Tra GKN e biciclette

Ieri a Firenze 40.000 persone tra lavoratori, giovani, militanti politici e cittadini hanno portato la loro solidarietà ai lavoratori della GKN vittime dell’ennesima delocalizzazione padronale. La manifestazione ha rappresentato un punto di svolta nelle dinamiche di relazione tra capitale e lavoro. Il Consiglio di Fabbrica si è dimostrato strumento di rappresentanza politica capace di saltare l’immobilismo filo-padronale dei sindacati confederali ma soprattutto in grado di elaborare una piattaforma politica sulla quale smontare tutte le bufale delle narrazioni neoliberali sulla democraticità dei mercati.
In realtà si dimostra con la mobilitazione in atto che la democrazia sostanziale si fortifica attraverso il conflitto. Che i diritti sociali si conquistano con l’unità di tutti i lavoratori, i quali possono scardinare le casematte del potere ribaltando quel “buon senso comune” manageriale che li ha visti perdere progressivamente forza contrattuale nei confronti del capitale. Qualche strumento classico di lotta come lo sciopero generale o la combattività giornaliera nei luoghi di lavoro sarebbero salutari per il ripristino delle garanzie costituzionali. Il capitale retrocede nei suoi propositi predatori solo se ha paura.
Questo aspetto è proprio ciò che il sistema liberale deve sotterrare dalla coscienza collettiva. Il suo sistema pedagogico deve evitare che vengano rappresentate istanze collettive che abbiano un loro peso politico generale. Così la manifestazione di ieri per il mainstream è come se non fosse esistita. Svanita nel nulla. Tutto ciò che non ricade nello schema che considera il “personale è politico” va tenuto fuori dalla credibilità sociale.
Anche i pochi servizi dei talk show “progressisti” sui licenziamenti o sulle chiusure aziendali vanno in una direzione precisa. Si preferisce parlare dei casi umani, riducendo una lotta squisitamente politica a una carrellata di tante disperazioni personali. L’intento è trasportare il significato degli eventi dannosi per i lavoratori nel campo dell’ineluttabile. Si preferiscono raccontare aspetti di quel minimalismo sentimentalista rinchiuso nella disperazione familiare accomunabile a reazioni personali di fronte alle catastrofi naturali. Un terremoto, un’alluvione corrispondono più o meno a una delocalizzazione.
Contemporaneamente si elevano a eroi post-moderni personaggi che hanno sfidato le intemperie personali con coraggio, dedizione, abnegazione, in quella che oggi viene denominata vita resiliente. Si innalzano le esistenze delle Bebe Vio di turno non per empatia ma perché funzionino da monito. In fondo chi non si auto-rigenera in un contesto competitivo paga colpe proprie. L’ideologia manageriale progressista affonda le proprie radici culturali nel darwinismo sociale, elemento cardine della policrazia nazista molto più assonante di quanto si possa pensare con le modernissime teorie della pubblic choise. Quella terza via tanto cool che ancora oggi qualcuno confonde con il socialismo.
I progressisti quindi possono continuare a occuparsi di tematiche impolitiche che lasciano inalterato il quadro di dominio. Ad esempio il candidato sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, all’indomani della grande manifestazione dei lavoratori GKN e con la questione Alitalia che incombe come un macigno sulla città, ha pensato bene di godersi un bel giro in bicicletta. Il dramma sociale della disoccupazione viene scientificamente ignorato per presentare piattaforme programmatiche ad uso e consumo dei ricchi o di chi aspira a partecipare al club degli aventi diritto di parola. Quella che insomma viene esaltata come società civile ma che in realtà compone in un coro unanime e incessante il moto reazionario dei benpensanti semi acculturati.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone, persone in piedi, attività all'aperto e folla

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