Non basta obbedire: tu devi amare!

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Fonte foto: Attualità (da Google)

Il peculiare individualismo “intellettualistico” nel quale siamo stati gettati dalla peculiare volontà di potenza del prometeismo moderno permette una crescita esponenziale dello spazio virtuale e immaginifico nel quale le soggettività contemporanee si sentono, così, libere di “navigare”.

Infatti, sono sempre più diffusi sistemi tecnici, spesso di natura informatica, che hanno la sovranità assoluta sulla nostra vita. Questi sono fatti in modo da selezionare in base a parametri prefissati: ciò che non dovesse entrare nei criteri stabiliti dalle medie seriali viene inesorabilmente espulso dalle piattaforme informatiche e dai loro protocolli.

Mai come in quest’epoca storica si è affidata tanta importanza, una sovranità pressoché assoluta, alla cibernetica (intelligenza artificiale).

Tutto ciò che risulta degno di considerazione nell’uomo non è affatto la sua unicità, particolarità e irripetibilità, quanto piuttosto la sua conformità ad un modello seriale. Per la mentalità tecnica bisognerebbe fare di tutto affinché qualsiasi problema umano possa alfine risolversi in maniera algoritmica.

In questo quadro, l’uomo contemporaneo non s’accorge che, parallelamente alla crescita degli spazi presunti di “libertà”, esso assiste passivamente allo sviluppo – sempre più ipertrofico – del grande apparato che si contrappone all’uomo in quanto singolo, metabolizzandolo. Nessuno, infatti, può controllare adeguatamente l’apparato: esso coopta i singoli fino ad inglobarli senza residuo in sé, trasportandoli in uno spazio neutro dove i piedi non hanno più alcun terreno solido su cui poggiarsi.

Il dato caratterizzante l’”attuale”, ossia il periodo storico che va emergendo dal Moderno, mostra a chiare lettere fenomeni che non hanno alcun precedente storico. Oggi, infatti, gli esseri umani hanno quasi del tutto “mentalizzato” la propria esperienza nel mondo e, si pensi alle tecnologie telematiche, vivono nello spazio virtuale più di quanto non facciano nello spazio reale. Il corpo stesso e la sua collocazione inframondana – ancoraggio imprescindibile per la vita dell’uomo sulla terra –, lungi dall’essere considerato la sede originaria di tutte le nostre produzioni: razionali o emotive che siano – viene “mentalizzato” come un oggetto fra gli altri – da pensare, scandagliare, trasformare a piacimento, spostare, masturbare, sfamare etc. etc.

È chiaro che nessun uomo potrebbe mai prendersi un carico tanto grande, ossia quello di pensare il mondo e il corpo dell’uomo nella sua interezza. Ciò diviene possibile – appunto – soltanto attraverso l’immenso apparato tecnico a cui ha messo capo l’intero percorso della modernità. Il singolo non guarda più, ormai, al “suo” corpo: esso si sente esonerato e forse esautorato dal compito di ascoltarsi, di viversi all’interno di relazioni esperienziali che coinvolgano il corpo proprio insieme ad altri corpi congeneri. Il compito dell’incontro esperienziale è ormai del tutto affidato all’immenso apparato di cui nessuno, in fondo, sa nulla. E sarà quest’ultimo (la grande letteratura del Novecento aveva capito tutto: si pensi al “grande fratello di Orwell o al tribunale di Kafka), con la sua inaudita capacità ipnotica a consigliare, imporre, verificare, distribuire. Ciascun singolo sarà ben accetto a condizione che si mostri docile al punto da entrare nel “format” previsto appositamente per lui dall’Apparato; egli, insomma, dovrà mostrare di amare “il grande fratello”… Ne sarà inesorabilmente espulso se dovesse mostrare ancora quel residuo di umanità, e dunque di ineffabile e contraddittoria complessità, tale da farlo ritenere indegno di entrare nel “paradiso della tecnica”.

Vi può essere ammissione più chiara del fatto che l’uomo, in quanto tale, è del tutto superfluo?

3 commenti per “Non basta obbedire: tu devi amare!

  1. Stefano Pioli
    12 Agosto 2017 at 13:42

    L unica difesa del singolo è la ricerca di altri singoli, anch’essa bisognosi di protezione, si chiama solidarietà, ma rischia di diventare comunità di ex singoli. Ma vale la pena di tentare, per la ma’!

  2. Amedeo
    12 Agosto 2017 at 16:06

    L’uomo non sarebbe reso superfluo da altri o da una entità sovrumana, ma sarebbe egli stesso che si auto esclude dalla realtà, costruendosi un mondo virtuale. I poeti e i filosofi avrebbero il dovere di far vedere a chi non vede, la via del reale. A volte, alzare la voce per il bene del popolo, il nostro, in primis, sarebbe cosa buona e giusta.
    Grazie, Antonio, per gli spunti di riflessione che pone.

  3. giuseppe cataldi
    9 Settembre 2017 at 15:09

    non concordo l’informatica è un mezzo non uno scopo, non esiste una cattiva programmazione di natura automatica è sempre l’uomo che fa e disfa. Dobbiamo però capire il sistema se no siamo tagliati fuori ma lo facciamo da soli. C’è sempre un uomo che programma un altro che fa il ” data entry” un altro che utilizza i dati. Mi preoccupano invece i cosiddetti ” opinionisti” cioè quelli che prendono i dati e li interpretano a seconda dei loro percorsi culturali. I nostri figli ne sono la prova non sono impressionati dai risultati del computer ma da quelli che si inventano la fine del mondo o se no le lobby globali che governano il destino dell’umanità, ogtni volta col peso della esperienza devo smontare queste castronerie che magari da un dato vero ipotizzano scenari apocalittici. Un racconto di asimov parla di una città in cui alcuni lavoranti ci mettevano 2 ore per portare gli attrezzi di lavoro in un posto lontano e poi ci mettevano altre due ore per riportarle indietro. chiesero ai lavoranti ma perchè non li lasciate magari chiusi in un casotto sulla strada e questi risposero: prima si faceva cosìma poi il computer ci disse che dovevamo fare in altro modo. il detective andò a fondo e scopri un omino delle pulizie che viveva nel sotoscala del computer enorme che aveva osservato che spesso gli attrezzi venivano lasciati in giro ed aveva dato disposizioni in merito senza che nessuno se ne accorgesse….

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