Versailles, Troika e grecizzazione dell’Italia

Per spegnere sul nascere quel sentimento euroscettico nato nei due mesi di lockdown in una popolazione esterrefatta dai proponimenti iniziali della BCE, il potere insurrezionalista che governa il paese dal 1992 – composto dai contenitori destra/sinistra solo apparentemente contrapposti – si è affrettato nel sostenere che con il Recovery Found la UE avesse cambiato marcia. Finalmente una pioggia di denaro a fondo perduto e d’incanto nessuna condizionalità oppressiva per le classi popolari.

I più attenti – quelli che in questi anni hanno continuato a esercitare quel minimo di senso critico – si sono ritrovati nuovamente isolati nel dire che non esiste e non può esistere un’Unione Europea che cambia prospettive ideologiche perché se così fosse la stessa non avrebbe più alcuna ragione di esistere. Non lo si diceva per una folgorazione data da una propensione al vaticinio, ma per la conoscenza delle norme contenute nei Trattati.

Sta di fatto che la kermesse istituita nella Versailles di casa nostra derubrica definitivamente il sistema democratico e il modello sociale della Costituzione a inutili orpelli manieristici e consegna al potere totalitario dell’aristocrazia finanziaria le chiavi della prossima macelleria sociale. Il club dei competenti – in un contesto di segretezza tipico delle associazioni composte da ricchi filantropi – stabilisce le condizioni alle quali l’Italia dovrà sottostare per ricevere i famosi aiuti “a fondo perduto”.

I rappresentanti del nostro protettorato – tra i quali si insedia anche il Presidente del Consiglio, ormai arreso dopo mesi di accerchiamento – propongono quel Piano Nazionale di Riforme senza che ancora sia stato esercitato alcun ricatto formale. Proni lo preparano prima che il Re lo pretenda. Duro colpo per chi ancora pensava che una grecizzazione dell’Italia non fosse verosimile. Il COVID per la finanza è un’opportunità da cogliere al volo e da perseguire in assenza di democrazia.

Ma dato che la democrazia – quella sostanziale – funziona solo se il conflitto sociale è riconosciuto come elemento costitutivo della dialettica politica, assume ulteriore rilevanza la soppressione repressiva dei primi scioperi operai e contemporaneamente l’occultamento delle rivendicazioni dei lavoratori – pubblici e privati – e del piccolo capitale individuale. Quelli insomma che dovranno con spirito di sacrificio ed entusiasmo provvedere ai costi della crisi per proteggere i margini di profitto privato.

Almeno in Grecia l’avvento della Troika era condito da ingenti manifestazioni di piazza che – ricordiamolo – portarono al rifiuto del Memorandum tramite referendum. Esito poi sconfessato dal Governo Tsipras. Qui il tutto avviene senza colpo ferire. Da un lato i partiti di ispirazione socialista e comunista ancora traccheggiano – tranne alcune eccezioni – sull’interpretazione da dare alla natura della UE mentre i partiti che si ispirano al sovranismo costituzionale o si lasciano irretire dal neo-complottismo sanitario – alleandosi di fatto con Confindustria – o si perdono in rigidità fanciullesche (o si è per il recesso unilaterale dalla UE oppure non si parla).

Per non parlare dei sindacati italiani ormai ridotti a protesi dei partiti dediti al sovversivismo della seconda repubblica. Quello che ha ridefinito la nostra democrazia costituzionale in un granducato dei mercati internazionali, i quali possono saccheggiare ciò che vogliono in nome dell’equilibrio di bilancio.

Forse è arrivato il tempo di abbandonare un po’ di puzza sotto il naso e cercare di comporre un largo campo d’azione. Evitando di farsi anticipare nell’occupazione delle piazze dall’adolescenziale anarco/individualismo, dai neo/complottisti e dalle destre al servizio dell’ordine costituito. Tutti uniti nel rivendicare maggior libertà personale ma da esercitare nel recinto schiavista della libera circolazione dei capitali dove l’unica reale libertà appartiene alla grande impresa e l’unico elemento sacrale riconosciuto è quello del mercato che si espande appunto in totale libertà.

Oggi il Potere ha bisogno di organizzare il dissenso su terreni confortevoli. Del consenso non se ne fa nulla.

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