Tre (e più) indizi fanno una prova


Esistono molti e assai concreti elementi  che ci inducono a pensare che esista una vera e propria strategia di quella che chiamerò “Internazionale neoliberale”  per riconquistare il potere in tutto il mondo occidentale, parzialmente perduto dopo la vittoria di Trump negli USA.  Vediamoli.

L’annullamento delle elezioni in Romania che avevano visto l’affermazione del partito non ostile alla Russia di Georgescu e addirittura il suo successivo arresto (insieme a quello di altri esponenti del suo partito) sono segnali molto chiari così come la formale e tiepidissima reazione dei governi europei di fronte all’attentato che poteva costare la vita al leader ceco Robert Fico, anch’egli contrario alle politiche russofobiche e guerrafondaie sostenute dall’UE e dall’amministrazione Biden.

In Francia, la condanna per appropriazione indebita e l’interdizione dai pubblici uffici con conseguente automatica ineleggibilità per Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, indebolisce molto le possibilità per quel partito, una volta privato della sua autorevole leadership, di ottenere un risultato elettorale in grado di scalzare la coalizione liberal-europeista e guerrafondaia.

In Germania, l’Alternative fur Deutschland (AFD) è stato definita come una minaccia per l’ordine democratico e costituzionale dall’Ufficio per la protezione della Costituzione. In linea teorica l’AFD potrebbe anche rischiare lo scioglimento, di fatto però la finalità di quella che al momento è una minaccia è quella di ammorbidire la sua linea politica e addomesticare il suo gruppo dirigente. L’AFD è infatti il secondo partito della Germania e, stando ai sondaggi che lo danno in crescita costante, potrebbe addirittura minacciare il primato della CDU. Non conviene che un partito con un tale seguito popolare venga messo fuorilegge, meglio dunque addomesticarlo, perché un domani, neanche tanto remoto, potrebbe diventare un prezioso alleato di governo. Tanto più che, al di là delle vulgate e delle semplificazioni mediatiche, è un partito ultraliberista, filo atlantista, filoisraeliano e anche molto aperto alle istanze LGBTQ+. L’aperta ostilità e anche il razzismo nei confronti degli immigrati, in particolare di quelli islamici che costituiscono la maggior parte degli immigrati sia di prima che di seconda e terza generazione in Germania, è dovuta proprio al fatto che questi sarebbero portatori di una cultura patriarcale e ostile ai movimenti e alle comunità LGBTQ+. Se consideriamo anche che la leader dell’AFD, Alice Weidel, è una lesbica che convive con una donna con la quale hanno anche due figli adottivi, il quadro diventa  ancora più chiaro e conferma che siamo di fronte ad una nuova destra (nuova non nell’accezione positiva che comunemente si dà a questo aggettivo ma nel senso proprio del termine, cioè una cosa nuova e parzialmente diversa da quella precedente) che sarebbe errato classificare come nazista o neonazista tout court, come invece fa la grancassa mediatica per le ragioni già spiegate sopra. Nello stesso tempo il BSW di Sahra Wagenknecht – anch’esso partito non ostile alla Russia e anzi favorevole ad una soluzione politica e diplomatica del conflitto fra Russia e Ucraina – non è riuscito a raggiungere il quorum anche grazie all’appoggio mediatico e politico che è stato dato alla Die Linke, la “sinistra” “compatibile” e “collaborativa” (se non collaborazionista) che proprio in questi giorni sta andando in soccorso al leader della CDU, Mertz, che è stato impallinato da una serie di franchi tiratori. La Die Linke è stata utile proprio per sottrarre consensi al BSW e raccogliere i voti in uscita da una SPD in uno stato di crisi evidente.

Nelle ultime settimane abbiamo notato anche un certo inasprimento da parte di alcuni partiti  di “sinistra” europei nei confronti di Israele. Proprio ieri Elly Schlein, leader del PD ha detto che è necessario “fermare il disegno criminale di Netanyahu, di occupazione totale e di deportazione forzata dei palestinesi” invitando il governo italiano a muoversi in tal senso. Parole ovviamente condivisibili ma che definire tardive è un eufemismo. Schlein finge ovviamente di dimenticare che questo disegno criminale è in atto da un anno e mezzo (per la verità da un’ottantina d’anni ma restiamo alla cronaca recente…) quando alla Casa Bianca c’era ancora Biden e Netanyahu godeva comunque del suo appoggio totale e incondizionato. La “sinistra”, guarda caso, si sveglia o finge di svegliarsi soltanto ora che questo progetto sanguinario e razzista di sterminio ed espulsione dei palestinesi dalla loro terra è appoggiato e addirittura teorizzato da Trump e dai suoi sodali (il controllo totale di Gaza è propedeutico alla realizzazione della cosiddetta “Via del Cotone” ma questo è un argomento che, per la sua importanza, merita una riflessione a parte).

E’ evidente, dunque, che siamo di fronte ad uno “scontro fra bande”, per dirla con una battuta, diciamo una guerra interna al cosiddetto “Occidente collettivo” che vede le due fazioni politiche, quella dem e quella trumpiana, in lotta fra loro per il controllo e il governo di quello stesso mondo occidentale che sente il fiato sul collo dei BRICS  e cerca di riconquistare l’egemonia perduta sul mondo. L’obiettivo è dunque, di fatto, il medesimo ma cambiano completamente le strategie per raggiungerlo. L’ala liberal del capitalismo mondiale, dopo la sconfitta negli USA, sta cercando di isolare il “collettivo Trump”. La vittoria elettorale delle fazioni liberal in Canada e in Australia – due paesi strategici per il controllo dell’Artico e del quadrante indopacifico –  deve essere letta in questa direzione, insieme naturalmente all’ “attivismo” guerrafondaio in senso antirusso dell’UE, in particolare della Francia, e anche dell’attuale governo inglese.  

Questo scontro non è una novità, a dire il vero, e ha sempre caratterizzato il mondo occidentale e quello anglosassone in particolare. Ora però, si sta acutizzando come forse non era mai successo in passato perché la posta in gioco – la possibile fine del mondo unipolare a trazione e dominio USA – è altissima. L’errore più grande che si potrebbe commettere e che in molti tra le nostre file (cioè fra chi sostiene il processo verso un mondo multipolare e possibilmente un po’ più socialista e un po’ meno capitalista e imperialista) hanno per la verità già commesso, è quello di schierarsi da una parte o dall’altra sulla base di una serie di opportunità politiche e talvolta anche di considerazioni ideologiche (anche questo è un tema che merita una riflessione a parte). Ma è una trappola nella quale non bisogna cadere.

Fonte foto: da Google

4 commenti per “Tre (e più) indizi fanno una prova

  1. Giovanni
    7 Maggio 2025 at 15:38

    Cosa sarebbe un mondo “un po’ più socialista e un po’ meno capitalista”?

    Una di quelle blande forme di riformismo molto parziale che non hanno mai mancato di fare i sommersi e i salvati?

    E se io dicessi che voglio “un po’ meno femminismo” cosa diresti?

    • Fabrizio Marchi
      7 Maggio 2025 at 18:38

      Dico che sarei d’accordo. Mi meraviglio che me lo chiedi dal momento che sei un nostro lettore e dovresti sapere come la pensiamo nel merito…

      • Giovanni
        7 Maggio 2025 at 19:12

        Il problema era sulla premessa “un po’” che rimanda ad una idea blandamente riformista.

        Hai sempre scritto che non esiste un femminismo accettabile quindi direi che non pensi certo una riforma del femminismo.

        la premessa “un po’” non va bene in entrambi i casi.

        • Fabrizio Marchi
          7 Maggio 2025 at 23:35

          “Un pò” è un modo di dire, mi sembrava evidente…

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