La guerra in Ucraina e quella in Iraq: due diversi film

I più attenti fra voi avranno sicuramente notato la differenza con cui la guerra in corso in Ucraina viene narrata dai media rispetto ad altre guerre, in primis quella degli USA in Iraq (ma non solo).

La guerra in Ucraina viene raccontata – a mio parere anche giustamente perché la realtà va mostrata per quella che è – con estrema crudezza, in tutta la sua violenza e tragicità. Vengono mostrate sistematicamente le immagini dei cadaveri per le strade, del sangue, dei corpi carbonizzati, delle persone ferite e mutilate, delle donne e dei bambini in fuga, delle donne incinte in barella o costrette a fuggire dagli ospedali bombardati, e via discorrendo con il campionario degli orrori che ovviamente ogni guerra provoca. Le immagini proiettate – altro aspetto che ho notato – sono quasi sempre diurne.

Completamente diversa la narrazione mediatica della guerra in Iraq. In quel caso pareva di assistere ad un videogame, le immagini erano quasi sempre notturne, sembrava di essere davanti ad una playstation, con il cielo illuminato a giorno da scie e traccianti verdi. Non ci sembrava di assistere ad una guerra ma all’aurora boreale. E invece era una guerra, drammatica, che ha provocato centinaia di migliaia di morti, feriti e mutilati, la stragrande maggioranza dei quali, civili. E quello spettacolo pirotecnico, presentatoci quasi come un cartone animato, erano i bombardamenti aerei massicci, sistematici, al ritmo di decine e decine al giorno, per mesi, a volte dalla stratosfera.

Qualcuno di voi si ricorda di Falluja? Falluja è una città irachena bombardata a tappeto dove l’aviazione USA ha scaricato fosforo bianco come fosse acqua ossigenata o fertilizzante. Qualcuno conosce l’effetto del fosforo sui corpi delle persone? No, perché naturalmente non ce lo hanno mostrato in televisione. Ma io l’ho visto perché ho avuto l’occasione di vedere dei video realizzati da alcuni fotoreporter non organici al cosiddetto mainstream. Non entro nel merito perché non ho il gusto del macabro. Ricordo soltanto che anche molti soldati americani contrassero il cancro solo per essere stati presenti e aver respirato quell’aria.

Le uniche immagini diurne della guerra in Iraq che ricordo sono quelle dei soldati iracheni nel deserto vestiti di stracci che si arrendevano sorridenti ai “liberatori”, quelle di un carro armato americano che per sbaglio sparò una cannonata contro un hotel dove alloggiavano dei giornalisti occidentali uccidendo un fotoreporter (vittima del “fuoco amico”), quelle dell’abbattimento da parte di alcune decine di iracheni, davanti agli occhi divertiti di alcuni marines americani, di una statua di Saddam Hussein e quella di alcuni pozzi di petrolio dati alle fiamme dai soldati iracheni.

Fu la guerra dei giornalisti “embedded”, ricordate? Dopo l’amara esperienza della guerra del Vietnam che portò le immagini del conflitto in tutta la sua drammaticità nelle case degli americani, il governo decise di mettere il bavaglio ai media, di chiudergli occhi e orecchi e fargli raccontare e mostrare solo quello che conveniva mostrare e raccontare. Ecco, dunque, perché quella guerra fu trasformata in una sorta di videogioco.

Ora qualcuno dirà che sto facendo “benaltrismo”. Pace all’anima sua. Sto solo raccontando dei fatti. Non entro neanche nel merito di come quella guerra fu raccontata – una guerra di liberazione contro l’abominevole tirannia di Saddam e le sue (inventate di sana pianta) armi di distruzione di massa –  e di come viene raccontata quella in corso in Ucraina (l’eroica resistenza degli ucraini contro la barbarie russa) perché dò per scontata la differenza fra i due racconti, i due pesi e le due misure. Fa parte del gioco. E ovviamente anche i russi, in casa loro, stanno raccontando la guerra dal loro punto di vista.

Noi però stiamo cercando di fare della corretta informazione e soprattutto di provare a ragionare. Esattamente il contrario di quello che il sistema mediatico è chiamato a fare.

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2 commenti per “La guerra in Ucraina e quella in Iraq: due diversi film

  1. Nino
    15 Aprile 2022 at 15:02

    A ognuno il suo direbbe qualcuno. La verità spesso fa male a tutti, sarebbe meglio a questo punto farsene una su misura per mettersi d’accordo con tutti e con la coscienza in pace. Lo sanno pure i muri che le guerre vanno evitate , ma se proprio uno è di coccio , allora diciamo che se l’è cercata da solo. Questa massima ha finito per giustificare tutti i conflitti del mondo. I buoni tutti da una parte ed il cattivo dall’altra parte. È così dalle parole si passa ai fatti. E poi quanto deve durare una guerra a conti fatti? Quel tanto che basta per mettere tutti d’accordo coscienze ed interessi , soprattutto questi, dopotutto senza gas non si può stare, è prima o poi una spallata varrebbe la pena farla. Il mondo ricco di approfittatori, faccendieri , armaioli, petrolieri , i veri beneficiari di questo sterminio di massa. Chi li appoggia? Volontari dalla mano lesta, ogni paese ha i suoi gringos pronti a fare fuoco a buon prezzo. Ecco perché le guerre non finiranno mai perché ad incontrarsi sono sempre due imbecilli che fanno a gara a chi è più prepotente. E chi ne fa le spese? Sempre gli stessi, i poveracci merce spendibile a costo zero.

  2. Giulio Bonali
    15 Aprile 2022 at 15:29

    Il pessimo (senza virgolette) “buonismo” politicamente corretto (alla Boldrini-Gramellini, tanto per intenderci), che é parte integrante del pensiero unico politicamente corretto, discrimina sempre, a proposito di chi subisce ingiustizie e violenze, fra “vittime di serie A”, “vittime di serie B” e “quelli che in fondo se lo meritano o comunque se la sono cercata” (per esempio Assange o i prigionieri di Abu Graib, Guantanamo e così via “civilissimamente” torturado).
    Questa discriminazione, secondo i miei criteri semantici, rientra pienamente nel concetto (inteso in senso solo minimamente “ampio”) di “razzismo reale” (concetto col quale intendo distinguerlo dallo pseudorazzismo di cui amano scandalizzarsi più o meno a vanvera -excusatio non petita?- gli pseudoantirorazzisti politicamente corretti; cioé quelli che, ritenendole parolacce offensive a causa delle loro proprie chilometriche code di paglia, evitano accuratamente parole come “negro”, che infatti sostituiscono con penosi pseudoeufemismi; salvo poi discettare, ad esempio, come mi é capitato di sentire stamane in un telegiornale, circa le temibili conseguenze per la popolazione civile ucraina dell’ affondamento della nave russa vicino ad Odessa, ovviamente promossa ipso facto ad “ammiraglia”, che potrebbe scatenare gli istinti più bestiali di questa genia di “orchi”, come dicono i da loro venerati nazisti ucraini).

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