La metafora della rana bollita

La filosofia è colloquiare, anche, per  immagini significanti che aiutano a configurare concetti e contingenze storiche. Il linguaggio filosofico non è solo lessico specifico, astratto, ma spesso si accompagna all’uso di metafore che divengono esplicative del linguaggio specifico. La ricchezza lessicale della filosofia denota l’osservazione dell’empirico, l’attività ermeneutica che trasforma l’immediato in universale. La metafora[1] è dunque attività della coscienza che legge il mondo, lo traduce, per porsi in una postura attiva, anziché subirlo. Il linguaggio filosofico è dunque prassi del mondo. Nelle scienze ci si limita a descrivere secondo un formulario tecnico prestabilito, nella filosofia la ricerca dell’universale avviene mediando il linguaggio specifico con la mediazione del pensiero personale. La filosofia esige che non si registri quanto accade, ma l’empirico deve ritrovare il suo senso mediante  l’approccio olistico. L’elemento empirico necessita della contestualizzazione significante, della totalità che è invisibile agli occhi, ma si svela alla ragione ed alle sue domande. La metafora in filosofia si presta a leggere l’empirico, è l’ermeneutica della totalità per immagini. Le metafore si prestano ad essere lette in  modo polivoco, esigono l’attività personale, scuotono la mente dal torpore della passività. In epoca di nichilismo passivo, di pedissequa registrazione di dati a cui non seguono domande, la metafora è l’immagine che risveglia il senso critico. Essa costringe all’attività e ripaga con la riscoperta che dietro ogni dato, ogni numero, ogni algebra vi è la coscienza umana. La filosofia attraverso la metafora catalizza una serie di concetti, poiché il concetto che comunica l’immagine dev’essere collocato all’interno di una serie di rimandi che rivelano e chiariscono a cascata il significato che vuole veicolare.  Il semplice è sostituito dal pensiero complesso. L’astratto ed  il semplice si obliano per mostrare il complesso: ogni concetto è tessuto assieme ad una serie di altri atti significanti, ed all’interno di tale mappa concettuale ci si può spostare secondo varie direzioni di senso. Si mette in atto una vera rimappatura del reale, che alla fine ci appare secondo nuove forme e significati, si realizza un orientamento gestaltico. La metafora è un’immagine parlante, se ci accostiamo e dialoghiamo con essa. Essa  favorisce la nostra entrata in un mondo di significati che altrimenti  ci sarebbero rimasti sconosciuti. I percorsi per uscire dalla caverna possono essere plurimi, anche una metafora può esserci da guida, se siamo disponibili ad ascoltarla, a seguire le tracce che lascia nel suo cammino dentro di noi. Siamo linguaggio, ma linguaggio colloquiale, il logos è incontro che avviene con gli altri, con gli autori e con le parole-immagini. All’interno della storia del pensiero la rana ha assunto spesso la funzione di metafora: le rane in Aristofane, in Fedro ed in Trilussa con il re travicello, in M. Foucault simbolizzano  l’approccio metodologico, fino ad arrivare alle fiabe ed alle favole. La rana si è prestata ad una polivocità di teleologie.

 

La rana bollita  in Noam Chomsky

La metafora della rana bollita in Noam Chomsky è un invito a fuggire dalle insidie del potere attuale. Siamo dinanzi ad una metamorfosi del potere che spesso non riconosciamo. Le tecnologie, il flusso ininterrotto di informazioni hanno il potere di determinarci gradualmente, di offrirci  una serie innumerevoli di informazioni e dati. Ci si sente rassicurati dal fiume di immagini, dalla trasparenza del potere che perennemente si esibisce senza filtri, senza veli. Si percepisce una condizione di democrazia realizzata, di condivisione a cui nessuno può sottrarsi.  Se ci si limita al dato epidermico ci sembra di vivere in uno stato democratico che ha risolto le sue innumerevoli contraddizioni. La verità è che il brodo delle informazioni, dei condizionamenti in cui siamo immersi ci forma e manipola fino a determinare una strutturale trasformazione del nostro essere ed esserci. In modo impercettibile siamo oggetto di una serie interconnessa di condizionamenti che mentre ci avvolgono, ci mutano, fino ad entrare nella nostra vita interiore, ad insinuarsi tra i nostri neuroni, in modo da pensare al nostro posto, pur dandoci l’illusione di essere padroni ed artefici del nostro destino. Le rana, saremmo noi, bollite a fuoco lento, in modo che si  possa sostare nel tepore dell’acqua, si possa godere della mitezza del calore e ci  si possa abituare alla temperatura che sale in modo quasi impercettibile, alla fine le rane saranno bollite, i suoi neuroni saranno bruciati. Il potere vuole cambiare la nostra natura, mette in atto una rivoluzione antropologica a fuoco lento. Noam Chomsky con la metafora della rana ci invita a fare un salto dalla caverna liquida in cui ci hanno immerso  prima che non resti che una rana bollita:

“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso e sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone. Questa esperienza mostra che – quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta – sfugge alla coscienza e non suscita – per la maggior parte del tempo – nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Se guardiamo ciò che accade nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono divenute banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute. I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche. Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a pensare con la loro testa. Allora se non siete come la rana, già mezzo bolliti, date il colpo di zampa salutare, prima che sia troppo tardi[1].

Per poterci sottrarre alla fine poco dignitosa della rana bollita dobbiamo pensare nuove forme di resistenza che possano neutralizzare la violenza pervasiva dei nuovi poteri  e dei suoi innumerevoli dispositivi di controllo.

 

Le ranocchie pensanti in Nietzsche

La filosofia è un eloquio a distanza, autori di epoche diverse si reincontrano nelle nostre coscienze, rivivono in noi. Nietzsche ci è di ausilio per rispondere alla verità che Noam Chomsky ha palesato con la metafora della rana bollita. La rana è un anfibio e dunque è un animale dal sangue freddo. Rappresenta per Nietzsche l’uomo ad una dimensione che si limita con la razionalità scientifica a registrare quanto accade, calcola, ma non pensa, si limita a registrare i fenomeni[2], ma non li comprende, si protegge dal complesso e dalla totalità con la razionalità calcolante. Nietzsche con la metafora della rana vuole comunicarci che se scambiamo un aspetto del fenomeno per la sua totalità, rischiamo di essere solo dei freddi registratori di dati che archiviano, ma non decodificano.  Si cade nella trappola superstiziosa di coloro che credono che il reale si dipana dinanzi a noi, che i suoi significati esistono a prescindere dalla coscienza, pertanto non resta che una fredda registrazione degli stessi e ci si consegna all’immutabilità della storia”

“Non siamo ranocchie pensanti, né apparecchi capaci d’obiettive registrazioni, dalle viscere gelide; dobbiamo sempre partorire i nostri pensieri dal nostro dolore e maternamente cedere ad essi il nostro sangue, il cuore, il fuoco, la gioia, la passione, il tormento, la coscienza, il destino, e la fortuna – che è poi continuamente mutare in luce e in fiamma tutto quello che siamo, e in più tutto quello che ci tocca; e altro di diverso non possiamo fare. E la malattia dunque? Non saremmo quasi tentati di chiederci se essa non sia indispensabile? Solamente il grande dolore è il liberatore supremo dello spirito, che c’insegna il grande sospetto, che d’ogni U fa una X, una X vera ed autentica, e cioè della penultima lettera fa l’ultima… Soltanto il grande dolore, quel lungo e lento dolore che si prende tempo, che ci brucia adagio come un fuoco di legne verdi, costringe noi filosofi a discendere fino alla nostra ultima profondità, a rifiutare tutta quella fiducia, quella bontà, quei veli, quella mitezza, quella moderazione in cui forse avevamo per l’innanzi riposta la nostra umanità[1].

Resistere al potere significa curare la partecipazione al sapere ed alla comunità, disporsi nella relazione osmotica con il reale per diventare creatori e non semplici fruitori del reale che si limitano a registrare delle semplici presenze empiriche. Al semplice obiectum dobbiamo sostituire il Gegenstand: la realtà è posta dal soggetto (Gegenstand), non si offre nuda dinanzi a noi (Obiectum). La sterilizzazione delle passioni, la produzione scientemente organizzata delle passioni tristi rallenta i tempi delle reazioni e favorisce la bollitura della rana. Dobbiamo riprendere il cammino nelle profondità contro gli inganni del potere e dei suoi dispositivi (Gestell)[2] che tragicamente sono in noi e non riconosciamo.

La filosofia attraverso le immagini e le metafore ci indica un altrove, ma spetta a noi decidere quale percorso intendiamo intraprendere.

[1] F. Nietzsche La Gaia scienza Rusconi Proemio alla seconda edizione paragrafo 3

[2] Gestell dal Tedesco parola composta dal prefisso Ge –complessità e Stellen – porre

[1] Noam Chomsky Media e potere Bepress Edizioni 2014 pagg. 75 76

[2]  Fenomeno dal grecoantico: φαινόμενον, fainòmenon, «che appare»

[1]  Metafora dal greco μεταφορά, da metaphérō, «io trasporto».

La rana bollita - Una storia d'ansia, attacchi di panico e ...

Fonte foto: Tu Sei Luce! – Altervista (da Google)

3 commenti per “La metafora della rana bollita

  1. Gian Marco Martignoni
    1 aprile 2020 at 23:08

    E’ assai convincente e ottimamente concatenato e fruibile il ragionamento si Salvatore Bravo.Per utilizzare la terminologia kantiana l’uscita dell’uomo da una condizione di minorità intellettuale rimane un problema irrisolto.Anzi l’omologazione culturale si è approfondita per tante ragioni che conosciamo, e che ad esempio la Scuola di Francoforte aveva tematizzato con grande lucidità e con grande anticipo sui tempi della storia..Non dobbiamo però disperare, o cedere alle tentazioni del pessimismo intellettuale.Solo la ricerca filosofica può colmare il vuoto determinato dall’impossibiltà di avere luoghi fisici di aggregazione e di azione intellettuale e politica.Ringrazio i compagni e le compagne dell’Interferenza per la possibilità che è data a ciascuno di noi di riflettere in forma collettiva.Cosa che con i tempi che corrono è già una grande vittoria.

    • Fabrizio Marchi
      2 aprile 2020 at 10:00

      Facciamo del nostro meglio… Grazie comunque, un caro saluto e teniamo duro!
      P.S. sono molto contento che Salvatore Bravo abbia deciso di collaborare con noi. Un contributo preziosissimo di un pensatore lucidissimo e la sua decisione rende onore al nostro giornale…

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