La guerra dei contadini in Germania

Il testo di Engels La guerra dei contadini in Germania non è una semplice opera storica ma un manifesto del materialismo dialettico. La rivolta dei contadini in Germania capeggiata da Münzer[1] è la chiara dimostrazione che la storia è  lotta di classe. La guerra dei contadini terminata con la loro sconfitta a Frankenhausen nel 1525 vuole essere per Engels la dimostrazione che la dialettica della storia ha le sue ferree leggi, ogni anticipazione come ogni tardo agganciarsi alle circostanze storiche favorevoli  alla rivoluzione non può che essere fallimentare per la lotta di classe. La dialettica della storia, dunque, è speculare alla dialettica della natura con le sue leggi rigorose. La libertà consiste nella capacità di agire in modo consapevole nel rispetto delle leggi dialettiche. La guerra dei contadini è un episodio della lotta di classe tragicamente terminata, in quanto vi è stata una discrasia tra l’azione e le condizioni storiche. La contraddizione tra la consapevolezza dell’ingiustizia e le condizioni storiche non ancora mature per la prassi rivoluzionaria ha comportato la sconfitta.

I contadini in un’epoca di sviluppo economico erano sfruttati, Engela usa il termine “scorticati” per indicare lo sfruttamento dei signori feudali che li obbligavano ad una serie di “doveri gratuiti” con i quali ambivano a competere con la ricca borghesia. Il prezzo del lusso e degli agi era pagato dai contadini con un inasprimento delle loro condizioni di vita, fino ad essere intollerabili:

La pressione fiscale diventò quindi sempre più aspra. Ma le città erano al riparo da essa per via dei loro privilegi. Cosicché tutto il peso fiscale ricadeva sulle spalle dei contadini, tanto di quelli che appartenevano ai domini del principe, quanto dei servi della gleba, degli emancipati e dei censuari appartenenti ai vassalli.  Quando l’imposizione fiscale diretta non era sufficiente, interveniva l’indiretta, e lo manovre più raffinate della tecnica finanziaria furono usate per tappare i buchi del fisco. Quando tutto questo non giovava, quando non c’era più niente da dare in pegno e nessuna città libera voleva più concedere dei crediti, allora si ricorreva ad operazioni monetarie della specie più sporca, sì coniava oro di bassa lega, si imponeva il corso forzoso, alto o basso a seconda che convenisse al fisco[2].

La Rivoluzione necessita di azione condivisa e di chiarezza progettuale. I contadini avevano interessi diversi rispetto ai cavalieri e ai borghesi. I cavalieri erano destinati al tramonto con l’invenzione delle armi da fuoco e con l’importanza che stava assumendo la fanteria, essi volevano perpetuare i loro privilegi aggredendo i beni degli ecclesiastici cattolici, i borghesi d’altra parte ambivano alla mobilità sociale e all’emancipazione da gabelle e restrizioni al fine di consolidare il loro status sociale. Le contraddizioni tra le classi sociali che minavano il vecchio ordine e la compresenza di diverse progettualità e interessi  non consentiva alla rivolta dei contadini di trasformarsi in rivoluzione contro il sistema:

La parte minore era la nobiltà dell’impero. Lo sviluppo dell’arte della guerra, il crescente valore che assumeva la fanteria, il perfezionamento delle armi da fuoco andavano eliminando l’importanza delle sue prestazioni militari come cavalleria pesante e contemporaneamente non assicurava più l’inespugnabilità dei suoi castelli. Proprio come gli artigiani di Norimberga, i cavalieri diventavano inutili con il progresso dell’industria. Il bisogno che essi avevano di denaro contribuì in modo rilevante alla rovina totale dei cavalieri. Il lusso dei castelli, l’emulazione nello splendore dei tornei e delle feste, il prezzo delle armi e dei cavalli aumentavano con il progredire dello sviluppo sociale, mentre le fonti dei redditi dei cavalieri e dei baroni si accrescevano poco o niente addirittura. Piccole guerre coi relativi saccheggi e spoliazioni, grassazioni e altre analoghe nobili occupazioni erano diventate col tempo troppo pericolose. Il gettito delle imposte e le prestazioni dei sudditi dei signori rendevano poco più di prima. Per sopperire ai loro bisogni in aumento, i graziosi signori dovettero perciò ricorrere agli stessi mezzi dei principi. E così la nobiltà perfezionò ogni anno maggiormente lo scorticamento dei contadini: ai servi della gleba fu succhiata sino all’ultima goccia di sangue, gli emancipati furono aggravati di contribuzioni e di prestazioni sotto pretesti e titoli di ogni sorta. Le corvées, gli interessi, i censi, i laudemi , i tributi per il caso di morte, i tributi di protettorato ecc,  furono arbitrariamente inaspriti a dispetto di tutti i vecchi contratti. Ci si rifiutava di rendere giustizia o se ne faceva oggetto di traffico. E finalmente, se il cavaliere non aveva proprio nessun altro modo per arraffare il denaro del contadino, lo gettava in catene sulla torre del castello e lo costringeva a ricomprarsi la libertà[3].

 

Münzer

La posizione di Thomas Münzer era profondamente problematica: i contadini ambivano a restaurare i loro diritti feudali, mentre Münzer era la voce e lo sguardo visionario del nuovo mondo. Il suo tempo storico era immaturo per la rivoluzione.  Nei suoi scritti la giustizia è in terra, la terra è di tutti, in quanto Dio l’ha donata a tutta l’umanità. Omnia sunt communia era  il grido di battaglia del pastore tedesco. Le recinzioni delle terre di uso comune e lo sfruttamento  erano dei furti,  erano il vero sovvertimento delle leggi naturali; il comunismo è nel messaggio biblico ed  è iscritto nella natura degli esseri umani. Münzer voleva ristabilire la natura etica e comunitaria degli esseri umani deformata, ma mai sopita, dai rapporti gerarchici e di sfruttamento, egli era antesignano del comunismo; il suo progetto non collimava con le aspirazioni dei contadini ribelli:

La posizione di Münzer a capo del Consiglio eterno di Mühlhausen era tuttavia ancora più difficile di quella di qualsiasi governante rivoluzionario dei tempi moderni. Non solo il movimento di allora, ma perfino tutto quanto il secolo erano immaturi per l’attuazione di idee, di cui egli stesso aveva cominciato appena ad aver sentore. La classe che egli rappresentava, ben lungi dall’essere pienamente sviluppata e capace di soggiogare e di trasformare tutta quanta la società, era solo appena sul nascere. Il repentino mutamento sociale che stava davanti agli occhi della sua fantasia, aveva tante poche basi nei rapporti materiali allora vigenti, che, anzi, questi preparavano un ordinamento sociale che era precisamente il contrario dell’ordinamento sociale che egli sognava[4].

In Münzer vi è l’urgenza dell’azione, eroe romantico nella descrizione di Engels, è consapevole dello iato tra teoria e prassi, ciò malgrado gioca d’azzardo: le condizioni di vita dei contadini sono insostenibili, per cui piuttosto che accettare la bieca realtà e adattarsi ad essa, pur fra dubbi e ripensamenti, accetta la sfida, va incontro con i contadini alla speranza. Tornare indietro diventa impossibile, quando vi è la consapevolezza delle catene che umiliano. Egli stesso partecipa alla loro vita, ne conosce le vite grondanti di sangue, sudore e quotidiane mortificazioni, per cui partecipa e organizza la rivolta,  pur sapendo che le condizioni non erano favorevoli, lo stesso Lutero si schierò con i signori feudali:

Münzer stesso mostra di aver sentito l’abisso tra la sua teoria e la realtà che immediatamente gli stava davanti, abisso che tanto meno poteva rimanergli celato, quanto più travisate dovevano rispecchiarsi le sue geniali intuizioni nelle rozze teste della massa dei suoi seguaci. Egli si gettò con un ardore inaudito anche per lui stesso nella diffusione e nell’organizzazione del movimento, scrisse lettere e mandò emissari in tutte le direzioni. I suoi scritti e le sue prediche traspiravano un fanatismo rivoluzionario, che anche dopo i suoi primi scritti sbalordiva. L’ingenuo spirito giovanile dei suoi opuscoli rivoluzionari qui è completamente scomparso. Il linguaggio sereno, dignitoso del pensatore, che prima non gli era estraneo, non appare più. Münzer ora è interamente un profeta della rivoluzione: attizza incessantemente l’odio contro le classi dominanti, eccita le passioni più selvagge e parla solo con quei passaggi violenti che il delirio religioso e nazionale metteva sulle labbra dei profeti del vecchio testamento. Dallo stile che da ora egli dovette usare si vede a quale livello di cultura fosse il pubblico su cui egli doveva agire[5].

Münzer fallisce, per Engels  l’esperienza dei contadini deve ammonire: la rivoluzione necessita di circostanze storiche imprescindibili, altrimenti il fallimento e la carneficina non sono aggirabili. Malgrado il determinismo di Engels e la sua lettura rigidamente dialettica la guerra dei contadini dimostra che nella storia agiscono forze silenziose che improvvisamente possono emergere. La sconfitta di Münzer non dimostra che nella storia deviazioni e risultati insperati e improvvisi sono impossibili, poiché ogni episodio storico non può essere ricondotto nella medesima lettura degli eventi che similmente lo hanno preceduto. Nella storia vi sono sempre state deviazioni improvvise, si pensi alla rivoluzione d’ottobre, la lotta, dunque, non è mai inutile. Certo le potenzialità insite nelle circostanze storiche trovano maggiori possibilità di compimento in “circostanze storiche mature”, ma si tratta di maggiori possibilità e non del “risultato certo”.

 

Diventar-liberi

Nel nostro tempo attraversato da una serie di contraddizioni i soggetti sociali potenziali per la prassi sono numerosi: dalle classi medie impoverite ai migranti, manca il comune collante ideologico e politico che rende i soggetti sociali parte di una comune koinè politica. Ciò malgrado non possiamo deporre la speranza, in quanto nella storia agiscono più variabili di quante possiamo immaginare e pensare. Le ragioni per continuare a sperare e a impegnarsi per le rivoluzioni o le riforme del futuro continuano ad esserci, se abbandoniamo la rigida dialettica del materialismo e poniamo in relazione osmotica le coscienze sociali che filtrano le circostanze storiche. Le vie che possono portare alla rivoluzione possono essere plurali, nel caso di Münzer la lettura della Bibbia ha l’effetto di un “detonatore inaspettato”. Il messaggio biblico diventa capace di far cadere “il velo dell’ignoranza” e “le catene” e far vedere l’arido vero dal quale può sorgere un nuovo mondo a misura dell’essere umano. Le circostanze e i mezzi che possono fungere da catalizzatore per i gruppi sociali per la prassi sono innumerevoli. Nel caso di Münzer la Bibbia usata come instrumentum regni dai poteri feudali diventa il veicolo della consapevolezza estrema e dolorosa.

La storia può sfuggire alle leggi della dialettica, in quanto è il mondo degli uomini e delle donne, e il novus può apparire nelle circostanze più impensabili. La sofferenza psicologica nel tempo attuale causata da modelli impossibili e irraggiungibili può essere la potenza che può rompere la conservazione ideologica del neoliberismo. Le idee devono essere diffuse nella consapevolezza che vi possono essere “circostanze più favorevoli alla rivoluzioni”, ma bisogna contemplare “le eccezioni e le circostanze anche casuali” che possono favorire il sommovimento della storia. Dobbiamo conservare l’ascesi di Münzer, il quale ci ricorda che in ogni circostanza dobbiamo mettere in atto il processo di emancipazione. La sofferenza è sublimata in forza plastica, solo nel processo di liberazione con il quale le catene cadono anche se le forze della reazione sembrano vincere, l’essere umano può tornare a vivere la pienezza ontologica del suo “esserci”:

Diventar-liberi dalle mani dei vessatori e degli scorticatori; superamento della cupa sofferenza del sistema di sfruttamento in sé, sia che venga rappresentato da coloro che sono armati di corazza, sia da coloro che sono consacrati; dietro a tutto questo c’è però il diventar-liberi, innanzitutto raggiungibile attraverso la ribellione politico-economica, per la sofferenza autentica, feconda e rilevante, per la sofferenza del proprio creaturale occultamento e avvelenamento; dunque sgrezzamento della volontà, tempo e spazio per la mortificazione del vecchio Adamo e della sua egoità, in quanto tiranno metafisico, resurrezione (mediante il paradosso cristiano) dal deserto del cuore alla solerte attesa della Parola: questo è il senso dell’ascesi münzeriana della libertà, in entrambe le forme, quella esteriore e quella metafisica[6].

Diventar liberi è il senso dell’esistenza, senza tale finalità etica e ontologica nulla ha senso, in quanto la vita è dispersa nel servilismo e nella reificazione. L’attesa delle condizioni storiche dialettiche ideali è la trappola in cui non bisogna cadere. Nella storia che viviamo sono presenti opportunità, potenzialità e squarci improvvisi dai quali il novus si presenta a noi, bisogna imparare a riconoscere le potenzialità storiche, in tal modo la libertà non è attesa e riconoscimento del già esistente ma comportamento corale capace di pensare l’impossibile, ovvero ciò che allo sguardo di molti non è conosciuto, pensato e vissuto, ma è potenzialmente esistente nel presente. Diventar-liberi è un processo di disvelamento del proprio io nella storia, ma affinché ciò possa essere bisogna emanciparsi dall’oscurità che rechiamo nel nostro “io”. La storia può svelare le sue potenzialità solo a colui e a coloro che non fuggono dinanzi alle loro oscurità:

Bisogna assolutamente gettar via  tutto ciò che ha la pretesa di procurarci  un falso appagamento mascherandoci così il nostro deserto interiore. Chi crede alla leggera  ha anche un cuore incline a leggerezze. Le persone devono essere perciò portate al più alto grado di ignoranza se vogliono farsi ingiustamente istruire. L’oscurità interiore deve impadronirsi totalmente di noi: solo la coscienza del nostro orrore, del nostro vuoto religioso mantiene la grande fame aperta e pura[7].

 

[1]Thomas Müntzer(Stolberg, 1489 – Mühlhausen, 27 maggio 1525), da un’erronea tradizione scritto anche Münzer, è stato un pastore protestante riformato tedesco, una delle figure più importanti del Cristianesimo rivoluzionario, nonché uno dei capi dei ribelli nella guerra dei contadini tedeschi

[2] Friederich Engels, La guerra dei contadini in Germania, Impaginato e pubblicato da M★48 m-48.it, pag. 34

[3] Ibidem pag. 35

[4] Ibidem pag. 113

[5] Ibidem pag. 114

[6] Ernst Bloch, Thomas Münzer teologo della rivoluzione, Feltrinelli, Milano, 2010, pag. 170

[7] Ibidem pag. 173

La guerra dei contadini in Germania - Friedrich Engels - Libro - Pgreco - |  IBS

4 commenti per “La guerra dei contadini in Germania

  1. Yak
    11 Febbraio 2023 at 9:54

    Muntzer eroe nazionale DDR

    • giulio bonali
      11 Febbraio 2023 at 20:48

      E Friederich Engels era uno dei principali ispiratori di quella formidabile esperienza di lotta e di realizzazioni socialiste.
      Non a caso…

  2. Giulio Bonali
    11 Febbraio 2023 at 20:45

    Come già ben sapeva Aristotele, spessissimo accade che si possa sbagliare in opposte maniere, esagerando unilateralmente questi o quegli aspetti dei problemi.
    E credo che Engels, ed anche Lenin, qui citato, proprio in ossequio al carattere “dialettico” della loro filosofia materialistica, abbiano brillantemente evitato (in generale, ovviamente, posto che la perfezione non esiste in natura, e men che meno nell’ umanità) le insidie dell’ unilateralismo, correttamente valutando sia la necessaria componente soggettiva, in qualche limitata e critica misura “volontaristica”, sia la necessaria conoscenza “scientifica” dei fattori oggettivi e dei reali rapporti di forze nella corretta conduzione della lotta di classe contro le ingiustizie, l’ oppressione e lo sfruttamento, per la rivoluzione socialista.

  3. Piero
    11 Febbraio 2023 at 21:41

    Son d’accordo che la storia è solo lotta di classe.

    Infatti, se intendiamo la storia come funzione delle forze agenti che ne provocano accelerazioni, positive o negative, dello spostamento tra stati precedenti e stati successivi, parliamo di un lavoro.

    Tale lavoro, in un determinato intervallo temporale, è legato alla definizione di potenza.
    La potenza è sinonimo di potere (capacità o volontà di compiere un’azione in un dato tempo).

    Parlando di lavoro, quindi, parliamo di energia che, né si crea, né si distrugge, ma si trasforma.

    Quindi il potere ne ha le stesse caratteristiche, ovvero né si crea né si distrugge (ne è pensabile un potere intimamente diverso da un altro) ma semplicemente si trasforma per adattarsi alla quantità di conoscenza liberata dal pensiero umano, conoscenza che poi può essere trasformata in tecnologia.

    La tecnologia può essere utilizzata in vari modi (a servizio del genere umano).
    Essa, definisce i rapporti di potere tra i vari attori che, con la loro maschera, recitano sul palcoscenico, nel teatro della vita.

    In qualche modo il cerchio si chiude e dobbiamo ragionare di come si sviluppa il potere (lotta di classe) e le sue conseguenze.

    Non certo i diritti civili che ne sono solo un sottoinsieme.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.