Certo la mia è una domanda inutile forse senza risposta. Elena Greco, la protagonista del ciclo di romanzi di successo “L’amica geniale” [1] della scrittrice ‘misteriosa’ Elena Ferrante è ormai, nella finzione letteraria, una tranquilla signora di 70 e passa anni che ha in fondo vissuto una vita ricca di successi e che si avvia ad un tramonto sereno, sereno ancor di più vista la conclusione dell’ultimo libro in cui ritrova in qualche modo una traccia, un segno del suo alter-ego, la co-protagonista Raffaella ‘Lila” Cerullo, un tempo bambina prodigio e poi donna dalle eccezionali capacità, ma anche lei adesso sicuramente una signora attempata e un poco fuori dai tempi.
Allora perché porsi questa domanda? Un po’ retorica forse perché la risposta, posso darvela in anticipo, è che io credo che voterebbe PD, come i tanti intellettuali che hanno attraversato quel mezzo secolo abbondante che ci separa dalla fine della seconda guerra mondiale e che hanno prima creduto in un cambiamento sociale, una rivoluzione, che portasse verso una società più equa e giusta, e poi, sull’onda del riflusso, della vittoria del neoliberalismo, hanno comunque continuato a identificarsi in un’idea che politicamente è andata pian piano svanendo, disperdendosi nei mille rivoli di ideologismi deboli, incapaci di cambiare la deriva sociale imposta dalle ulteriori “mutazioni antropologiche” e per la mera coazione a ripetere hanno continuato a identificare le residue speranze di equità con la “sinistra” odierna. Perché allora? Perché il ciclo dell’”amica geniale”, oltre ad essere un racconto d’amicizia, e insieme di ‘cose umane’ come amore e odio, che attraversa tutto quel mezzo secolo è anche un libro da leggere perché riguarda anche l’evoluzione dell’idea di sinistra dal dopoguerra fino ad oggi. Vediamo un poco perché.
Per chi non ha letto il libro devo avvisare che non è possibile evitare le anticipazioni, chi non le ama dovrebbe leggere prima i quattro libri (o almeno il primo e gli ultimi due). Inoltre non viene data una valutazione dell’opera in senso letterario (non sono un critico) forse non un capolavoro, ma in generale un romanzo piacevole con degli alti e bassi dovuti forse alla lunghezza e comunque migliore nel primo e nell’ultimo libro [2]. Il “dramma” napoletano o il mistero legato alla vera identità dell’autrice che affascina a quanto pare i lettori americani (e, soprattutto il secondo, i critici italiani) può forse spiegare il successo internazionale, come gli altri numerosi temi (la scrittura “femminile”, la relazione con i primi romanzi della Ferrante, e molto altro) non saranno trattati qui.
L’”amica geniale” è la storia di Elena Greco e Raffaella Cerullo, conosciute con i soprannomi di Lena e Lila, nate in un quartiere popolare di Napoli verso la fine della guerra. Nei duri anni cinquanta crescono insieme e vanno alla scuola elementare, in quegli anni Elena scopre in Lila una bambina dotata di una intelligenza ed una comprensione del mondo eccezionali di gran lunga superiori a tutti gli altri bambini compresi quelli di famiglie più agiate, ma Lila a causa della povertà della famiglia non potrà proseguire negli studi, mentre Elena con successo crescente riuscirà a scalare la china, a uscire dal quartiere ghetto e arrivare ai massimi livelli laureandosi in lettere alla Normale. Ma tutto quello che Elena realizzerà nella vita sarà sempre sotto il segno di Lila, il modo di ragionare, di provare interesse, di analisi e di sintesi, verrà tutto dall’amica, compreso l’interesse per la letteratura e la scrittura (Elena sarà una scrittrice, un esito un poco scontato, ma coerente). Lila sarà per tutta la vita di Elena il modello amato e odiato, da imitare o da rifiutare per diventare se stessa. Elena in un certo senso “vincerà”, si “tirerà fuori”, sposerà un giovane professore ordinario di una influente famiglia socialista, da cui poi divorzierà, avrà tre figlie che seguiranno le orme dei genitori (l’ultima figlia fuori dal matrimonio, ma anche lei figlia di un uomo di successo) e che vivranno tra Harward, Parigi e il mondo, integrandosi perfettamente nel modello neoliberale. Lila invece resterà nel quartiere a lottare contro la camorra, il neo-fascismo, sarà operaia negli anni delle lotte sociali e poi a sua volta piccola imprenditrice fin quando un evento drammatico al quale si aggiungono la solitudine ed un figlio fallito senza un’ombra del genio materno, la renderanno quasi trasparente come lei stessa in più di un’occasione afferma di voler diventare. Ma per quanto Lila affermi che Elena è la sua “amica geniale” più di una volta nell’arco dei quattro libri, questa affermazione ci lascia un sapore strano perché l’amica geniale non può essere che lei stessa, Lila.
Lo sfondo è la metropoli partenopea, poi, seguendo Elena, l’Italia e il mondo. Ma Napoli entra in modo prepotente in questo racconto prima con un lungo elenco di personaggi secondari che hanno una parte importante nella vita di Elena e Lila. In primo luogo i coetanei del quartiere che prenderanno strade a volte molto diverse, divisi tra la destra, ancora monarchica e poi collusa con la camorra locale in ascesa, e dall’altro lato il radicalizzarsi della politica fino alla lotta armata. Ma tutti, inizialmente pienamente coscienti di essere “plebe” o popolo, in contrapposizione a quelli “di là” i borghesi di cui i primi aspirano a imitarne i modi e la vita, ed i secondi a combatterli. In seconda battuta, la cerchia di piccolo cabotaggio intellettuale che ruota attorno ai quotidiani locali di destra come il Roma esemplificata dal poetuncolo e giornalista a tempo perso Sarratore, cerchia da cui però uscirà il figlio di Sarratore, Nino, personaggio importante, che avrà una relazione con Lila, che lo brucia quasi immediatamente, ed una con Elena molto più tarda, sessantottino finirà poi rieletto nel 94 in un “partito di centro destra” dopo essere stato deputato socialista. Infine gli intellettuali e gli studenti del sessantotto che Lila inquadrerà molto bene. La metropoli vi entrerà anche con tutti i duemila anni di storia, con la sua immutabilità, gli steccati che da sempre dividono le classi e che non sembrano essere scalfiti nè dalla parte degli operai nè da quella degli studenti ed intellettuali durante l’effimera stagione del 68. Elena attraverserà tutte le lotte politiche del ventennio 60-70 ritrovandosi a scrivere un primo romanzo (poi scoprirà essere null’altro che un’idea di Lila scritta a dieci anni e che mai vedrà la luce) per l’epoca considerato “spinto” e quindi “progressista” che la spingerà a occuparsi di politica in quella vasta area tra il PCI e le formazioni di estrema sinistra (inizialmente facendo anche “indagine” con influenze evidentemente operaiste). Vivrà fuori la città per un periodo abbastanza lungo, ma nonostante questo il senso di provincialismo l’accompagnerà sempre in tutta Italia e solo quando andrà regolarmente all’estero lo sentirà attenuarsi.
Elena Greco mette tutta la sua costanza e la sua abnegazione che l’ha portata avanti negli studi a “tirarsi fuori”, “farcela”, uscire dal degrado e dalla violenza del posto in cui è nata: la Napoli del secondo dopoguerra. Ma come appare a lei stessa questo significa anche che l’incipiente rivoluzione, la lotta per la giustizia sociale le scivolano addosso come se fossero un eco delle sue vere aspirazioni tra le quali ricorre anche l’idea di doversi distaccare dall’amica, amata e odiata, Lila. Quando giunge il riflusso degli anni ottanta ormai è una scrittrice abbastanza affermata e anche se per un lungo periodo tornerà a vivere a Napoli, persino nel suo antico quartiere vicino all’amica, sarà comunque il mondo il suo vero centro e palcoscenico di vita. Elena si è completamente “tirata fuori” dalla sua origine plebea, in questo si è perfettamente realizzato il suo sogno infantile. Rivolta e rivoluzione sono passate. Le figlie finiranno ad Harward e a Parigi. L’intellighenzia organica, alla quale bene o male lei dovrebbe appartenere, molto più dei poetuncoli o degli arrivisti come Nino, diventa un vestito, un habitus da mettere ma togliere poi nel più profondo dell’io dove le aspirazioni, intime, sono altre. E’ impressionante che mentre scrive un pamphlet femminista ricade nell’amore per il viscido Nino per il quale ogni donna è nella sua essenza un buco. Questa scissione tra quella che dovrebbe essere la prassi e le attese intime e psicologiche è tipica della fase che si apre col riflusso e col definitivo trionfo delle concezioni neo-borghesi. L’individualismo desiderante diventa il meccanismo principale dell’esistenza in contrapposizione all’idea di assenza e di limite, senza dire dell’identità di classe ormai messa nel dimenticatoio della storia. Privi di un aggancio preciso alla storia e all’identità anche molti intellettuali ormai nuotano in un mondo liquido seguendo solamente gli impulsi della propria psiche.
Elena, che non è una stupida, si rende perfettamente conto dello stato delle cose, sebbene si lasci trascinare dentro il gioco. Il passo sulla “medietà” descrive perfettamente questo stato: “Mi prese bonariamente in giro per il mio tenermi sempre, secondo lui, su posizioni mediane. Ironizzò sul mio mezzo femminismo, sul mio mezzo marxismo, sul mio mezzo freudismo, sul mio mezzo foucaultismo, sul mio mezzo sovversivismo.” (Storia della bambina perduta.) Ecco la dissoluzione del patrimonio di equità e giustizia della sinistra nei mille -ismi del novecento, all’inseguimento di forme di pensiero che si sono aperte sempre di più all’uso che se ne fa oggi nel capitalismo c.d. assoluto, dove persino il “sovversivo” appare programmato nell’ambito di ben determinati canali e finisce per essere appunto un “mezzo sovversivismo”.
Interessante è anche il confronto di Elena con le proprie figlie, ormai adulte, e i loro compagni “Avevo seguito passo passo il mio tempo, inventando storie, riflettendo. Avevo indicato mali, li avevo messi in scena. Avevo prefigurato non so quante volte mutamenti salvifici che però non erano mai arrivati. Avevo usato la lingua di tutti i giorni per indicare cose di tutti i giorni. Avevo calcato su certi temi: il lavoro, i conflitti di classe, il femminismo, gli emarginati. Ora ascoltavo frasi mie scelte a caso e le sentivo imbarazzanti. Elsa – Dede era più rispettosa, Imma più cauta – leggeva con piglio ironico dal mio primo romanzo, leggeva dal racconto sull’invenzione delle donne da parte dei maschi, leggeva da libri pluripremiati. La sua voce metteva abilmente in rilievo difetti, eccessi, toni troppo esclamativi, la vecchiaia di ideologie che avevo sostenuto come indiscutibili verità. Soprattutto si soffermava divertita sul lessico, ripeteva due o tre volte parole che da tempo erano passate di moda e suonavano insensate.” (Storia della bambina perduta.)
Ma d’altra parte all’inizio del riflusso, negli anni 80, il suo vecchio amico Franco Mari, che morirà suicida in un mondo che non conosce più: “Parlava di politica – l’unico suo vero interesse – senza la convinzione e la passione di una volta, anzi aveva accentuato la tendenza a prendere in giro il suo stesso cupo profetizzare sventure. Mi elencava con toni esagerati i disastri secondo lui in arrivo: uno, il tramonto del soggetto rivoluzionario per eccellenza, la classe operaia; due, la dispersione definitiva del patrimonio politico di socialisti e comunisti, già snaturati da quel loro quotidiano litigarsi il ruolo di stampella del capitale; tre, la fine di ogni ipotesi di cambiamento, ciò che c’era c’era e avremmo dovuto adattarci.” (Storia della bambina perduta.)
Con Lila l’autrice Elena Ferrante crea un’icona completamente nuova tra il popolare e il colto. Mentre di Elena Greco c’è ne sono tante, Lila è un personaggio immaginario probabilmente mai esistito, sembra più la personificazione di un principio del pensiero. La sua presa sulla realtà materiale è tanto forte che essa finisce addirittura per crearle quelle che lei chiama “smarginature” come se un eccesso di realtà debordasse nella sua mente [3]. Non c’è campo in cui Lila non possa eccellere. Il suo limite viene solo dal fatto di non aver continuato negli studi e per tale motivo ella manca di continuità e organizzazione, l’applicazione del suo genio è incostante e alternata, e persino cattiva quando vuole (il facile pietismo “debolista” di Elena non sfiora minimamente Lila). Quando analizza qualcosa a cui dedica attenzione Lila è virtualmente infallibile, in questo passo comprende perfettamente da operaia la distanza tra lo “studentame” e le fabbriche: “Quindi andò via frastornata, con l’impressione di essersi esposta troppo a persone sì di animo buono, ma che, anche se capivano tutto in astratto, in concreto non potevano capirla. Io so – le restò in testa senza diventare suono –, io so cosa significa la vita agiata piena di buone intenzioni, tu nemmeno immagini cos’è la miseria vera.” (Storia di chi fugge e chi resta.)
Mette in guardia Elena da Nino, con il quale ha avuto una storia anni prima, unica donna che abbia compreso la sua viscida indifferenza: “Tu butti via tutto quello che sei per Nino? Tu rovini la tua famiglia per quello lì? Sai che cosa ti succederà? Ti userà, ti succhierà il sangue, ti toglierà la voglia di vivere e ti abbandonerà. Perché hai studiato tanto? A che cazzo è servito immaginarmi che ti saresti goduta una vita bellissima anche per me? Ho sbagliato, sei una cretina”. (Storia di chi fugge e chi resta.) Naturalmente succederà esattamente quello che Lila aveva previsto.
Dopo le lotte operaie Lila è divenuta prima programmatrice e poi imprenditrice nel campo nascente dei computer. Il genio di Lila, il principio che essa rappresenta fa pensare al “general intellect” marxiano, riveduto e corretto dalla lettura operaista di Paolo Virno [4] in quanto dietro questa intelligenza collettiva si celano in realtà i progettisti, uomini e donne, che hanno permesso alle macchine di esistere ed essere quindi contenitori di intelletto. Tra l’altro Lila è tra le prime, siamo negli anni 70, a programmare macchine per il controllo di altre macchine, in questo spostando e nascondendo ancora più all’interno della tecnica il lavoro intellettuale.
Alle soglie degli anni 80 Lila appare vincente: tutti sono dalla sua parte incluso il boss locale Michele Solara che ne ha compreso la potenza intellettuale e segretamente l’adora come una dea. Sposta i voti del quartiere a sinistra, ai comunisti, sebbene invisi ai Solara. Insieme ad Elena, dalla quale nascerà Imma figlia di Nino, porta avanti una seconda gravidanza da cui nascerà Tina. A differenza del primo figlio l’incapace Gennaro, avuto quando era molto giovane e alle prese col fallimento del suo matrimonio a quattro anni Tina diventa presto una riproduzione in piccolo della stessa Lila: Mia figlia, che pure era graziosa, intelligente, accanto a Tina ingrigiva, le sue qualità se ne andavano, e lei ne pativa. Assistetti un giorno a una loro divergenza in un bell’italiano, quello di Tina curatissimo nella pronuncia, quello di Imma ancora con qualche sillaba mancante. Stavano colorando coi pastelli certi profili di animali e Tina aveva deciso di usare il verde per un rinoceronte, Imma sommava colori a vanvera per un gatto. Tina disse: «Fallo o grigio o nero».
«Non mi devi ordinare il colore». «Non è un ordine, è un suggerimento». Imma la guardò in allarme. Non conosceva la differenza tra un ordine e un suggerimento. (Storia della bambina perduta.)
Ma improvvisamente, Tina sparisce e non sarà mai più ritrovata. Lila ne è sconvolta, ferita a morte, da quel giorno non desidererà altro che svanire ella stessa. Siamo negli anni 80 in pieno riflusso sotto i colpi dell’offensiva neoliberale. Venderà l’impresa e lascerà il compagno che le ha dato la figlia. La sua unica consolazione sarà la riscoperta della storia locale, peraltro una via di fuga nemmeno tanto originale, quella della propria identità storica, in cui molti si sono rifugiati con il crollo delle ideologie nella fase critica degli anni 80-90. Il riflusso avanzerà, il socialismo reale svanirà, la lotta armata pure, sarà l’età della “fine della storia” (almeno fino a che la crisi non la rimetterà in moto alla fine del decennio scorso). Ma, come profetizzato da Franco Mari, la distruzione del patrimonio ideale della sinistra sarà quasi totale. La spinta intimista e della realizzazione individuale, che in realtà in Elena è sempre presente anche se in competizione coll’impegno sociale, alla fine trionferà e diventerà la chiave di lettura del successo o dell’insuccesso di una vita. Alla fine è Elena a vincere, alla fine lei si distacca completamente da una Lila ormai fantasma, ma è la vittoria della sua medietà, o della medietà di tutti, del lasciarsi scivolare addosso la storia lasciandola sullo sfondo. Un mondo con Lila e Tina sarebbe stato diverso [5]. Quella bambina perduta incarnava forse il cambiamento, la possibilità di mutare registro senza incanalarsi in quello che poi sappiamo essere avvenuto. La bambina perduta forse rappresenta la rivoluzione perduta [6]. Ci sarebbe da riflettere a questo punto se la crescita costante della conoscenza e la sua incorporazione nelle cose del mondo si debba tradurre per forza nel superamento del modo di produzione capitalistico o meno: questione vessata ma sempre attuale. Forse è il caso di andare alla ricerca della bambina perduta…
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[1] Oltre 200000 copie vendute in Italia e 30000 all’estero. Elogi specialmente dalla stampa americana da giornali prestigiosi, tra i quali il New Yorker e persino l’idea di un serie TV.
[2] La recente notizia che la tetralogia della Ferrante diventerà una serie TV pone qualche dubbio in più sul suo valore come opera letteraria, nonostante che in genere le serie non riescono quasi mai a rappresentare la ricchezza del testo scritto e lo piegano a esigenze molto più commerciali, pena il fallimento vista la sostanziale differenza di audience. Una buona riduzione non è mai fedele all’originale, mentre una riduzione fedelissima può essere della pessima televisione. Nel caso dell’opera della Ferrante ad esempio non vedo come possa essere riportato il nemmeno tanto velato sdegno per il pentitismo di sinistra, e l’ammirazione per chi si è solo dissociato che si riflette anche nell’aver dato questa parte ad uno degli amici della prima ora di Elena e Lila, senza scatenare le sirene del politically correct.
[3] Sulla relazione tra pensiero e materia nelle c.d. “smarginature” v. Luca Alvino, Nazione Indiana, http://www.nazioneindiana.com/2011/12/12/lamica-geniale/
[4] Paolo Virno. http://www.generation-online.org/p/fpvirno10.htm
[5] Nell’intervista ad “Io Donna” la stessa Ferrante osserva: I tratti di Lila, invece, mi sembrano l’unica via possibile per chi vuole essere parte attiva di questo mondo senza subirlo. (L’intervista come tutte quelle della Ferrante è svolta per intermediazione dell’editore). http://www.edizionieo.it/review/4193
[6] Ad una conclusione simile giunge Laura Fortini, che identifica la bambina perduta con il ‘900 e le sue “ dense promesse” poi non mantenute, tuttavia la scomparsa di Tina avviene in un momento topico del riflusso, giusto qualche mese dopo la morte di Berlinguer, che segna l’inizio di una ulteriore involuzione del PCI, e la chiusura del primo processo “7 aprile”, per cui propendo per una interpretazione più “radicale”. http://www.edizionieo.it/review/4179 .