La porta d’ingresso della Jihad ‘’made in Usa’’

Foto: www.labottegadelbarbieri.org

Recensione di La porta d’ingresso dell’Islam, di Jean Toschi Marazzani Visconti, Editore Zambon 2016.

La disgregazione dello stato socialista jugoslavo ha le sue radici nell’islamismo radicale e, con grande stupore di gran parte dei lettori, anche nell’Islam politico: tanto sciita e quanto sunnita.

La Federazione Socialista delle Repubbliche di Jugoslavia risolse le contraddizioni, etniche e religiose, presenti nei Balcani, promuovendo la convivenza di popoli con differenti fedi religiose. Gli ‘’jugoslavi’’ venivano tenuti uniti sotto le bandiere del ‘’socialismo’’; l’essere ‘’cristiani’’ o ‘’musulmani’’ non era considerata certo una discriminante. Solo con la morte di Tito, le nuove (e corrotte) classi dirigenti optarono per la restaurazione del capitalismo riavvicinandosi all’occidente e subordinandosi agli imperialismi statunitense e tedesco. Nel suo libro, La porta d’ingresso dell’Islam, Editore Zambon 2016, l’autrice Jean Toschi Marazzani Visconti definisce ‘’potenti padrini’’ gli architetti della disgregazione di un efficiente Stato laico e multiconfessionale. Leggiamo: ‘’La diaspora croata, particolarmente moderna e aggiornata, aveva capito l’importanza di ingaggiare lobbisti vicini al Governo repubblicano USA per fare campagna a favore del distacco e dell’indipendenza della Croazia dalla Federazione jugoslava, e soprattutto l’impiego di agenzie di comunicazioni per creare un’immagine favorevole agli obbiettivi croati durante i seguenti tragici avvenimenti di guerra’’ ( pag. 47 ).

I nuovi nazionalisti croati si riunirono sotto lo slogan ‘’la Croazia è la terra dei croati’’, riecheggiando la violenza clericofascista di Ante Pavelic 1. Questa campagna sciovinistica coprirà i crimini della battaglia di Vukovar dove fu l’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA) a porre fine agli orrendi massacri dell’irredentismo croato. I media internazionali – su mandato Usa – bollarono ingiustamente i serbi come invasori. Quasi nello stesso tempo, anche i musulmani bosniaci cercavano ‘’nuovi padroni’’.

La Visconti ci dà una precisa descrizione della figura di Alija Izetbegovic, autore di una Dichiarazione islamica nella quale si afferma l’incompatibilità della fede islamica con qualunque altra fede non musulmana. Lo Stato laico jugoslavo sarebbe stato, da lì a poco, sostituito con tanti statarelli etnici e teocratici. Chi è Izetbegovic? Abile politico, egli richiama in vita gli storici rapporti con la Turchia, risponde l’autrice del libro. L’ideologia che sbudellò la Jugoslavia si fonda sul ‘’panturchismo’’, una sorta di neo-ottomanesimo che, già in patria, mirava a cancellare la lodevole laicizzazione ‘’forzata’’ condotta da Mustafa Kemal. La Visconti entra nel merito di questa ideologia fondamentalista: ‘’Per le popolazioni musulmane dei Balcani la Turchia diventerebbe l’obiettivo verso cui orientare gli scambi culturali, i rapporti politici, finanziari, commerciali e militari delle dirigenze islamiste locali, a cominciare dal Partito di Azione Democratica ( SDA ) di Alija Izetbegovic in Bosnia’’ ( pag. 49 ). Nel 1990 viene pubblicato il Programma per gli emigrati bosgnacchi in Turchia, poi votato il 15 settembre 1991, il quale riguardava il rientro dei circa quattro milioni di esuli musulmani bosniaci dalla Turchia alla Bosnia. Che dire? Una sorta – date le dinamiche colonizzatrici – di ‘’sionismo islamista’’ (takfirista).

Tutta la prima parte del libro è una profonda critica dell’Islam politico, definito un elemento destabilizzante.

Il piano dell’imperialismo Usa: sostituire gli Stati laici con entità etniche e/o teocratiche

 

L’Iran – che oggi è un bastione dello sciismo antimperialista – accolse entusiasticamente le proposte di Izetbegovic. La Visconti scrive che ‘’Intelligentemente gli iraniani sostengono che prima di qualsiasi escalation nei combattimenti è imperativo guadagnarsi le simpatie occidentali, almeno assicurare che esistano legittime ragione per giustificare qualsiasi azione intrapresa dalle forze musulmane bosniache come vendetta per le atrocità serbe’’. Non solo, per Teheran i governi delle nazioni islamiche dovevano prevenire il ‘’genocidio dei musulmani d’Europa’’. L’Iran si rese conto dell’importanza della sfida ed il 29 luglio 1992, l’ayatollah Khamenei, il più autorevole leader spirituale iraniano, pronunciò un sermone in cui mise in guardia l’intero mondo musulmano che si trovava – spiega la nostra autrice – sull’orlo di un confronto fatale fra l’Islam e l’Occidente, un confronto che poteva significare l’espansione del mondo musulmano con la forza delle armi.

Secondo Khamenei l’occidente capitalista e imperialista, alleato della chiesa cristiana, supportava attivamente la campagna d’odio contro l’Islam ‘’non volendo un paese musulmano nel cuore d’Europa’’. L’odio nei confronti della Serbia – colpevole di aver aiutato l’Irak di Saddam durante la ‘’guerra imposta’’ – prese il sopravvento sull’antimperialismo sciita: ‘’Oltre alla Germania, che non aveva dimenticato la rivolta di Belgrado contro i nazisti del 1941, anche l’Iran cercava una rivincita contro i serbi’’ ( pag. 52 ).

La Visconti arricchisce la sua analisi riportando le dichiarazioni dell’ayatollah Ahmad Jannati (membro del Consiglio dei Guardiani e veterano supervisore delle attività terroristiche negli Usa e in Canada alla fine degli anni ’80 ) il quale si lasciò scappare delle parole alquanto irresponsabili ‘’lanceremo un movimento di guerriglia che sommergerà tutta l’Europa’’. Teheran, a conti fatti, appoggiò in movimento reazionario che – per conto degli Usa – instaurò un dittatura capitalistica e teocratica.

Domanda: l’Iran, dal 1991 ad oggi, è cambiato. Ieri si alleò irresponsabilmente con gli Usa, oggi è in prima fila contro le trame atlantiste e sioniste. Quali sono le ragioni che hanno dettato questo cambiamento, radicale, di rotta? Ne dobbiamo concludere che l’ ‘’antimperialismo islamico’’ è flessibile e cambia – non avendo una forte base ideologica – a seconda delle circostanze storiche ma soprattutto (geo)politiche?

La parte più importante del libro è riassunta, in modo molto eloquente, nel Capitolo 1, Date e Dati ( da pag. 45 a pag. 155 ) dove l’autrice ripercorre le tappe ‘’salienti’’ della distruzione della Jugoslavia. Il Trattato di Dayton, firmato a Parigi nel 1995, pose fine al ‘’nazionalismo multiculturalista’’ dividendo uno Stato indipendente in due entità coloniali del tutto artificiali: la Federazione Croata e la Republika Srpska. Nel nome del ‘’multiculturalismo’’, gli Usa distrussero uno Stato laico – e nei fatti multiculturalista – optando per due regimi: uno etnico ed uno teocratico. Cos’altro dire: i paradossi dell’imperialismo e l’imperialismo dei paradossi.

La Visconti – ricollegandosi all’analisi di Diana Johnstone ‘’Hillary Clinton, La Regina del Caos’’, pubblicata in italiano sempre dall’ottimo Editore Zambon – rende noto il progetto dei neoconservatori statunitensi, la sua ricerca è eccellente e non mancano nomi e cognomi (diretti responsabili). Leggiamo: ‘’Alla fine degli anni ’70, un gruppo di intellettuali liberal, i futuri neoconservatori, fra i quali William Kristol (The Weekly Standard e Fox Tv), Robert Kagan, Paul Wolfowitz ( ex rettore del dipartimento di Scienze Politiche Internazionali all’Università John Hopkins ) e Francis Fukuyama (filosofo nippo-americano, autore della Fine della Storia) postulano una nuova teoria che prenderà il nome di Progetto per il nuovo secolo americano ( PNAC, Project for the New american Century )’’ ( pag. 93 ). Domanda: come mai gran parte di questi ‘’tecnici imperiali’’ sono ex ‘’socialisti’’ (trotskisti) passati nel campo della destra radicale? Il ‘’nuovo secolo americano’’ non è altro che l’esportazione del modello capitalistico Usa attraverso una controrivoluzione pan-planetaria. Jean Toschi Marazzani Visconti, nel suo libro, centra questo aspetto dell’imperialismo del ventunesimo secolo, i suoi meriti sono indubbi e la vasta mole di documenti raccolti meritevole di divulgazione: ‘’La loro dottrina prevedeva di stabilire una presenza strategica militare in tutto il mondo attraverso una rivoluzione tecnologica in ambito militare, scoraggiando l’emergere di qualsiasi super potenza competitiva, lanciare attacchi preventivi contro qualsiasi potere che minacci gli interessi americani. Questo programma influenzerà le azioni militari americane negli anni seguenti’’ (pag. 94).

La Jugoslavia non è stata altro che la prima vittima del Nuovo Ordine Mondiale a guida nord-americana, vale a dire un sistema capitalista planetario dove le Costituzioni antifasciste possono essere abrogate con il mandato di grandi banche d’affari come la J.P. Morgan. Il conflitto che ha insanguinato i Balcani, alla fine del secolo scorso, ha ridefinito il diritto internazionale. Prendiamo la definizione di genocidio: ‘’Per genocidio (dalla parola greca genos, stirpe e dal verbo latino caedere, uccidere) s’intende la volontà precisa di voler cancellare un’intera popolazione: uomini, donne e bambini’’ ( pag. 105 ). Un avvenimento poco chiaro, come i tragici massacri – da una parte e dall’altra – di Srebrenica, non può essere classificato con una categoria giuridica così ‘’decisa’’ (in termini di ‘’decisionismo giuridico’’). Domanda: dietro questa farsa ‘’giudiziaria’’ c’è stata la volontà politica, da parte in primo luogo del neocolonialismo tedesco, di dare un impulso alla costituzione d’un polo imperialistico europeo alternativo a quello statunitense? Lo studio della Visconti – a mio avviso – percorre, giustamente, questa strada, una volta attraversata la porta d’ingresso dell’Islam.

 

L’Islam politico e la balcanizzazione degli Stati indipendenti

La Visconti, rende inopinabile il suo studio, raccogliendo la testimonianza del Generale Giorgio Blais, esperto di diritto internazionale umanitario, che alla domanda ‘’quali erano le funzioni delle ONG islamiste?’’ risponde: ‘’Disponevano di cospicui finanziamenti e sostenevano la ricostruzione delle moschee distrutte durante la guerra, e la costruzione di madrase, le scuole islamiche per l’insegnamento del Corano. Prima del mio arrivo in Bosnia, sotto la copertura di ONG, veniva effettuata attività di reclutamento e addestramento per terroristi. Mentre l’addestramento non viene più praticato, nono posso escludere che il reclutamento venga ancora effettuato’’ (pag. 181).

Giorgio Blais era ai vertici militari di una – ormai in declino – potenza (sub)imperialistica, l’Italia, quindi la sua ammissione è doppiamente importante: Domanda: la forte penetrazione di ‘’capitali islamici’’ lungo tutti i Balcani deve spingerci a ritenere completa la formazione d’un polo ‘’imperiale’’ – non propriamente imperialistico – islamico alleato – in questa congiuntura storica –  di Israele e degli Stati Uniti?

L’Iran stesso deve chiarire, una volta per tutte, la sua posizione; secondo Dzevad Galijasevic, studioso marxista espulso dal partito comunista ‘’Negli ultimi tre mesi della primavera del 2013, trecentoventi agenti dei servizi iraniani sono entrati in Bosnia, si presume che siano agenti, visto il loro profilo. Sono arrivati da Istanbul via aereo e sono atterrati a Zagabria e Belgrado con passaporti regolari, diplomatici o d’affari. Ci sono anche alcuni iraniani, residenti permanenti in Svizzera e in Svezia, qui in Bosnia. A questo punto i Servizi d’intelligence occidentali e le strutture di sicurezza locali stanno facendo una seria analisi del fenomeno’’ ( pag. 202 ). In poche parole: perché l’Iran non vuole tirarsi fuori dalla ‘’spirare balcanica’’? Che interessi ha nel prendere parte alla jihad connection?

Una guerra sporca, anzi sporchissima, che la ‘’comunità internazionale’’ non ha voluto evitare. Tutto ciò è attribuibile all’economia capitalista e alle sue dinamiche, a cominciare da quelle degli Usa: ‘’Le piccole nazioni non sono necessariamente parte della prosperità globale, ma quando un disastro globale appare, le prime vittime sono queste piccole nazioni e le loro economie. Fino a quando non ci sarà un nuovo modello di mondo con una distribuzione più equa delle materie prime e del lavoro, e si spera non sia istituito con una guerra mondiale, non ci sarà nessun miglioramento per le piccole economie’’ (pag. 232). Una cosa è certa: la possibilità di un futuro superamento del capitalismo potrà darsi solo attraverso la ricostituzione del movimento dei lavoratori e della ripresa del conflitto di classe (conflitto capitale/lavoro) combattuto tanto sul terreno della teoria quanto su quello della prassi. Anche in virtù di ciò, è necessario fare chiarezza e respingere senza esitazione ogni teoria o pseudo alternativa campista o “rossobruna”

Alla fine del libro, la Visconti raccoglie la testimonianza del presidente della Comunità Ebraica Jakob Danon il quale si lascia andare ad un inopportuno elogio del ruolo di Israele in quanto – a suo dire – ‘’garante della laicità’’ nella regione (pag. 254). Il rabbino – giustamente – definisce il Kosovo un ‘’narco-Stato’’ e ne attribuisce la colpa a Washington ma si dimentica di come l’imperialismo israeliano stia praticando, fra l’indifferenza della ‘’comunità internazionale’’, la pulizia etnica in Palestina. Rivolgo una ipotetica domanda – ovviamente la mia critica rimarrà priva di risposte, almeno dal diretto interessato – al rabbino Jakob Danon: che senso ha denunciare i narcotrafficanti kosovari se, in modo poco nobile, ci si gira dall’altra parte quando i coloni sionisti bruciano vivi i bambini palestinesi, il tutto in preda alla follia del ‘’fondamentalismo talmudista’’? Purtroppo l’ ‘’indignazione’’ dei ‘’sionisti’’ è, molto spesso, strumentale e – mi duole dirlo – ipocrita.

L’aver sottovalutato il ruolo di Israele nella costituzione degli Stati etnici, travisando l’alleanza fra i sionisti ed il wahhabismo, è, con tutta probabilità, l’unica pecca di uno dei migliori libri scritti sul fenomeno jihadista. Un libro a dir poco fondamentale.

 

 

 

 

 

 

 

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