Le conseguenze economiche della guerra che Israele ha scatenato contro i palestinesi

Articolo a cura di Adriana Bernardeschi, Ascanio Bernardeschi, Alessandra Ciattini, Federico Giusti

 

Ci saranno conseguenze economiche derivanti dalla guerra che Israele ha scatenato contro i palestinesi?

 L’aumento del prezzo del petrolio potrebbe essere contenuto (8 dollari al barile ad oggi di aumento), gli analisti stanno facendo proiezioni sui futuri scenari, per esempio se la guerra si estendesse all’Iran il prezzo a barile del petrolio, per esperti dell’Ispi, potrebbe crescere di quasi 70 euro. Ma ad oggi ad agitare lo spauracchio della partecipazione iraniana sono proprio gli occidentali e quanti mirano esplicitamente a estendere in tutta l’area la pax israeliana sancita dagli accordi di Abramo.

Indubbiamente il conflitto determinerà l’aumento delle spese e delle vendite di armi. È interesse Usa e Ue limitare l’espansione della guerra e soprattutto lasciar fuori l’Iran, e si dà quasi per scontato che la guerra possa investire invece il Libano, un paese ormai al collasso mai ripresosi dalla crisi economica, dall’esplosione al porto di Beirut e dall’invasione del Sud del paese di anni fa a opera dell’esercito israeliano.

Se l’economia europea è in crisi non altrettanto possiamo dire per quella Usa e qualche indicazione arriva dall’Ispri nella analisi delle spese militari che vedono i paesi dell’Est europeo spendere in armi cifre elevate in rapporto al loro PIL.

 

SIPRI Yearbook 2023, Sintesi in italiano

 

Ma chi spende di più in spesa militare?

Gli Stati Uniti totalizzano il 39% della spesa globale, la Cina raggiunge a mala pena un terzo della spesa Usa e la Russia, nonostante gli incrementi dell’ultimo anno, arriva al 4,1% per cento. Le spese militari da un lato e le guerre alimentate nel mondo portano solo benefici all’economia Usa oltre ad acquisire una tecnologia avanzata che dal campo militare si sposta a quello civile.

Ma torniamo a ragionare sugli scenari geopolitici derivanti dalla crisi mediorientale.

Le diplomazie occidentali stanno rassicurando l’Egitto che si trova in una situazione difficile, diviso sull’apertura dei valichi con il certo arrivo di migliaia di rifugiati palestinesi nella regione del Sinai. L’arrivo di profughi sarebbe economicamente insostenibile per l’Egitto (inflazione al 40 per cento e la moneta nazionale continuamente svalutata), oltre a rappresentare un fattore interno destabilizzante (l’Egitto importa gas da Israele e dipende dai flussi commerciali con i paesi Ue).

La crisi sanitaria ed economica degli anni scorsi ha già dissanguato diversi paesi mediorientali; teniamo conto che gli equilibri geopolitici saranno soggetti a profonde modifiche e  gli accordi di Abramo potrebbero entrare in crisi e con essi anche gli scambi commerciali tra Israele, Bahrein, Marocco e Emirati Arabi.

Per comprendere meglio l’impatto geopolitico, la domanda a cui rispondere è una: i paesi arabi e mediorientali potranno intrattenere accordi commerciali ed economici con i paesi che hanno già dichiarato il loro sostegno a Israele? E poi gli Stati che hanno sottoscritto gli accordi di Abramo potranno fare ancora affari con Israele ignorando le sofferenze del popolo palestinese e le proteste interne?

Una guerra totale determinerebbe la fuga dei palestinesi e molti potrebbero trovare riparo in alcuni paesi dell’area, ospitati nei campi profughi con un costo economico e sociale assai pesante.

 

Nel 2015, ma nel frattempo il numero è assai cresciuto, i rifugiati palestinesi registrati dall’UNRWA erano 5.149.742 (2.117.361 in Giordania, 1.276.929 nella Striscia di Gaza, 774.167 in Cisgiordania, 528.616 in Siria e 452.669 in Libano).

La distruzione della Striscia e una eventuale invasione di Israele potrebbe costringere gran parte di loro alla fuga per essere ospitati in nuovi campi profughi.

L’emergenza umanitaria si tradurrebbe anche in emergenza economica e sociale per nazioni come Libano, Siria e Giordania.

L’impatto della crisi sui prezzi energetici potrebbe poi rappresentare il problema rilevante: ad oggi i prezzi del gas sono cresciuti dal 7 ottobre in misura maggiore del petrolio.

Il petrolio è fonte di ricchezza ma anche di tenuta economica dei paesi esportatori, senza i soldi derivanti dalla vendita del greggio questi paesi sarebbero al collasso, da qui la necessità per le monarchie del petrodollaro  di non farsi invischiare in guerre regionali.

Oggi la situazione è in parte cambiata rispetto al 1973, l’approvvigionamento energetico dei paesi Ue è diversificato rispetto a 50 anni or sono (e il fabbisogno di gas è intanto aumentato), ma gli impatti della guerra saranno sicuramente negativi e il costo del petrolio non è detto possa essere tenuto sotto controllo sempre e comunque e in caso di escalation militari ulteriori.

I paesi a capitalismo avanzato vogliono evitare un conflitto di lunga durata, sono consci che l’attacco di terra alla striscia di Gaza non sarebbe una passeggiata anche per uno degli eserciti più forti al mondo. Se il premier Israeliano dichiara imminente l’ingresso delle truppe israeliane a Gaza non è certo ignaro dei costi in termini di vite umane di questa operazione, da qui la necessità di incessanti bombardamenti sulla Striscia che costringano gran parte della popolazione palestinese alla fuga.

Ogni giorno i bombardamenti provocano centinaia di morti, ma questi dati non sembrano interessare i media occidentali. Per alcuni analisti l’obiettivo è la distruzione della Striscia, prima con i bombardamenti a tappeto per costringere i palestinesi alla fuga nei paesi limitrofi per poi attaccarli anche via terra. Tutti scenari possibili, ma l’opinione pubblica occidentale vuole la liberazione degli ostaggi catturati il 7 ottobre e l’unità nazionale di Israele stessa si poggia proprio su questo obiettivo (riportare a casa i rapiti). In ogni caso, la cacciata dei palestinesi da Gaza è un fatto acclarato e resta un obiettivo strategico di Israele per estendere i propri confini destinando ulteriori terre palestinesi ai coloni di religione israelitica; la distribuzione dei profughi tra i paesi limitrofi sarebbe invece un problema economico rilevante per nazioni già alle prese con durature crisi economiche oltre a essere fonte di nuovi e potenziali conflitti e destabilizzazioni in tutta l’area mediorientale.

Siamo poi certi che i flussi incontrollati di palestinesi in fuga non creeranno problemi alla sicurezza delle rotte commerciali tanto care agli accordi di Abramo o questa sarà la motivazione addotta per ulteriori escalations militari di Israele? E’ possibile che sia proprio la diaspora palestinese a fornire l’occasione per nuove avventure militari israeliane finalizzate alla “lotta contro il terrorismo”.

Gli accordi di Abramo hanno non solo eliminato ogni dazio sugli scambi commerciali tra Emirati Arabi Uniti e Israele (e con gli altri paesi firmatari degli accordi di Abramo); il Marocco deve fronteggiare manifestazioni di piazza, con decine di migliaia di persone, a sostegno della Palestina e di aspra critica all’operato del governo marocchino. Israele ha riconosciuto la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale, di questo per esempio si parla assai poco anche in ambienti europei un tempo solidali con il popolo Saharawi.

Multinazionali e paesi capitalistici sono or dunque preoccupati per gli scambi commerciali e la salvaguardia dei corridoi attraverso i quali gli stessi avvengono. E qualunque sia l’esito della crisi in corso, gli interessi economici capitalistici dovranno essere salvaguardati.

La sostituzione del gas russo non è stata e non sarà a costo zero se pensiamo alle necessarie infrastrutture. La sicurezza dei corridoi energetici diventa quindi prioritaria, la nascita degli impianti off shore e dei rigassificatori ha comunque tempi non brevi, si punta  anche per i prossimi anni sul gas liquido come soluzione energetica per aggirare l’embargo contro la Russia.

Un’eventuale chiusura dello stretto di Hormuz sarebbe non solo dannosa per i commerci europei ma anche per quelli cinesi e iraniani.

Molto è il disordine sotto il cielo e prima di addentrarci in analisi future dovremo fare i conti con la assai complessa realtà dei nostri giorni. A troppe nazioni conviene non farsi invischiare in una guerra regionale, ma siamo certi che Israele e gli Usa vogliano alla fine accontentarli se dalla guerra traggono vantaggi economici evidenziati anche dal FMI?

 

Tabella 1: previsioni e dati definitivi in % anni 2022, 2023 e 2024 degli Word Economic Outlook Fmi

Tipologia di dati Previsioni

2022

Definitivo

2022

Previsioni

2023

Previsioni

2023

Previsioni

2023

Previsioni 2023 Previsioni 2024
Economic Outlook Fmiemesso a: Aprile

2022

Luglio

2023

Gennaio

2023

Aprile 

2023

Luglio

2023

Ottobre

2023

Ottobre

2023

Economia mondiale 3,6 3,5 2,9 2,8 3,0 3,0 2.9
Russia -8,5 -2,1 0,3 0,7 1,5 2,2 1,1
Stati Uniti 3,7 2,1 1,4 1,6 1,8 2,1 1,5
Germania 2,1 1,8 0,1 -0,1 -0,3 -0,5 0,9
Italia 2,3 3,7 0,6 0,7 1,1 0,7 0,9
Cina 4,4 3,0 5,2 5,2 5,2 5,0 4,2
India 8,2 7,2 6,1 5,7 6,1 6,3 6,3

 

Ps ringraziamo Andrea Vento del Giga per averci fornito la tabella.

Onu: "Gli sfollati a Gaza diventano 42mila", la maggior parte sono bambini

Fonte foto: MeteoWeek (da Google)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.