Oggi, dal Corriere della Sera a Radio Onda Rossa (storica emittente dell’Autonomia Operaia romana), è una sola voce a parlare, quella dello sgomento nei confronti dell’uccisione di Reyaneh Jabbari, la giovane donna iraniana condannata a morte per aver ucciso l’uomo che avrebbe tentato di stuprarla – secondo la sua versione dei fatti – rea invece di averlo ucciso premeditatamente, secondo l’accusa.
Il fatto è comunque gravissimo a prescindere. La pena di morte è inaccettabile, sempre, comunque e dovunque, in qualsiasi contesto e in qualsiasi latitudine.
Alcune considerazioni saltano però immediatamente agli occhi dei più birichini (e noi, senza dubbio, lo siamo):
1)l’indignazione mondiale accompagnata da relativa grancassa mediatica esplode, in tutta la sua trasversalità (e senza nessuna eccezione), solo quando ad essere condannata a morte è una donna;
2) la stessa fanfara mediatica si attiva solo quando il fatto accade in Iran o in altri paesi considerati ostili, cioè i cosiddetti “stati canaglia”, che poi sono quelli che non si inginocchiano ai piedi dell’Imperatore a stelle e strisce. Anche in Arabia Saudita ne “scapocciano” diversi per i motivi più disparati ma in questo caso la musica non la fanno suonare.
Casuale? No, è evidente.
Solo negli USA centinaia di persone vengono “giustiziate” ogni anno. La pressoché quasi totalità di queste è costituito da soggetti di sesso maschile (anche in Iran…)e di ceto sociale “basso”: sottoproletari, emarginati, esclusi ai vari livelli e nella gran parte neri, ispanici e immigrati. Anche questa una mera casualità? No, è evidente. Avete forse mai visto un banchiere, un azionista di maggioranza di una multinazionale o un divo di Hollywood finire sulla sedia elettrica? Mai.
Ergo, la giustizia negli USA (e non solo negli USA…) è una giustizia di classe. Ma è anche una giustizia di genere se è vero, come è vero, che nel 99% circa dei casi, ad esalare l’ultimo respiro con un’iniezione letale sono uomini, poveri e nella gran parte dei casi, non bianchi.
Numeri e considerazioni (supportate dai primi) che raggelano.- C’è da passare per bolscevichi nel primo caso e per maschilisti nel secondo. Noi rischiamo entrambe le accuse. Non saprei spiegare le ragioni per cui ci sottoponiamo a questo fuoco di fila, forse solo per amore di verità. Qualcuno dice che la verità non esiste ma quei numeri sono lì a dimostrarci il contrario. La verità esiste ma è occultata. Scientemente occultata.
Con che faccia l’Occidente democratico può indignarsi di fronte al sia pur barbaro assassinio di stato di una donna quando il suo “paese guida” macella centinaia di disgraziati ogni anno?
Diamo per buona la versione della giovane iraniana e che di conseguenza sia stata ingiustamente condannata (sarebbe comunque stato ingiusto ed esecrabile, a prescindere dalla fondatezza o meno delle accuse). Quanti fra quelle migliaia di uomini condannati a morte solo negli ultimi dieci anni negli USA (ma anche in Iran, seppur in misura numericamente inferiore) sono stati ingiustamente condannati (e anche in questo caso, lo sarebbero stati comunque, a prescindere dalla fondatezza delle accuse)?
Per loro però non suona la fanfara. Perché? Perché sono nati nel paese sbagliato, perché sono nati poveri o perché appartengono al sesso sbagliato? O tutte e tre le cose insieme?
Siamo consapevoli che questo articolo ci attirerà severe reprimende e pubbliche scomuniche, anche da parte di tanti nostri amici e compagni, e allontanerà indignati molti lettori e molte lettrici.
Ci dispiace ma non possiamo censurarci. Del resto, non abbiamo fondato questo giornale per assecondare o per rassicurare, bensì per riflettere, a tutto campo, fuori da ogni steccato e da ogni liturgia. E la verità (quella dei numeri) non è mai rassicurante.