalmente dalle soluzioni politiche proposte che sono il risultato di un approccio analitico a mio parere sbagliato. E la cosa mi meraviglia perché so per certo che Gerardo stesso condivide la nostra analisi e la nostra strategia.
    Scrive testualmente Gerardo in chiusura del suo articolo:” Nei primi due decenni di questo secolo il contesto è molto cambiato, all’orizzonte c’è il pensiero forte offerto dalla Destra. Pertanto, o si mette in campo un pensiero forte alternativo al Neoliberalismo, all’Individualismo e al Nazionalismo oppure la Storia di questo Paese prenderà uno sviluppo completamente diverso rispetto alla prospettiva e ai principi sanciti in Costituzione”.
    Personalmente la vedo in modo diverso. Il mondo occidentale è oggi (e da almeno un trentennio, diciamo dal crollo del muro di Berlino, ma il processo era iniziato già prima) egemonizzato dall’ideologia neoliberale e politicamente corretta che, peraltro, attraversa trasversalmente sia la destra che la “sinistra”, ben al di là di chi è al governo. Proprio la rimozione dal suo incarico del generale Vannacci in seguito alla pubblicazione (un sostanziale atto politico) del suo libro ne è la conferma. Nel momento in cui i burattinai del pensiero neoliberal e politically correct hanno lanciato la fatwa il governo – Crosetto in testa che parlava per la Meloni – si è immediatamente allineato e coperto al diktat e senza fiatare.
    Oggi la crescita della destra, non solo in Italia ma in una buona parte del mondo occidentale, è dovuta proprio all’egemonia del pensiero neoliberal e politicamente corretto, martellato mediaticamente in modo asfissiante H24 quotidianamente. Molte persone, pur sprovviste di una autentica coscienza politica, reagiscono di “pancia”, come si suol dire, a questo martellamento in pieno stile “orwelliano” e si rivolgono alla destra sperando di trovarvi un rifugio o addirittura un’alternativa. Ovviamente non è così, perché la destra, neoliberista e atlantista quanto la “sinistra”, è parte organica del sistema. L’attuale “dialettica” fra destra e “sinistra” infatti, come abbiamo ripetuto più e più volte, è una sostanziale farsa che serve ad alimentare nella testa della gente la convinzione – peraltro sempre più debole – che ci troviamo ancora in un sistema democratico dove la partecipazione popolare è determinante, quando di fatto siamo invece in un sistema liberale o neoliberale e neo-oligarchico dove la dialettica politica è ridotta ad una sostanziale finzione tra forze del tutto organiche al sistema stesso.
    Se partiamo da questo assunto, non ha senso continuare ad insistere su una possibile “riforma” o “autoriforma” del PD che non è certo la soluzione ma parte del problema. Il PD è un avversario di classe, senza se e senza ma, né più e né meno della destra, e questo va ribadito sempre con forza, onde evitare di ingenerare confusione. Quanto al M5S, mi pare che la sua parabola sia di fatto esaurita. Al momento null’altro è se non una forza di supporto al PD, del tutto incapace, per suoi limiti oggettivi, di assumere una strategia politica autonoma e quindi di trasformarsi in una vera forza Socialista. Che poi ci siano molte persone in buona fede che votano questi partiti e con le quali è necessario dialogare e relazionarsi, non c’è alcun dubbio e, anzi, è proprio e anche quello che cerchiamo di fare da queste pagine, ma questo è un altro discorso. Proprio a tal fine, il nostro compito deve essere quello di denunciare la reale natura di quelle forze politiche, di squarciare il velo di Maya e mostrare il loro vero volto.
    L’obiezione potrebbe essere quella fondata sulla necessità di dare una risposta politica immediata e concreta, diciamo così, alla situazione. Se ci fosse la darei, ma non la vedo. Purtroppo non possiamo essere noi a dettare i tempi né questi ultimi si possono forzare. Ma, soprattutto, questa risposta politica NON può partire dalle forze politiche esistenti, per le ragioni spiegate sopra. Si tratta di lavorare pazientemente e faticosamente alla costruzione di una vera alternativa di classe, popolare e Socialista che al momento non esiste né possiamo sapere quando si verificheranno le condizioni per la sua costruzione. O meglio, le condizioni oggettive ci sarebbero anche, ma questo, come ci insegna il vecchio Lukacs, non è purtroppo sufficiente a determinare la loro evoluzione nel senso sperato. Per parte nostra – e questo è ciò che ci ha sempre animato fin da quando abbiamo deciso di mettere in reste questo giornale – non possiamo che sforzarci di lavorare in quella direzione e per quel fine. Ma questo presuppone una analisi chiara delle cose e, soprattutto, nessuna ambiguità tattica o tatticistica. Purtroppo non ci sono scorciatoie.

  2. gerardo lisco
    29 Agosto 2023 at 22:13

    Le critiche sono sempre ben accette e soprattutto utili. C’è un passaggio nel mio saggio breve, mi permetto di chiamarlo così, nel quale sostengo che il pensiero di Marx deve essere considerato solo come metodo di analisi non certamente come programma politico. Questo approccio penso che sia fondamentale al fine di tenere insieme istanze socialiste con la dottrina sociale della chiesa. È in questa possibile sintesi individuare una possibile proposta democratico – sociale. In questa prospettiva, pur troppo la soluzione non è in politiche economiche keynesiane. Bisogna provare a perseguire una qualche forma di ibridazione tra uno Stato che persegue l’ ordine tra le varie classi sociali e uno Stato che in determinati casi diventa imprenditore. Questa ibridazione ha un forte fondamento teorico nell’economia sociale di mercato. Non è questo l’ unico elemento utile a rafforzare i nostri ragionamenti. La dottrina sociale della chiesa nel contesto attuale è l’ unico pensiero forte in circolazione da contrapporre alla fluidità del liberalismo progressista rappresentato dal PD, dai Verdi e da Sinistra Italiana. Le mie riflessioni sono per così in costruzione per cui potrei integrare o modificare alcune affermazioni. Sia chiaro non parlo di revisioni ma di approfondimenti ulteriori. Chiudo con un esempio, negli ultimi anni l’ economia sociale di mercato è stata additata come la causa di tutti i mali eppure sul piano teorico, come dicevo, lascia aperta la possibilità anche all’idea di uno Stato che si fa imprenditore. In materia di lavoro rifiuta l” idea che possa essere considerato come una semplice merce. Altra cosa ancora rifiuta il marginalismo che è invece il fondamento del neoliberalismo angloamericano. Per usare un termine caro ai giuristi medievali, dopo decenni di destrutturazione del pensiero, per ristrutturare il pensiero bisogna fare l” esegesi dei testi e non solo. Ultima cosa e chiudo bisogna ad esempio liberarsi di Foucault e di tutti i foucaultiani. Grazie ancora a Fabrizio per le sue osservazioni. Sul PD e sul M5S concordo. Mentre il primo non ha più idee il secondo ha idee , carta dei principi in parte condivisibili ma è totalmente priva di classe dirigente.

  3. Andrea Vannini
    29 Agosto 2023 at 23:11

    Io penso che, oggi più che mai, sia viva l’ esigenza di una analisi concreta di una situazione concreta. La domanda da porsi è cosa è oggi l’ Italia? La risposta è che non è mai stata così tanto e solo una colonia senza nessuna sovranità e dignità (dal 1945 grazie alle guerre fasciste ma mai come ora) degli USA e della Ue. Che fare? (domanda cruciale per i comunisti, ma anche per i ‘patrioti’). Lottare per la difesa della costituzione (è dal 1948 che si dice e si fa’ +o-)? Certo, peccato che la costituzione sia morta assassinata. Non applicata, non rispettata, monomessa con le modifiche, tradita, nello spirito e nella lettera, con le leggi elettorali dagli anni ’90, ecc. Io penso che oggi, in questa italietta sia assai più utile e attuale porsi l’ obiettivo di dare vita a dei comitati di liberazione nazionale, con ciò che ne consegue…

  4. Mario Galati
    30 Agosto 2023 at 10:11

    Lascio perdere le considerazioni sulla scindibilità o meno delle analisi (nel pensiero marxiano) dalle sue conclusioni pratiche-programmatiche. Altrettanto faccio sulla sentita necessità di superare il pensiero debole postmodernista, ma con un arretramento di secoli (moralismo cattolico e trascendenza medievale) e ritenendolo compatibile col marxismo anche al di là di un piano tattico immediato e contingente.
    Per il resto concordo con Fabrizio Marchi.
    Vorrei invece fare un’osservazione sul concetto di ordoliberismo ed economia sociale di mercato, su cui Gerardo Lisco si sofferma.
    Non sono un conoscitore come lui di quegli autori, quindi potrei sbagliarmi. Ma da quello che so io l’economia sociale di mercato, alla base dell’U.E. tra l’altro, non implica che il mercato debba essere corretto dalle istanze sociali, ossia socializzato, bensì il suo contrario: ossia, che la società debba essere mercatizzata. Cioè, ogni aspetto della vita sociale deve essere regolata dai meccanismi di mercato. È una concezione mercatista totalitaria che corona conseguentemente il pensiero capitalistico liberista. La funzione dello stato è precisamente quella di predisporre il terreno perché tutto sia regolato dal mercato privato. Lo stato è il soggetto che dà le regole di mercato e vigila sulla sua osservanza (da ciò tutta la normativa antitrust e di tutela della concorrenza, per es ). Non per nulla gli studi di orientamento ordoliberista si chiamano ‘law and economics” e alla loro base c’è il teorema di Coase, con cui si sostiene e si dimostrerebbe che in un certo rapporto è preferibile e conveniente lasciare la soluzione alla trattativa tra i privati che hanno un interesse e lo stato deve favorire ciò annullando i costi di amministrazione.
    In sostanza, la socialità sarebbe il mercato, ossia, l’unica forma di relazione sociale sarebbe quella mercantile e lo stato avrebbe un ruolo attivo nel plasmare e garantire questa forma di relazione.
    È questo il vero pensiero totalitario, non quello che Lisco attribuisce alle economie pianificate statali socialiste.

    • Gerardo Lisco
      30 Agosto 2023 at 13:43

      se tu conoscessi le riflessioni teolgiche e sul diritto canonico che interessarono il mondo cattolico tra il XII e il XIV secolo non avresti fatto l’affermazione che hai fatto. Eco che era un profondo conoscitore di quei secoli riporta ne Il nome della Rosa quel confronto quando riporta il confronto tra francescani e domenicani a proposito di Cristo se fosse o no proprietario delle sue vesti. Coase con l’economia sociale non ha nulla a che vedere. C’è, a mio modesto parere, tra economia sociale di mercato e il neoliberalismo di stampo anglio- americano. Lunica cosa che accomumuna i due modelli economici attiene la teoria della formazione dei prezzi. Ti faccio notare che Jugoslavia di Tito al fine di evitare la produzione di beni e servizi che nessuno avrebbe acquistato introdusse il mercato e quindi la formazione dei prezzi.

  5. gerardo lisco
    30 Agosto 2023 at 14:21

    La mia impressione è che dell’economia sociale di mercato si ha una conoscenza per così dire non originaria. Di Eucken, Bohm, ecc non esistono traduzioni in lingua italiana. I testi sono in tedesco e si trova qualcosa in inglese. Dell’unico autore che è possibile leggere gli scritti in italiano è Ropke. Adelino Zanini mi risulta essere uno dei maggiori studiosi dell’economia sociale di mercato. Il saggio di Zanini l’ho indicato nella bibliografia. Su Sinistra in rete è stata pubblicata un’ottima recensione.

    • Mario Galati
      30 Agosto 2023 at 14:58

      Il libro di Ropke l’ho rinvenuto in un mercatino. Gli darò un’occhiata quando avrò tempo.
      Pur non essendo conoscitore della teologia medievale sono a conoscenza della messa in discussione della proprietà privata e del danaro nella teologia e in S. Tommaso.
      Ma non bisogna essere esperti di teologia medievale per non confondere moralismo aprioristico, trascendenza e metafisica con un approccio storico-materialistico e immanente al reale.
      Il maggior favore che si possa fare alla reazione è scivolare sul piano teorico, ossia, sul piano delle fondamenta della prassi.
      Se si pensa di fondare una prassi, non dico rivoluzionaria, ma quantomeno progressiva su fondamenta teoriche moralistiche e trascendenti, aprioristiche, credo che siamo completamente fuoristrada.
      Allora io dico a Gerardo Lisco che se, oltre ai teologi medievali e S. Tommaso, tenesse presenti, non solo citandoli, Marx e i marxisti (in primis Lenin), non avrei avuto bisogno di ricordare il fatto elementare dell’essenzialità dei principi teorici nell’azione pratica.
      Senza autonomia teorica non vi è autonomia pratica e viceversa.
      Sono d’accordo sulla necessità di un rapporto con i cattolici più progrediti, ma nella chiarezza e distinzione delle proprie posizioni e dei propri fini.
      Infine una domanda: quanto di sociale c’è nella “economia sociale di mercato” U.E., tranne l’enfasi e le petizioni verbali di principio, e quanto, invece, di diffusione della “libera” concorrenza, privatizzazioni, disoccupazione “naturale”, ecc.?
      E una precisazione: quando parlo di mercato, intendo “mercato capitalistico”, non forma mercantile semplice.

    • gerardo lisco
      30 Agosto 2023 at 18:04

      Mario Galati mi permetto di consigliarti la lettura sul sito Altalex un articolo di Guido Alpa sul significato di analisi economica del diritto. Permetto mescoli le due correnti di pensiero. Nessuno esponente ordoliberale ha mai pensato di ignorare le questioni sociali. È il punto di partenza ad essere diverso. Per l” ordoliberalismo/economia sociale di mercato, per i puristi non sono proprio la stessa li sovrappongono per semplificare, il mercato lasciato libero determina crisi economica, concentrazione della ricchezza in oligopolio e monopoli, pensano esalta il contrario del mercato che lasciato libero si autoregolamenta. Il neoliberalismo in primo si ispira al marginalismo, in secondo luogo teorizza che il mercato lasciato libero si autoregola. Per gli ordoliberali l’ intervento dello stato ordinatore e se necessario addirittura imprenditore è fondamentale, per i Neoliberali l’ intervento dello Stato è deleterio per il corretto funzionamento del mercato. Keynes dice ancora altro. L’ economia ha bisogno dell’intervento dello Stato nei momenti di crisi. L’ intervento dello Stato deve essere di tipo monetario. Lo Stato mettendo moneta in circolazione fa circolare tutti i fattori di produzione. Al di là di quanto comunemente si pensa Keynes non era per lo Stato imprenditore. Keynes pur approvando il new deal di Roosevelt non condivideva alcuni provvedimenti adottati tra questi , se non ricordo male non condivideva interventi come il tenesse Valley.

      • Mario Galati
        30 Agosto 2023 at 20:58

        Ringrazio Lisco per le indicazioni. Approfondirò un po’.
        Però credo che il Keynesismo non c’entri nulla con l’economia sociale di mercato. Quanto all’autoregolamentazione o meno del mercato, è proprio questo, mi sembra, il punto dirimente tra liberismo classico (in apparenza, perché nei fatti il ricorso allo stato come strumento capitalistico è forte e permanente nella prassi liberale e liberista) e l’ordoliberismo. Per quest’ultimo il mercato non va affatto lasciato a se stesso, per non generare monopoli, ecc.
        In questa azione dello stato la regolamentazione giuridica, la sorveglianza e la forza dello stato deve plasmare in senso mercantile privato concorrenziale tutta la società. Ecco perché i law and economics, ossia l’economia giuridica, sono un aspetto dell’ordoliberismo, se non il principale. Non è ciò che fa l’U.E.? E l’U.E. non pretende di realizzare l’economia sociale di mercato, come enunciato nei suoi principi?

  6. Giulio larosa
    30 Agosto 2023 at 19:56

    Ringrazio tutti per gli interessanti interventi. Uno scambio di opinioni con analisi di questo livello non le leggevo dai tempi di rinascita o assemblea negli anni 70 e primi 80 poi il buio. Grazie ancora

  7. gerardo lisco
    31 Agosto 2023 at 12:08

    Mario Galati, Keynes con l’ economia sociale di mercato non c’entra nulla. Non mi sembra di aver scritto qualcosa del genere. Chiedo scusa se ho indotto in errore qualcuno. Ho provato solo a differenziare le posizioni tra economia tra le tre teorie economiche. Proverò a scrivere qualcosa di più chiaro sul tema.

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