Tra il 18 e il 23 luglio del 1943, in pieno conflitto mondiale, con l’Italia stremata da tre anni di sconfitte, nel Convento di Camaldoli si riunì un gruppo di intellettuali cattolici che elaborò un documento programmatico quale base per la ricostruzione del Paese all’indomani della fine della guerra che molti ritenevano erroneamente prossima alla fine. Il documento che prese il nome di “Codice di Camaldoli” venne pubblicato solo nel 1945 dalla Rivista di Azione Cattolica. Tra organizzatori e partecipanti si annoverano personaggi che diventeranno importanti esponenti della DC andando a ricoprire incarichi di primo piano nella Prima Repubblica: Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Guido Gonella, Giorgio La Pira, Paolo Emilio Taiani, Aldo Moro, Giulio Andreotti, solo per citarne alcuni. Alcuni dei personaggi richiamati hanno legato il proprio nome ad iniziative che hanno segnato in positivo la Storia della “Prima Repubblica”.
L’economista Pasquale Saraceno ha fondato la SVIMEZ ed è stato uno dei più convinti sostenitori della Cassa per il Mezzogiorno[1] inaugurando la nuova stagione del meridionalismo. Ezio Vanoni, anch’egli economista, per la precisione docente di Scienza delle Finanze e Diritto Finanziario, materia quasi scomparsa dalle Università italiane, un tempo obbligatoria per chi intraprendeva studi giuridici o economici, ha legato il proprio nome alla Riforma Vanoni che modificò il nostro sistema tributario[2]. Significativo il nome della Legge “Norme sulla perequazione tributaria e sul rilevamento fiscale straordinario“. Con tale legge venne resa obbligatoria la dichiarazione dei redditi e la diminuzione delle aliquote sulle quali calcolare le imposte favorì i lavoratori dipendenti e vide il gettito fiscale aumentare di due volte e mezzo. Giorgio La Pira, parlamentare e sindaco di Firenze, è da ricordare per la profonda fede che tradusse in azione politica ed amministrativa. Il suo impegno a difesa della Pace e del Disarmo possiamo considerarlo epico, intervenne a favore della pace addirittura al Soviet Supremo a Mosca. C’è un episodio particolarmente significativo ed è la risposta data a don Luigi Sturzo che lo accusava di essere statalista e un “comunista bianco”. La Pira gli rispose semplicemente «10000 disoccupati, 3000 sfrattati, 17000 libretti di povertà. Poi le considerazioni: …cosa deve fare il sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: “scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma interclassista?”». I nomi che ho richiamato hanno contribuito a fare la Storia dell’Italia repubblicana. Il Codice di Camaldoli è cosa nota che nasce negli ambienti dell’Azione Cattolica ed è sostanzialmente il documento culturale e politico che ha dato origine alla Democrazia Cristiana. Questa mia riflessione non vuol essere una celebrazione postuma di quel partito, una formazione politica che nel bene e nel male ha egemonizzato la vita politica della Prima Repubblica prima di scomparire dal quadro politico nazionale insieme agli altri partiti natidalla Resistenza che avevano trovato nei valori condivisi della Costituzione un comune punto di riferimento, ma semplicemente una riflessione per provare a capire quanto è ancora attuale “Il Codice di Camaldoli”.
Oggi in molti, come succede per il Comunismo e il Socialismo, si richiamano alla cultura politica che fu appunto della “Balena Bianca”, lo stesso PD a guida Renzi tentò di passare come erede del Codice di Camaldoli cogliendo l’estemporanea dichiarazione della Boschi quando dichiarò di ammirare Fanfani. Poco credibile di fronte ad un PD renziano spostato non al centro ma su politiche neoliberali che ancora pesano come un macigno sulla credibilità del PD quale partito, non di sinistra, ma di centrosinistra. La società italiana e il contesto internazionale sono mutati, il ruolo stesso della Chiesa, a fronte della secolarizzazione della società e di una post modernità nichilista, appare annebbiato, e questo nonostante una personalità di rilievo come Papa Francesco I; mi sono chiesto se a distanza di ottanta anni dalla sua redazione il “Codice di Camaldoli “ possa essere ancora un punto di riferimento non solo per i cattolici ma anche per le Sinistre e più in generale per un’area politica progressista, come riferimento per un nuovo patto, per così dire, Costituzionale.
Il “Codice di Camaldoli “ è complesso e ricco di spunti per riflessioni che investono questioni teologiche, etiche, economiche e politiche, per cui mi sono limitato ad analizzare e richiamare solo alcuni punti. Quelli che a mio modesto parere potrebbero essere presi, ancora una volta, come punti di riferimento per la costruzione di un’alternativa politica e culturale alle destre. Mi scuso in anticipo per la semplificazione che dovrò operare rispetto ad alcune questioni che affronterò.
Per chi ha una impostazione marxiana, è del tutto evidente che passare da una interpretazione della Storia come lotta di classe ad una interpretazione della Storia che parte dalla rivelazione cristiana e in modo particolare con il richiamo alla Summa Politicorum I, 1 e alla Summa Eticorum I, 13 di San Tommaso d’Aquino, diventa difficile ma non impossibile da superare se al centro viene posto l’Uomo in relazione alla Società. Il “Codice di Camaldoli esordisce << 1.L’uomo è un essere essenzialmente socievole: le esigenze del suo spirito e i bisogni del suo corpo non possono essere soddisfatti che nella convivenza. Sennonché la convivenza familiare e la solidarietà dei gruppi intermedi sono insufficienti: perché l’essere umano abbia possibilità adeguate di vita e di sviluppo occorre che le famiglie si uniscano tra di loro a costituire la società civile. La quale perciò proviene direttamente dalla natura dell’uomo, remotamente da Dio che ha creato l’uomo socievole.
- La società però non si può conservare nè sviluppare senza un principio cosciente e volitivo che ne precisi in concreto il fine e vi coordini le attività dei singoli: tale principio è la sovranità che si personifica nello Stato. Per cui lo Stato è pure una formazione dello spirito umano nel senso che mai sorgerebbe se l’uomo non fosse anche spirito, non è però una formazione arbitraria giacché l’uomo è determinante a trarlo all’esistenza da necessità imprescindibili di natura (S. Tomm. Politicorum I, 1).
- La ragione per la quale l’uomo non può fungere soltanto da membro nell’organismo sociale è che egli, quale essere spirituale, è preordinato a un fine che trascende ogni umana istituzione, lo Stato compreso; e cioè preordinato a Dio: “homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua. sed totum quod homo est, et quod potest et habet ordinandum est ad Deum” (S. Tomm. I, II” XXI, 4, ad III). Per cui se risponde alla natura dell’uomo unirsi quale membro attivo nell’organismo sociale, risponde pure all’essenza della società non assorbire l’uomo fino ad annullarlo; ma la sua ragion d’essere sta nel creargli l’ambiente migliore per il suo perfezionamento integrale (Pio XI nella Mit brennender Sorge, 8). >>
La distanza tra queste posizioni, come dicevo, e la cultura politica comunemente considerata come di Sinistra può essere superata se ci si limita ad utilizzare il pensiero di Marx come metodologia di analisi delle condizioni materiali e le proposte programmatiche presenti nel “Codice di Camaldoli” come azione politica finalizzata da una parte al superamento delle disuguaglianze sociali e dello sfruttamento da parte del sistema liberal capitalista, dall’altra al rafforzamento della Democrazia politica, della Democrazia economica e alla costruzione di un sistema dove ciascuna Persona possa avere modo di realizzarsi contribuendo al miglioramento delle condizioni sociali nel suo complesso. A differenza del Socialismo e del Comunismo che nascono come antitesi del Liberalismo e del Capitalismo, il Codice di Camaldoli affonda le sue radici più indietro nella storia. I richiami alla giustizia commutativa e redistributiva, al diritto di resistenza a una legge ingiusta dello Stato, come le riflessioni sui beni comuni, sulla ricchezza e sulla proprietà privata ci portano indietro alla Scolastica Francescana e più in generale al dibattito teologico, giuridico e filosofico che interessò la Chiesa tra il XII e il XIV secolo. Il diritto di resistenza ad una legge ingiusta dello Stato è il fondamento giuridico e teologico che sta alla base della concessione della Magna Carta. Ai fini della concessione della seconda Magna Carta da parte del re d’ Inghilterra Enrico III l’inviato pontificio Guala Bicchieri ebbe un ruolo importante, questo per sottolineare il ruolo avuto dalla Teologia e dal Diritto Canonico rispetto alla Modernità. L’idea politica contenuta nella Magna Carta è il punto di partenza che nel corso dei secoli porterà alla nascita dello Stato moderno e del Liberalismo. Radici antiche, dicevo, ma nel contempo i richiami alla Rerum Novarum di Papa Leone XIII e al Codice di Malines rendono il Codice di Camaldoli parte integrante della Dottrina sociale della Chiesa. Quali sono quindi gli elementi sui quali è possibile costruire un progetto alternativo capace di tenere insieme un polo progressista alternativo alla destra? Ne cito alcuni. Il primo è sicuramente il lavoro.
L’art. 55 del Codice di Camaldoli riporta <<Diritto al lavoro; sua dignità. Risponde a un principio di giustizia naturale che ogni uomo possa attingere ai beni materiali disponibili sulla terra quanto necessario per un pieno sviluppo delle sue energie individuali e di quelle dei familiari ai quali egli deve provvedere. Una società bene ordinata deve dare perciò a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia.>>
In un contesto come quello attuale porre al centro il lavoro diventa fondamentale. Bene ha fatto il Presidente della Corte Costituzionale, la giurista Silvana Sciarra, intervenendo sul tema al Meeting di CL, a dichiarare che il lavoro è fondamentale ai fini del mantenimento della Democrazia. Per capirlo è sufficiente leggere gli artt. 1, 3 e 4 della Costituzione. L’Italia non solo è una Repubblica fondata sul lavoro, suo compito è “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, “ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. I tre articoli della Costituzione che ho richiamato sono fondamentali perché in sé contengono il presupposto per politiche economiche funzionali ad una Democrazia sostanziale. Lavoro, partecipazione politica, giustizia sociale, perseguimento del bene comune, ruolo dello Stato in economia, funzione sociale della proprietà privata, tutela della piccola proprietà e della piccola impresa in contrapposizione alle degenerazioni oligopolistiche e monopolistiche, sono tutti temi presenti nel Codice di Camaldoli e trovano riscontro nella Costituzione Repubblicana. Su alcune questioni oggetto di confronto politico gli estensori del Codice di Camaldoli appaiono anche più avanti rispetto a rivendicazioni che mettono in discussione, inconsapevolmente o in mala fede, il lavoro come fondamento della Democrazia. Penso al tema della giusta retribuzione e del Reddito di Cittadinanza. L’art. 57 del Codice di Camaldoli riporta <<Elementi del giusto salario. La natura dei bisogni umani non consente di indicare in via assoluta la quantità di sussistenze indispensabile all’uomo, e quindi la retribuzione minima del lavoratore; non vi è dubbio, d’altro canto, che in una data situazione storica, le condizioni economiche generali indicano il livello di retribuzione al di sotto del quale la giustizia sociale non permette di scendere.>>
Altro tema quello della Democrazia economica, ossia la partecipazione del lavoratore al governo delle aziende attraverso << la partecipazione alla nomina degli organi di controllo (…)>>. Sempre in merito al lavoro è la relazione tra questo e l’innovazione tecnologica un elemento sul quale riflettere al fine di evitare un’interpretazione ideologica e fuorviante delle innovazioni tecnologiche. Una certa narrazione sostiene che l’innovazione tecnologica porterà in prospettiva alla “Fine del Lavoro”[3], in sostanza il lavoratore non verrà liberato dalla sfruttamento ma dal lavoro stesso. Pensare di risolvere il problema della scarsità di lavoro o della fine stessa del lavoro prevedendo l’introduzione di un salario minimo universale da attribuire a tutti i cittadini equivale a minare il fondamento stesso della Democrazia oltre che a snaturare l’Uomo. E poi, siamo davvero sicuri che il lavoro scomparirà, che la tecnologia sostituirà completamente l’Uomo? Se analizziamo il contesto scopriamo che siamo in presenza di tendenze uguali e contrarie. Il lavoro diventa sempre più performativo, vengono chieste continuamente maggiore flessibilità e maggiore disponibilità, l’età pensionabile viene allungata, di contro esistono attività che richiedono lavoro ma si tende a farle passare come non lavoro. Il pericolo è che il lavoro finisca con l’identificare lo status sociale della classe egemone che, proprio perché lavora, concentra, legittimamente, in sé il potere economico e politico e lo esercita su una massa di assistiti ai quali, a fronte di un salario base universale, si fa credere che, ad esempio, la manutenzione del verde pubblico non è lavoro ma un hobby. Per i “codificatori” di Camaldoli l’innovazione tecnologica non deve portare al superamento del lavoro. Le innovazioni non possono e non devono sostituire l’Uomo, in tale ipotesi l’Uomo perderebbe la sua essenza. Sul tema del lavoro i redattori del “Codice” si spingono fino al punto di sostenere politiche di piena occupazione, l’art. 86 punto 2 Fini specifici della attività economica pubblica recita “creare condizioni perchè le forze di lavoro disponibili trovino un’adeguata occupazione (art. 55), promuovendo eventualmente attività economiche trascurate dalla iniziativa privata, giudicate profittevoli al bene comune”. Gli estensori del Codice di Camaldoli ritengono centrale la proprietà privata, il libero mercato, l’iniziativa imprenditoriale, ma nel contempo riconoscono i limiti insiti nell’iniziativa privata e nell’uso della proprietà privata; proprio per questa consapevolezza attribuiscono allo Stato tanto il ruolo di ordinatore quanto quello di Stato imprenditore al fine di realizzare il bene comune.
Altri punti di convergenza si possono trovare in quanto riportato nel Capitolo V – Produzione e scambio. Sul tema gli autori del codice sono fin troppo chiari <<71. La giustizia sociale principio direttivo della vita economica. I beni materiali sono destinati da Dio a vantaggio comune di tutti gli uomini. Nel campo economico, la giustizia sociale si risolve, fondamentalmente, nella attuazione di questo principio. Appartiene quindi alla giustizia sociale di promuovere una equa ripartizione dei beni per cui non possa un individuo o una classe escludere altri dalla partecipazione ai beni comuni. A fondamento di tale equa distribuzione deve porsi una effettiva e non solo giuridica uguaglianza dei diritti e delle opportunità nel campo economico, per cui, tenuto conto delle ineliminabili differenze nelle doti personali, nell’intelligenza, nella volontà, sia attribuito a ciascuno il suo secondo giustizia e non secondo privilegi precostituiti o conferiti da un ordinamento che ostacoli taluni individui o gruppi sociali nello sforzo di migliorare le loro condizioni. ( …) La giustizia sociale si pone, perciò, quale concreta espressione del bene comune, come fine primario dello stato e di ogni altra autorità. Le esigenze della giustizia sociale legittimano dunque, in via primaria, l’intervento positivo dell’autorità nella vita economica, sia per promuovere, coordinare e limitare nell’interesse del bene comune le attività degli individui e delle comunità locali, regionali e professionali, sia per svolgere una diretta attività economica.>>
Questo passaggio ultimo, insieme agli altri, richiama quanto teorizzato dagli esponenti Ordoliberali negli anni 30[4] del secolo scorso da Walter Euchen, Alfred Muller – Armack fino a Wilhem Ropke. A differenza di quanto si pensa comunemente l’Ordoliberalismo, filosofia dalla quale trae origine l’Economia Sociale di mercato, non esclude affatto l’intervento dello Stato. Il concetto di Stato ordinatore richiamato in diversi passaggi del Codice di Camaldoli non esclude che lo Stato possa farsi imprenditore. Tanto Muller – Armack quanto lo stesso Ropke contemplano una tale ipotesi. I limiti alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi sono a pieno titolo richiami presenti nell’Economia Sociale di Mercato. Se si considera che Il Codice di Camaldoli è stato il punto di riferimento per le politiche messe in campo prima dai governi centristi degli anni ‘50 e successivamente dai governi di centrosinistra degli anni ‘60, si comprendono il risanamento della finanza pubblica ma anche la nazionalizzazione dell’Energia elettrica e la stessa politica abitativa voluta dai Governi Fanfani e sostenuta oltre che dalla DC anche dal PSI.
In sintesi, potremmo dire che se il Socialismo e il Comunismo partono dalla dialettica tra borghesia e proletariato ipotizzando come sintesi il superamento del sistema Capitalista nel comunismo, la Dottrina Sociale della Chiesa, della quale il Codice di Camaldoli è parte integrante, ipotizza un sistema sociale fondato sulla persona in quanto parte integrante di un sistema sociale orientato al perseguimento del bene comune. Gli estensori del Codice di Camaldoli al fine di realizzare gli obiettivi contenuti nel programma fanno affidamento sulla forza morale che scaturisce dalla fede e quindi dall’adesione al Cattolicesimo. Il forte richiamo alla solidarietà, al bene comune, alla società come luogo dove la persona si realizza si pone come modello alternativo al neoliberalismo anglo-americano e al sistema delle economie pianificate proprie dei regimi totalitari. Con la questione ambientale e i richiami di Papa Francesco I, con la sua seconda Enciclica “Laudato Si’”, si amplia l’orizzonte ponendo in modo nuovo le questioni della giustizia sociale e della realizzazione del bene comune associandole alla tutela dell’ambiente. Leggendo la Carta dei Principi del M5S e provando ad interpretare il dibattito interno al PD e più in generale alle forze politiche e sociali che si dichiarano alternative alla destra, all’individualismo e al neoliberalismo l’incontro con il mondo Cattolico diventa fondamentale per la costruzione di una visione di Società capace di dare risposte adeguate ad una comunità sempre più allo sbando. Nulla di nuovo sotto il cielo. L’Italia Repubblicana e il patto costituzionale nascono dall’incontro dei grandi partiti di massa: DC, PCI e PSI, infatti le uniche vere riforme fatte in età repubblicana si sono avute proprio quando le culture politiche Cattolico Democratica, Comunista e Socialista hanno avuto modo di dialogare. Nei primi due decenni di questo secolo il contesto è molto cambiato, all’orizzonte c’è il pensiero forte offerto dalla Destra. Pertanto, o si mette in campo un pensiero forte alternativo al Neoliberalismo, all’Individualismo e al Nazionalismo oppure la Storia di questo Paese prenderà uno sviluppo completamente diverso rispetto alla prospettiva e ai principi sanciti in Costituzione. Gli errori fatti sono stati tanti, troppi; le classi dirigenti non sono state all’altezza o semplicemente sono state autoreferenziali. Bisogna ritornare all’autonomia della Politica ed una Politica autonoma ha bisogno di un pensiero forte che può trovare il suo humus solo nel passato.
[1] A.A.V.V. La Cassa per il Mezzogiorno- Quaderno SVIMEZ Numero Speciale ( 44)
[2] Gianni Marongiu. Storia del fisco in Italia I – II Vol. Ed. Einaudi
Storia dell’Italia Repubblicana – La costruzione della Democrazia Vol. I ed. Einaudi
[3] Jeremy Rifkin. La fine del Lavoro. Ed. Mondadori
[4] Adelino Zanini. Ordoliberalismo. Costituzione e critica dei concetti. ( 1933 – 1973) ed. il Mulino 2022
Lorenzo Tesini. Stato forte ed economia ordinata. Storia dell’Ordoliberalismo ( 1929 – 1950) ed il Mulino 2023
Wilhem Ropke. Oltre la domanda e l’offerta. Ed. Rubbettino
Flavio Felice. Istituzioni, Persona e Mercato. La persona nel contesto del Liberalismo delle Regole. Ed. Rubbettino 2013
Flavio Felice. L’economia sociale di mercato. Ed. Rubbettino 2008
A cura di Francesco Totaro in Filosofia ed Economia. Markus Krienke. Economia.Cultura.Libertà. Ed. Morcelliana
A cura di Francesco Forte e Flavio Felice. Il Liberalismo delle regole. Genesi ed eredità sociale di mercato. Ed. Rubbettino.
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