Almeno lasciamo che si “divertano”…

Trovo che questo articolo sia assurdo Gli scontri del 1° maggio  e mi meraviglio che sia scritto da una persona generalmente sempre attenta e misurata come Aldo Giannuli.
E sapete perché dico assurdo?
Perché non tiene conto della realtà. Del fatto che il futuro sarà peggiore del presente, che nel futuro le Tute Nere ci vivranno e Giannuli no. Questo fervore nel giudicare chi comunque dentro le sconfitte che abbiamo generato, ci è nato, è appunto demenziale e anche autolesionista.
I ragazzini hanno optato per azioni spettacolar-militari ?
Sì. E in qualche modo hanno dato una risposta alla nostra totale incapacità di generare conflitto. Hanno simulato un conflitto. Noi neanche questo. Perché una manifestazione nazionale contro l’Expo di 20.000 o 30.000 persone non è niente, non serve a niente e non produce niente.
E’ rituale, è uno spettacolo – anche quello – ma è brutto, senza colpi di scena, senza una coreografia e senza costumi, per restare in tema.
I ragazzini ci dicono altro. Ma noi abbiamo paura di agire prima di essere sufficientemente forti così da non subire la repressione . Allora aspettiamo pure, ma almeno lasciamoli divertire…

10 commenti per “Almeno lasciamo che si “divertano”…

  1. armando
    3 Maggio 2015 at 22:40

    Io invece condivido in gran parte l’articolo, e da non comunista ormai da tempo, mi spingo a rimpiangere il vecchio partito leninista, che ai distruttori nichilisti avrebbe fatto un culo così, o meglio avrebbe impedito lui stesso che si dedicassero a quello sport. Perché, fatte salve le critiche ideologiche, era pur sempre portatore di una forma, di una weltanschaung, di un’idea di società costruttiva, e capace di incanalare, dare forma e progetto al disagio, senza lasciarlo a se stesso, pienamente utilizzabile e funzionale al potere. EsattAmente come, sul piano politico fanno i cavalieri del nulla grillini. “Lasciamo almeno che si divertano” èè una dichiarazione di resa totale, un rifiuto di esercitare la paternità sociale nei confronti di quei giovani. Nulla di nuovo. Accadde anche ai miei tempi, quando adulti ruffiani e compiacenti si beavano delle imprese di “esproprio “proletario”, nei fatti di saccheggio di negozi x appropriarsi di merci di lusso, vera e propria prefigurazione dell’edonismo neoliberista diventato l’orizzonte della nuova sinistra di allora. Per fortuna, all’epoca, c’era ancora il vecchio e odiato (anche da me) partito leninista, che un freno al nichilismo lo metteva. Oggi c’è il deserto, questa è la verità, e ritengo non sia un caso che quel micidiale “lasciamoli almeno divertire” sia stato pronunciato da una donna. Non a caso parlavo di mancato esercizio della funzione di paternità sociale, concetto evidentemente estraneo ad una donna, non importa se di dx o di sx. Ci sarebbe enorme materia di riflessione, politica, culturale, antropologica, sulla deriva della sinistra in supporto al potere e divenuta, in concomitanza alla sua femminilizzazione, alfiera dei così detti diritti civili, unico suo orizzonte, ormai, ma anche l’unico assolutamente innocuo per il capitale, che anzi li incoraggia, li promuove, e li esporta, anche con la guerra.

  2. Paola Pavese
    4 Maggio 2015 at 11:21

    Proprio di una visione femminile, è certamente il rendersi conto di ciò che è morto, o meglio putrido, marcescente e certamente capace di disseminare morte in ciò che vive.
    Era il compito di Diana.
    Il paterno che tu indichi, credo che sia una delle componenti del maschile, non la sola, come non è la sola del femminile questa che ti sto indicando, di Diana.
    Dunque, nel mio pezzo, che è solo un rimaneggiamento, una edulcorazione di un post si Facebook, che non aveva pretese di analisi, indico un fatto: c’è qualcosa di vivo in mezzo a ciò che è morto, quel qualcosa di vivo è un’energia che va organizzandosi secondo delle dinamiche contemporanee e quindi non assimilabili ai desideri di coloro che vivono nel passato. Neanche a me piacciono, però esistono e sono vive. Ora, in mezzo ciò che io considero esclusivamente rivolto al passato – e nel passato c’è anche il partito leninista per il semplice fatto che, ora, non esiste – viene fuori questa energia nuova, in cui io vedo una volontà e una organizzazione. Perchè dovrei decretarla come il peggiore dei mali ?
    Quando io dico: lasciamo almeno che si divertano, voglio dire, ribadisco: sono vivi, ora, hanno un’idea, anche se solo estetica, del fatto che per poter esser vivi devono essere altro rispetto alle regole esistenti. E’ un primo passo. Un tempo si diceva: “Hai voglio de fa’ a botte? te ce porto io”. Nel senso: ti indico un obiettivo per quella energia che tu senti imprigionata da un sistema a cui non hai ancora preso bene le misure. Io ti do le misure. Non gli si poneva solo regole, infrazioni di cui fare ammenda. Ora, se il paterno è troppo rigido per fare questo ragionamento, nel maschile ci sono ben altre forme che sono capacissime di farlo. L’energia maschile è anche energia indomabile di rinnovamento, capace di agire anche nel mondo concreto, capiscimi, rivolte a cui dare nuove forme perché si trasformino, attraverso nuove prassi, in rivoluzioni. Del femminile è, tra le altre cose, questo far riconoscere al paterno la capacità rigenerativa dell’energia di chi non è ancora padre.
    Spero che questi voli pindarici siano sufficienti a mostrare come del femminile e de maschile potremmo parlare lungamente ma che il problema è solo che il passato a volte muore e che le sue parti migliori, perfino quelle, devono sapersi rinnovare per restare vive.

  3. armando
    4 Maggio 2015 at 15:46

    Non stiamo parlando di male (o di bene) assoluti, ma dei pericoli di una energia sregolata, senza riferimenti. La storia è piena di movimenti giovanili sprizzanti energia “antisistema” e antiborghese che, inipinatamente, si sono rovesciati nell’opposto delle loro intenzioni e che il potere (quello vero) ha utilizzato ai propri fini.
    In altri termini, credo poco al “guerriero nomade” di Deleuze e Guattarì che nel suo infinito gioco al rialzo metterebbe in crisi il capitale. Mi sembra accada l’opposto, come ben sapeva Pasolini e come, alla fine, sosteneva anche Lenin in L’estremismo malattia infantile del comunismo (anche se non dovrei essere io a dirlo),
    Naturalmente è vero che il femminile, e quì la discussione potrebbe davvero essere linga e complessa, può indicare al maschile capacità rigenerative, ma quella frase “lasciamoli divertire” è tipicamente materna e quando i giovani vi si conformano si trasformano, in termini di psicologia analitica, in “scherani della grande madre”.
    L’energia maschile è energia di rinnovamento, è vero anche questo, ma deve essere gestita, incanalata, gli si deve dare una forma, altrimenti scade nel nichilismo. Questa è funzione paterna, il che non significa assolvere i padri da colpe o dire che fanno sempre bene, tutt’altro, ma indviduarne la funzione sociale (e personale), la sappiano o meno assolvere.
    E’ certamente vero anche che il partito leninista è morto, ma con gli stessi criteri dovrebbe essere dichiarata morta anche la lotta di classe nei termini marxiani classici, della quale non v’è più traccia in quelle forme allora pensate e valide per tutto il secolo scorso. il che apre un campo immenso di riflessione e approfondimento, nel quale includere anche il materialsmo e il concetto di internazionalismo proletario, storicamente rivelatisi insufficienti e perdenti.
    Rimane un fatto, secondo me. Non basta sentirsi vivi, occorre sentirsi vivi per qualcosa. Vivi si sentono anche i teppisti che sfasciano gli stadi, e perchè no anche quei ragazzi di destra nichilisti allo stesso modo dei black block. Nessuno di loro, e la responsabilità è anche di noi adulti, ha idee chiare degli obbiettivi se non, appunto, sentirsi vivi. Ma che la colpa sia in larga parte nostra non ci esime dalla critica dura e non ci autorizza alla “comprensione”, Reitereremmo nell’errore, faremmo loro un male ulteriore, di cui non potranno ringraziarci.

  4. pandoro
    4 Maggio 2015 at 19:01

    No Armando, no farti prendere la mano dalla critica al femminismo che condivido ( almeno in parte).
    Qui la questione che pone Paola è cruciale: non facciamo sempre quelli che criticano i giovani per le loro scelte che non condividiamo.
    Parte della responsabilità è di noi (padri e madri non solo biologici) che non abbiamo lasciato niente come contesto politico sociale di riferimento.
    Invece che giudicare (teppistelli col rolex li definisce l’Idiota Toscano) aiutiamoli e aiutiamoci a costruire nuovi universi di senso su cui incanalare rabbia, disperazione, disagio e malcontento…

  5. armando
    4 Maggio 2015 at 22:56

    Figurati se non sono d’accordo nell’aiutarli a costruire orizzonti di senso. Costruire, appunto, non distruggere. La mia critica deve essere intesa in positivo, quantunque severa. Ed è vero che l’aiuto è in primo luogo esempio concreto di comportamenti che già oggi prefigurano quegli universi. Non faccio sconti, soprattutto alla mia generazione, che ha fallito clamorosamente. E lo dico con dolore.

  6. armando
    5 Maggio 2015 at 9:42

    È sbagliato notare che black block e Isis portano entrambi divise nere? Cosa può significare l’uso comune di questo colore?

  7. Rita
    5 Maggio 2015 at 13:41

    Associazioni che mi vengono. Queste considerazioni di Paola mi riportano alla mente un vecchio articolo di Guareschi comparso su Candido l’11/101959 che s’intitolava “Gioventù bruciata” sul contenuto del quale (soprattutto alcuni passi) dubito che chi è di sinistra sarà d’accordo, 😉 ma che finiva così (l’unica considerazione un po’ amara è che suppergiù il concetto di “forse c’è qualcosa di vivo, qualcosa da salvare anche se non hanno ancora trovato la giusta forma di espressione” lo stiamo ripetendo a quasi sessant’anni di distanza.) Ca va sans dire il riferimento ai sanculotti riporta la riflessione ancora più indietro.

    http://www.questionemaschile.org/forum/index.phptopic=3071.msg28729#msg28729

    La generazione bruciata è la nostra: il frutto è cattivo perché la pianta ha le radici malate e bisogna risanarle. E’ questo il problema.

    La tragica verità è che noi non vogliamo risolverlo: noi, i vecchi, abbiamo trovato il sistema di vivere col minimo di sacrificio, col minimo di pensieri molesti, col minimo di lavoro, col minimo di responsabilità, col minimo di dignità, col minimo di onestà e non intendiamo per niente cambiarlo.

    Ci fa maledettamene comodo. Siamo aggrappati disperatamente al nostro egoismo, ai nostri piccoli e grandi commerci più o meno equivoci. L’unica speranza è nei giovani.

    L’unica speranza è che i giovani, schifati dal mondo sofisticato in cui sono costretti a vivere si ribellino e si mettano a cercare affannosamente le cose che i loro padri hanno buttato via.

    L’unica speranza è nei giovani, nella loro naturale reazione. Forse questa insofferenza dei giovani, questi loro atti di ribellione, questi loro atteggiamenti violentemente anticonformisti sono proprio i primi accenni di quella rivoluzione che ci darà un ordine nuovo.

    Un ordine nuovo basato sull’ordine sconvolto dai loro padri. Una casa nuova, insomma, arredata coi mobili vecchi ripescati in soffitta.

    Anche i sanculotti della rivoluzione francese non avevano calzoni e modi migliori dei nostri giovani in blue-jeans.

  8. Paola Pavese
    5 Maggio 2015 at 13:44

    Il Partito Comunista era un partito pedagogico.
    Aveva la volontà non solo di indicare una società futura, ma anche gli strumenti e le conoscenze per raggiungerla.
    Ora, però, ogni buona pedagogia sa che colui a cui si insegna è portatore di capacità e conoscenze. A volte confuse, a volte no. E ogni buona pedagogia sa che ci sono parti di mondo che il discente conosce meglio del docente.
    Anche il Partito Comunista, fino a che ebbe capacità progressive, nel senso che quel termine ebbe allora, seppe fare propri alcuni dei contenuti e delle prassi della base, dandogli un senso più ampio e maggiore vigore.
    Soprattutto seppe che era impossibile governare i processi senza essere interni ad essi, senza imparare, stando all’interno, cosa fossero e come si andassero organizzando quei processi.
    Poi arrivò la Nuova Sinistra a dire che quelle conoscenze e quelle prassi, parziali e prive di vigore strategico, erano tutto.
    In questa fase, chiunque ambisce a dare respiro strategico alle rivolte, le deve prima conoscere, le deve ascoltare, le deve guardare e poi deve dialogare con quei soggetti, non per farsi insegnare orizzonti strategici che non hanno, né per abdicare, come loro, ad orizzonti strategici, ma per adattare la tattica al presente e magari anche per decidere che l’orizzonte strategico va modificato, ma con quel senso di futuro che è proprio di chi si prende la responsabilità di dare forme concrete alla realtà, cosa che non è propria né dei giovani, né delle rivolte.
    Se non si vuole fare questo, e non mi è sembrato che nel caso dei fatti del 1° maggio in molti siano partiti da questo assunto di ascolto, anche sanzionatorio, ma non solo sanzionatorio, non vedo perché arrogarsi il diritto di negare il “divertimento”.
    Per quanto riguarda il nero, vorrei risponderti così: ci sono neri e neri. Ci sono scelte di marketing e scelte estetiche. C’è l’Isis e ci sono le Tute Nere. Discriminare è sempre un esercizio interessante. Assimilare fatti diversi può essere utile a vedere traiettorie generali, ma può anche abbagliarci.
    Detto questo, caro Armando, è da tempo che leggo con interesse i tuoi commenti e sono molto contenta di aver potuto interloquire con te su questo argomento.

  9. armando
    5 Maggio 2015 at 17:18

    Mi sembra si stia delineando il quadro di un passaggio culturale e generazionale in cui la politica è una componente, ma non la sola. Le contraddizioni si sovrappongono e si confondono. Quando Rita scrive: “La tragica verità è che noi non vogliamo risolverlo: noi, i vecchi, abbiamo trovato il sistema di vivere col minimo di sacrificio, col minimo di pensieri molesti, col minimo di lavoro, col minimo di responsabilità, col minimo di dignità, col minimo di onestà e non intendiamo per niente cambiarlo” fa una chiamata di correo che va oltre la dialettica padroni/operai o borghesia/proletariato.
    Nella sostanza concordo. Devo dire, a parziale discolpa, che anche noi avevamo a che fare con una generazione di padri molto carente (ed anche sofferente, per la verità) che qualche motivo di ribellione ce la dette. Con quelle che, allora, erano le nostre armi intellettuali, coi nostri paradigmi interpretativi. Aggiungo che quando si è nel bel mezzo di un mutamento, è difficile scorgere le direzioni reali che prende, e i possibili esiti. A noi non rimprovero quelle carenze, rimprovero invece l’incapacità e la non volontà di ripensare quelle esperienze alla luce di ciò che produssero e che Rita ha ben descritto. Ci ha fatto più comodo pensare di aver vinto la rivoluzione culturale e perduto quella politica, piuttosto che prendere atto che è accaduto l’opposto. Quando il PCI ha ottenuto, in parte, una fetta di potere politico, la guerra culturale era già persa perchè anch’esso era già in gran parte stato colonizzato culturalmente. Da tempo penso che occorra un ritorno alle radici di quel tempo, per ri-studiarle e per capire. Quando, di nuovo Rita, scrive che
    “L’unica speranza è che i giovani, schifati dal mondo sofisticato in cui sono costretti a vivere si ribellino e si mettano a cercare affannosamente le cose che i loro padri hanno buttato via.” e “Un ordine nuovo basato sull’ordine sconvolto dai loro padri. Una casa nuova, insomma, arredata coi mobili vecchi ripescati in soffitta.”, è musica per le mie orecchie. Non per riproporre qualcosa di antistorico, ma per rintracciare appunto gli elementi positivi di quel vecchio ordine, quei mobili vecchi messi in soffitta (se non bruciati), e restaurarli. Certo è difficile che i giovani ce la facciano da soli, perchè sembra mancare ogni elemento di continuità a cui riagganciarsi. Faccio un esempio. A me capita, in quest’ultimo periodo, di rivalutare, pensate un po’, certi aspetti dello stalinismo. Per carità, l’epoca della purghe e del gulag fu terribile e mai mi ci vorrei essere trovato. Tuttavia credo che Stalin, forse perchè obbligato dalle circostanze storiche ma forse anche consapevolmente, abbia avuto il merito (in mezzo a tante colpe) di non aver rotto interamente con l’antica cultura russa e con le sue tradizioni, ed anche con le forme in cui si esprimeva. Credo che se Putin ha potuto ricostruire una Russia forte e autonoma dopo il tentativo di svendita totale agli Usa operato da Eltsin, sia dovuto proprio a questo. Ecco, se avesse vinto il trotskismo, credo che oggi la Russia sarebbe solo uno dei tanti satelliti americani. Non significa viva lo Czar, naturalmente, ma Stalin aveva, a modo suo e cioè terribile, intuito che nessun ordine nuovo poteva essere costruito annullando interamente quello vecchio. Ogni spazio lasciato interamente libero e sgombro di ogni traccia del passato viene istantaneamente riempito da chi ne ha i mezzi. Mi sembra che sia quello che sta accadendo in Occidente, dove il tramonto, o meglio il rifiuto violento, delle nostre tradizioni culturali , di cui è esempio emblematico quello che sta accadendo nella Chiesa, viene riempito dalla cultura d’importazione made in Usa, e nemmeno dalla sua parte migliore (che pure esiste). Stare dentro gli eventi per capirne senso e protagonisti, come auspica Paola, è necessario, purchè si abbiano chiare alcune coordinate e il valore dei mobili vecchi da restaurare. Sinceramente non so se qualcuno sia capace ancora di farlo. Qualcuno ci prova, e questa discussione ne è testimonianza, ma la disparità di forze in campo fa disperare. Non resta che sperare, gramscianamente, nell’ottimismo della volontà e nel fatto che la storia alle volte produce accelerazioni improvvise che fanno emergere alla luce processi sotterranei in incubazione silenziosa da tempo. Sta a noi, anche, cogliere quelle finestre prima che si richiudano, senza sconti però, e senza lisciare troppo il pelo per malintesa compiacenza.
    Infine sui colori di Isis e Black block. Distinguere è sempre giusto, ma anche cogliere le analogie simboliche che possono dirci qualcosa. Sappiamo bene che i tagliagole dell’Isis sono stati foraggiati e favoriti dagli USA per destabilizzare quelle aree del mondo, per creare le condizioni per le quali l’intervento militare sarebbe accettato dalle opinioni pubbliche come il male minore, e per creare un fondo di simpatia per gli Usa “liberatori”. Ora mi sembra che, in piccolo, i black block nostrani possano essere usati per svolgere funzioni analoghe e ricompattare una alleanza politco militare Usa/europa che dà qualche segno di scricchiolio, nonchè per mostrare che, in fondo, questa società è migliore di chi la contesta distruggendo. Credo però che il problema non siano i black block in quanto tali, ma i sentimenti che muovono in quella parte del mondo giovanile anti expo ma che mai si sognerebbe di dedicarsi a quel tipo di violenza furiosa. Cosa pensa, come li vede, come si rapporta ad essi quel mondo? Io non lo so davvero, e sarei curioso di capire. Voglio solo portare ancora una volta un esempio storico. Quando le BR rapirono Moro (ma anche nelle loro precedenti azioni), ci fu una unanime riprovazione ufficiale. Tuttavia nel mondo della sinistra extraparlamentare, sullo sfondo e non espresso, ci fu anche un senso di ammirazione incoffessabile, quasi che le BR avessero il coraggio di fare ciò che altri non riuscivano. Questo lo posso testimoniare direttamente, e sinceramente non è un bel pensiero, tenuto conto di ciò che le BR hanno significato per le vicende del nostro paese.

  10. Rita
    5 Maggio 2015 at 21:16

    Armando, solo per precisare: le parole non sono mie, sono per l’appunto di un Guareschi, che (presumo) rappresentava appunto la generazione di mio padre o del tuo. Insomma dei padri di noi cinquantenni/sessantenni. In sintesi un riconoscimento delle responsablità dei vecchi. E noi oggi mi sembra che siamo qui a ripetere lo stesso discorso dei nostri padri.

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