Riflessioni minime sull’origine della disfatta delle Sinistre

Il panorama politico italiano è costellato di sigle che si richiamano alla cultura politica di Sinistra. Pur in presenza di un’offerta così vasta possiamo ricondurle sostanzialmente a due gruppi. Il primo è rappresentato da un ceto politico di nostalgici che vive ancora della memoria del Compromesso Storico, del mito di Enrico Berlinguer e della sinistra “responsabile”. A costoro vorrei solo ricordare che l’Austerità di Berlinguer non è altra cosa rispetto all’ordoliberalismo teutonico. Nelle conclusioni al Convegno degli intellettuali tenuto a Roma al Teatro Eliseo il 15 gennaio 1977 Berlinguer sosteneva <<L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e  significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata>> .

A parte il fatto che a distanza di 40 anni, al di là dei proclami, mi sembra che il sistema capitalista continui ad essere vivo e vegeto, l’idea espressa da Berlinguer nel passaggio sopra richiamato non è molto diversa da ciò che intende la Merkel sul piano delle politiche economiche e finanziarie. Personalmente non credo alla crisi del sistema Capitalista perché è la crisi stessa l’essenza del Capitalismo. Quell’Austerità aveva come unico scopo convincere il Capitalismo che il PCI fosse in grado di essere classe dirigente funzionale al Capitalismo. Il senso profondo di quelle politiche economiche e gli effetti che hanno prodotto sulla Società italiana sono ben chiariti dagli economisti Barba e Pivetti nel loro saggio “Il tradimento della Sinistra”:  il PCI  era impegnato a realizzare la linea del “compromesso storico” e ad appoggiare  il “governo di solidarietà nazionale”.

Nel Convegno tenuto l’anno prima sempre a Roma organizzato dal CESPE presieduto da Eugenio Peggio, economista ufficiale PCI, lo stesso  dichiarava<< il problema dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti costituisce uno dei problemi più urgenti e più acuti che sta dinnanzi al Paese. Di tale problema,le forze di sinistra e il movimento sindacale non possono disinteressarsi ( …) Di fronte all’impossibilità di ricorrere a una ulteriore dilatazione dell’indebitamento verso l’estero, di tornare a una politica protezionistica e di affidare a una continua svalutazione della lira il riequilibrio nei conti con l’estero, appare evidente che i problemi del Paese possono essere affrontati e avviati a soluzione soltanto con un grande sforzo di tutta la nazione: uno sforzo che comporta necessariamente sacrifici, anche per la classe operaia e per le grandi masse popolari . (…)>>

Quali erano i sacrifici che venivano proposti alla classe operaia e alle masse popolari? Appare del tutto evidente che Eugenio Peggio pensava a politiche di moderazione salariale, taglio alla spesa pubblica per il sociale, politiche finalizzate alla ristrutturazione del sistema economico in funzione della riorganizzazione del Capitalismo. Il vero scopo che spingeva il gruppo dirigente del PCI ad accettare politiche di austerità, e quindi neoliberiste, lo chiarisce Napolitano nella relazione tenuta alla VII Conferenza nazionale operaia tenuta a Napoli dal 3 al 5 marzo 1978. Nell’illustrare i risultati delle singole assemblee dichiarava << Vediamo in ciò la conferma della maturità della classe operaia come forza capace più di ogni altra di anteporre gli interessi generali della nazione a qualsiasi interesse particolare, e di ancorare ad essi la sua visione rinnovatrice, la sua tradizione rivoluzionaria. Ed è nel nostro partito che questa maturità si esprime più compiutamente. Noi siamo perciò riuniti, compagne e compagni, per discutere  come contribuire – attraverso l’impegno , in primo luogo, delle nostre forze operaie e delle nostre organizzazioni di fabbrica – a un’effettiva , piena esplicazione della funzione dirigente nazionale della classe operaia, in una situazione che ha visto crescere sempre di più tale esigenza e che si presenta peraltro irta di ostacoli e di contraddizioni(…) >> Il titolo della relazione è “La classe operaia forza di governo”.

Penso che la maturità della classe operaia e dei ceti popolari la vedesse solo Napolitano visto il crollo elettorale che di lì a qualche anno avrebbe avuto il PCI. Per ragionare sulla proposta politica espressa dal PCI degli anni 70  bisogna far riferimento al rapporto della Commissione Trilaterale, al Piano Condor in America Latina e ai limiti della cultura politica della sinistra italiana intrisa di cultura liberale. Per Napolitano, ad esempio, definirsi Liberale non è stato poi così difficile. Per tradizione familiare e culturale è stato sempre un liberale. Per capirlo è sufficiente leggere i documenti che ha prodotto quando era responsabile economico del PCI.  Il PCI a partire da quegli anni è stato alla continua ricerca della legittimazione politica da parte del Capitalismo. Quando crolla l’URSS e con essa il Comunismo, il ceto politico del PCI, ancor prima che lo dicesse Fukuyama, prende atto che la Storia è finita. L’unico problema che ha è salvare se stesso come ceto politico. Da qui l’adesione tout court e fideistica al modello del capitalismo finanziario, dell’idea di Europa, dell’abbattimento dello Stato-Nazione, del mercato, delle politiche di moderazione salariale, della modifica del diritto del lavoro (introducendo dosi massicce di flessibilità), della contrattazione decentrata, e di altre cose che possono essere ben racchiuse nella frase di Bruno Trentin “Ora bisogna battersi per i sacrifici perché”la contropartita consisterà “nella possibilità offerta alla classe operaia di partecipare alla gestione dei suoi sacrifici”.

L’adesione alla “Terza via”, in Italia rappresentata dalla stagione de l’Ulivo, non è altro che la logica conseguenza della trasformazione della cultura politica del gruppo dirigente proveniente dal PCI che, pur restando togliattiano – berlingueriano nel metodo, aderisce tout court e in modo acritico alla narrazione liberal – liberista propria degli anni ‘80 e ‘90.  In sostanza da Comunisti diventano Liberal – Liberisti senza aver mai ripensato la loro storia in chiave Socialista e senza aver mai fatto una loro Bad Godsberg. E’ in questo passaggio che sta prima il sostegno al Governo Dini  e poi la nascita de l’Ulivo e il sostegno a politiche economiche e finanziarie che vedono la separazione della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro, la privatizzazione,l’introduzione di massicce dosi di flessibilità nel mercato del lavoro, le riforme della scuola e dell’Università volute da Luigi Berlinguer.Tutti provvedimenti funzionali alla creazione di un sistema ordoliberalista utile alla costruzione di una Unione Europea in cui il sistema bancario l’avrebbe fatta da padrona limitando Politica e Democrazia. I vincoli imposti dai vari patti di stabilità diventarono i margini entro i quali la politica poteva esercitare il proprio potere discrezionale. Esercizio del potere che, con il successivo smantellamento dei partiti politici, si traduceva nella rappresentanza degli interessi degli stakeholders.

Le argomentazioni addotte da Enrico Berlinguer, Eugenio Peggio, Giorgio Napolitano e dallo stesso Bruno Trentin possono essere considerate la base ideologica dei governi di centrosinistra della c.d. Seconda Repubblica. Ed è sempre secondo questa logica che il gruppo dirigente del PCI nel frattempo diventato PDS e  poi DS si muoverà dando origine al PD come forma – partito del “compromesso storico” e dell’accordo tra PCI e DC. Il PD è il patto tra i gruppi dirigenti ex PCI ed ex DC cresciuti all’insegna del “Compromesso storico” e dell’incontro tra Cattolici e Comunisti. Nulla quindi a che vedere con il recupero della cultura politica Socialista. Il PD di Veltroni con il richiamo a J. F. Kennedy  è la rinuncia a qualsiasi richiamo alle tradizioni culturali e politiche dell’Italia. Siamo in presenza dell’accettazione supina della cultura politica americana, dalla quale si evince il provincialismo del gruppo dirigente che ha dato origine al  PD.Il PD nasce all’indomani della crisi finanziaria del 2008 rappresentata dagli hedge – fund. Crisi che paradossalmente richiederà l’intervento dello Stato, in chiaro contrasto con quanto predicato dai vari Friedman, von Hayeck e Posner. Il PD non è in grado di cogliere fino in fondo la crisi degli hedge found. Il gruppo dirigente e gli intellettuali di punta non capiscono che siamo di fronte alla fine del ciclo storico e politico rappresentato dalle “Terze vie”. Il PD veltroniano si presenta come l’erede della “Terza via” rappresentata dai New Democrat di Bill Clinton. La domanda che veniva dall’elettorato italiano tradizionalmente di sinistra era una proposta politica che conducesse l’Italia fuori dalla crisi proprio da Sinistra. La domanda era il superamento delle politiche economiche neoliberiste fino ad allora condotte e che lo stesso Veltroni con il suo richiamo ai New Democrat di Clinton riproponeva.

Non bisogna dimenticare che la liberalizzazione dei mercati finanziari e l’abrogazione della norma che separava banche d’affari da banche commerciali è opera di Clinton.La sconfitta del PD e le dimissioni di Veltroni da Segretario aprono una crisi profonda nel partito appena nato. Dalla situazione di stallo si uscirà fuori con l’elezioni di Bersani a Segretario del PD che, per un certo periodo di tempo, proverà a dare, pur in presenza di numerose ambiguità, un profilo Socialista al PD.

Questo tentativo durò poco: all’orizzonte si profilava la sottoscrizione del Trattato sulla stabilità, coordinamento e governante nell’unione economica e monetaria,  conosciuto come Fiscal compact. Berlusconi,pur avendolo sottoscritto, non aveva nessuna intenzione di onorarlo ed è per questa ragione che fu costretto a dimettersi dopo l’attacco speculativo che vide i titoli azionari delle sue società quotate in borsa crollare. Toccò al PD di Bersani farsi carico, in nome della “responsabilità”,di onorare il Trattato sostenendo il Governo Monti. Dopo la breve pausa della Segreteria di Bersani che aveva tentato di dare una fisionomia Socialista al PD ritornò in auge il vizio originario che aveva visto i gruppi dirigenti del PCI passare dalla fede nel Comunismo alla fede nel libero mercato e nell’adesione al principio dell’ austerità espansiva. Garante e sostenitore di questa fase politica non poteva che essere Giorgio Napolitano nel frattempo diventato Presidente della Repubblica. La separazione del ceto politico della “sinistra responsabile” dal proprio popolo si consumò con le elezioni politiche tenutesi all’indomani della fine del Governo Monti, quando Bersani, a una settimana dal voto, dichiarò che avrebbe continuato con le stese politiche di Monti. La scissione dal proprio elettorato continuerà con l’appoggio indiretto alla elezione di Renzi a Segretario del PD. Se Bersani non avesse voluto Renzi non gli avrebbe contrapposto un grigio burocrate di partito come Cuperlo. In quell’atto c’è l’idea di contrapporre al populismo del M5S e berlusconiano un altro  populismo. In questo modo Bersani e il suo entourage pensavano di salvare se stessi e la loro Storia; peccato solo che il populismo di Renzi non avesse nulla a che fare con il populismo di sinistra predicato da Laclau e nemmeno con la cultura politica Socialista. In sintesi: il ceto politico di sinistra ex PCI è stato – a partire dall’avvio dell’attuale fase storica che, concordando con David Harvey, è iniziata l’11 settembre del 1973 con il Colpo di Stato in Cile – il garante dell’attuazione del progetto liberal-liberista di von Hayeck ispiratore di Reagan, Tachtcher, Pinochet, Videla e Eltsin. Questo è ciò che si evince da una lettura dei fatti libera da totem e tabù. Il PD non è altro che  la conclusione del processo storico iniziato negli anni ‘70 che ha portato all’accettazione fideistica del pensiero unico neoliberista.

L’altra Sinistra, di cui dicevo è quella mainstream e post-moderna  che trae origine direttamente dalla contestazione studentesca del ‘68. Questo è il gruppo delle “sinistre” radical chic. Tanto Pisapia quanto la Boldrini sono l’ideal tipo di questa sinistra; come lo sono anche Fratoianni e Civati se pur in modo diverso. La continuità e la funzionalità tra la destrutturazione rappresentata dalla post-modernità  e il trionfo del capitalismo neoliberista è messo bene in evidenza dallo studio di Boltansky e Chiapello (“Il nuovo spirito del Capitalismo”)e da quanto scrivono in altri studi David Harvey ( La condizione post moderna – Breve storia del neoliberismo), Nancy Fraser e Luigi  Cavallaro, solo per citarne alcuni. Anche questa  sinistra, pur speculare alla prima, ha assecondato il neoliberismo favorendo politiche che hanno portato a barattare i Diritti Sociali con quelli Civili. Scrivono Boltanski e Chiapello ne “Il nuovo spirito del capitalismo” <<(…) Uno degli obiettivi della nostra ricerca è anche quella di comprendere come la massiccia mobilitazione sociale anticapitalista della fine degli anni sessanta e degli anni settanta abbia potuto scomparire nel giro di poco tempo, all’inizio degli anni ottanta, senza che si sia prodotta una crisi di grande portata. Sorprende infatti il divario tra il decennio 1968 – 78 e il decennio 1985 – 1995. Il primo periodo è caratterizzato da un movimento sociale combattivo che eccede ampiamente i confini della classe operaia; una forte azione sindacale; riferimenti onnipresenti alle classi sociali nel discorso politico e sociologico e, più generalmente, nelle prese di posizione degli intellettuali che sviluppano interpretazioni del mondo sociale in termini di rapporti di forza e vedono violenza dovunque; una redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori salariati che beneficiano anche di una legislazione che accresce la loro sicurezza(…) .

Il secondo periodo è caratterizzato da un movimento sociale che si manifesta praticamente solo nella dimensione dell’“umanitario” ; un’azione sindacale che opera solo sulla difensiva; una marcata tendenza alla scomparsa di ogni riferimento alle classi sociali e, in primo luogo, alla classe operaia, il cui oscuramento è tale che rinomati analisti sociali arrivano a sostenere seriamente l’ipotesi della sua scomparsa; una crescente precarizzazione del lavoro dipendente; un aumento della diseguaglianza dei redditi e una redistribuzione della ricchezza di nuovo favorevole al capitale; (…)>>.

La ricerca, pur relativa alla Francia, è utile per capire anche ciò che è successo in Italia nei 40 anni che vanno appunto dal colpo di Stato in Cile fino ad oggi. La domanda che gli autori si pongono per la Francia vale anche per l’Italia. Gli anni compresi tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ‘70 anche in Italia  sono ricchi di riforme favorevoli alla classe operaia e ai ceti popolari in senso più lato. Ricordo lo Statuto dei Lavoratori, la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la liberalizzazione dell’accesso universitario,la riforma del sistema pensionistico, l’abolizione delle “gabbie salariali”, la tutela del lavoro delle donne ed altro ancora. Come in Francia anche in Italia si opera con politiche redistributive della ricchezza e con il rafforzamento dei diritti sociali. La reazione che porterà all’egemonia del finanzcapitalismo, per dirla con Luciano Gallino, è proprio nel recupero di alcuni dei motivi della “contestazione artistica” propria del ‘68, come viene definita da Boltanski e da Chiapello. Il ‘68 si caratterizza per la contestazione dell’autorità sia essa rappresentata dall’ordine capitalista che dalla struttura di classe, dei partiti politici, della famiglia, della religione, della scuola, della università ecc. La “protesta artistica” ha come obiettivo l’emancipazione non dell’uomo attraverso la lotta di classe ma dell’individuo attraverso l’opera di destrutturazione dell’intero sistema. L’autorità non è solo quella del capitalista ma anche quella che definiamo delle forze politiche di sinistra tradizionale. Il recupero dei motivi della contestazione del ‘68 avviene attraverso la cultura manageriale in Francia ma anche in Italia. Gli strumenti attraverso i quali avviene questo recupero sono la modifica del diritto del lavoro e dell’organizzazione aziendale, l’apparente destrutturazione gerarchica dell’organizzazione del lavoro con l’introduzione del modello Toyota, l’introduzione  dell’ideologia meritocratica, il decentramento della contrattazione del lavoro e l’introduzione di una molteplicità di forme contrattuali. Questi sono solo alcuni degli strumenti attraverso i quali si esalta l’individuo “imprenditore di se stesso” in concorrenza con altri individui in un sistema sociale ridotto a mercato.

Ciò che esce fuori da questo processo è una moltitudine indistinta, spersonalizzata e priva di identità che naviga nel nulla. Moltitudine etero diretta dal Capitale, attraverso il controllo dei media, ridotta a seconda dei casi a opinione pubblica, consumatori, debitori, in conclusione umanità precaria e nichilista priva di speranza e ripiegata su se stessa. La tanto agognata libertà individuale si è tradotta in libertà delle oligarchie di dominare la moltitudine.  La “protesta  artistica” non solo ha fornito lo strumento ideologico alla cultura manageriale ma anche i manager e più in generale la classe dirigente. E’ sufficiente riflettere su queste figure per capire le ragioni per la quali dico che le Sinistre hanno barattato i diritti sociali con quelli civili.

Questo baratto lo analizza molto bene Nancy Fraser in un suo scritto pubblicato in una raccolta curata H. Geiselberger dal titolo “La grande regressione”. Scrive la Fraser << L’elezione di Donald Trump rappresenta uno dei tanti drammatici sconvolgimenti politici che, tutti insieme, segnalano il crollo dell’egemonia neoliberista. Questi sconvolgimenti includono, fra gli altri, il voto sulla Brexit nel Regno Unito, la bocciatura delle riforme di Renzi in Italia, la campagna di Bernie Sanders per le primarie democratiche negli Stati Uniti e il crescente consenso del Front National in Francia. Benchè differiscano per ideologie e finalità, questi ammutinamenti elettorali condividono il medesimo bersaglio: tutti rifiutano la globalizzazione economica, il neoliberismo e gli establishment politici che se ne sono fatti promotori. (…)

Ciò nonostante, la vittoria di Trump non è solo una rivolta contro la finanza globale. Quello che i suoi elettori hanno rifiutato non è il neoliberismo tout court, ma il neoliberismo progressista. Potrebbe sembrare una specie di ossimoro, ma si tratta di un orientamento politico reale e perverso da cui dipende la comprensione dei risultati elettorali americani e, forse, di alcune sue conseguenze altrove. Nella sua forma americana, il neoliberismo progressista indica un’alleanza tra le correnti mainstream dei nuovi movimenti sociali ( il femminismo, l’antirazzismo, il multiculturalismo e i diritti Lgbtq) e i settori “simbolici”di alto livello e basati sui servizi del mondo degli affari. In questa alleanza le forze progressiste si uniscono concretamente alle forze del capitalismo cognitivo, soprattutto alla finanziarizzazione. Pur inconsapevolmente, le prime prestano il proprio carisma alle seconde. Ideali come la diversità e l’autonomia, che di principio possono servire a diversi scopi, ora mascherano politiche che hanno devastato il settore manifatturiero e i mezzi di sussistenza della classe media>> .

Questo coagulo di interessi avviene con Bill Clinton architetto del “New Democrat”, la Terza via americana che ispira il PD veltroniano. Appare chiaro l’intreccio tra il ‘68, la cultura post moderna e post strutturalista, la sinistra cosiddetta Storica, la ricerca di legittimazione da parte dei ceti politici espressione delle varie “sinistre” e il supporto ideologico fornito da esse alla reazione restauratrice neoliberista.

La contestazione del ’68, in nome della destrutturazione della società a favore dell’esaltazione della libertà individuale,ha spianato la strada ad Hayeck, Friedman e Kalergi. L’abbattimento dello Stato con la riduzione dei suoi scopi e delle sue funzioni, nelle accezioni di Nozick, sono funzionali al trionfo del mercato e della privatizzazione dei servizi sociali, alla crescente disuguaglianza, alla restaurazione dei rapporti di classe. Fukuyama –  in un’intervista rilasciata tempo fa al settimanale Left, nella quale l’intervistatore chiedeva un parere sulla Sinistra – ha evidenziato come uno dei grandi limiti della Sinistra sia l’aver barattato i diritti sociali con quelli civili. Aggiunge, inoltre, che di fronte a problemi di ingiustizia sociale, crescente diseguaglianza, impoverimento di masse sempre più vaste di società, di svilimento della Democrazia la Storia non è affatto finita. Il prodotto della cultura neoliberista, o come scrive la Fraser, della combinazione del Progressismo con il Neoliberismo negli USA ha prodotto Trump, oggi, l’anomalia, con l’elezione di Biden, per il mainstream che si dichiara di Sinistra, è stata superata.

In Italia, con la fine del Governo Conte 2 e la nascita del Governo Draghi, l’establishment spera che l’effetto Biden possa ridimensionare le spinte della destra nazional – liberale rappresentata da Lega e Fratelli d’Italia. Stando ai sondaggi, nonostante gli USA e Draghi, il centrodestra è stabilmente in vetta ai sondaggi con addirittura Fratelli d’Italia prossimo a scavalcare il PD. Il quadro rappresentato dalle “Sinistre” è drammatico. Le classi sociali che tradizionalmente votavano a sinistra si rivolgono ad altro. Rispetto ai provvedimenti che il governo in carica si appresta a varare, giustamente l’economista Gustavo Piga su il Manifesto del 27 aprile u.s., ha evidenziato come il PNRR voluto da Draghi è ispirato alla stessa politica di austerità che da anni impone sacrifici, diventati insopportabili, a fasce sempre più ampie di società italiana.

Dalla lettura dei media si evince una narrazione che mira a recuperare valori e culture politiche, come il Socialismo Liberale, che nulla hanno a che vedere con il contesto attuale. Oggi non esiste nessuna URSS dalla quale la cultura politica Socialista debba emanciparsi affermando il valore della Libertà della persona in opposizione alla dittatura della Nomenklatura. Oggi l’unico totalitarismo è quello Liberale che ,nelle sue molteplici manifestazioni, avviluppa il sistema sociale come  una piovra.

Per capire che le cose stnano in questo modo è sufficiente riflettere sulle parole pronunciate da Giuliano Amato, intervistato da la Repubblica il 27 aprile u.s. Per Amato l’intervento dello Stato, dovuto alla crisi pandemica, è solo una parentesi per poter ritornare tout court al sistema economico pre crisi. Altro che politiche riformiste. L’intervento dello Stato al quale stiamo assistendo ha come unico scopo quello di restaurare i rapporti di classe e l’etica Liberale che da quarant’anni egemonizza l’Occidente. Le classi sociali subalterne avvertono che il fine dei ceti dominanti è quello restauratore. Avvertono che proposte come: la transizione ecologica, i diritti civili, il voto ai sedicenni, la gravidanza solidale, il fine vita, lo jus soli, parità di genere ecc. ecc. hanno come unico scopo quello di deviare l’opinione pubblica dalle questioni che attengono la giustizia sociale. Questi settori sempre più ampi della società, un tempo da questi settori usciva il consenso per i partiti politici di Sinistra, dopo aver votato per il M5S, sono alla ricerca di rappresentanza. In politica il vuoto non è ammesso per cui qualcuno finirà con l’intercettare il consenso elettorale che nasce dal disagio e che non può essere stigmatizzato, per dirla con Hollande, come << les édentés>> .

Come ho provato a dimostrare le divisioni iniziali tra le due Sinistre, visti i punti di arrivo, risultano ampiamente superate. Acclarato il dato per rilanciare la Sinistra bisogna liberarla da totem e da tabù. Per poter liberare la Sinistra dalla sudditanza verso il Liberalismo è necessario ripensare le categorie politiche che identificano la Sinistra e la Destra, superando le sovrapposizioni concettuali che tradotto in azioni politiche rendono Sinistra e Destra uguali.

Per quanto mi riguarda la prima cosa che bisognerebbe fare è affermare con forza che la Sinistra è Socialista e Democratica ed è alternativa al Liberalismo in tutte le sue molteplici espressioni.

Il Presidente Giorgio Napolitano accolto dal Sindaco di Roma Walter Veltroni  e dal Presidente del Consiglio

Fonte foto: Portale storico della Presidenza della Rpubblica (da Google)

 

 

3 commenti per “Riflessioni minime sull’origine della disfatta delle Sinistre

  1. Alessandro
    30 Aprile 2021 at 11:46

    Articolo molto interessante. Una disamina sintetica ma precisa di un percorso di decadenza.
    Condivido sostanzialmente le riflessioni proposte dall’autore e come al solito getto lì i miei soliti due centesimi su una questione molto complessa e che necessiterebbe di ben altra riflessione.
    Il passaggio dirimente è stata la Caduta del Muro. Con il Muro è caduta non solo un’impalcatura politica a est, ma anche un’alternativa ideologica ovunque. Con il passar del tempo, e ne accenna anche l’autore, io mi sono fatto l’idea che, in fondo, soprattutto la classe dirigente e intellettuale di sinistra, non vedesse l’ora che questo accadesse. Esser comunisti o socialisti è stata una bella messinscena, durata fin troppo. Costava troppo. Craxi lo dimostrò già negli anni Settanta per i socialisti, il gruppo dirigente comunista tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio degli Anni Novanta ( e qui le BR hanno giocato il loro ruolo, ma questo è un altro argomento fiume). Ma questa è forse la sorte di tutte le proposte politiche che non cercano di cavalcare il particolarismo, in tutte le sue versioni( mutatis mutandis lo vediamo anche anche con la parabola dei 5S). Troppe le spinte, interne ed esterne,ad adagiarsi.
    L’ubriacatura neoliberista degli Anni Novanta, abbracciata dalla sinistra in maniera esplicita o contraddittoria, è stato l’errore del neofita, e per questo in minima parte scusabile, poi però incaponirsi su quella ricetta è stato l’errore dello stupido o del furbastro.
    Salto all’oggi e scrivo che trent’anni, ma già quindici anni si dimostrarono sufficienti, di quella ubriacatura si fanno pesantemente ancora sentire. Non se ne esce perchè l’individuo ha trovato quello che cerca o perchè il politico e l’intellettuale di sinistra non sono in grado di dialogare con un popolo sempre più privato di strumenti di decodificazione del presente?
    Quello che so è che quando parlo con giovani o adulti, che hanno questi ultimi anche conosciuto e respirato l’alternativa a suo tempo, ventilando il ritorno di qualcosa di migliore per loro, tutti appartenenti alle classi penalizzate, mi guardano come se fossi un marziano ( ma questo in fondo succedeva anche quindici anni fa con i miei coetanei laureati). Ho capito allora che una sinistra che voglia essere di nuovo protagonista del cambiamento, che quindi preveda non solo una pars destruens ( ciò che è oggi quando esprime la rabbia sorda verso chi invece al popolo ha saputo parlare; e qui faccio riferimento solo a una sinistra parasocialista-comunista non a quella finta di stampo neoliberista-liberista) ma anche costruens, deve ripartire dal popolo. Una sinistra meno autoreferenziale, meno impegnata nelle disamine dei suoi classici, ma più aperta al confronto con chi il cambiamento dovrebbe supportare. Ma questo necessità umiltà, mettersi in ascolto, e a sinistra, quella cosiddetta antagonista, perchè l’altra è “morta”, non c’è molta voglia di farlo.

  2. renato
    1 Maggio 2021 at 14:20

    Grande sforzo di sintesi, sostanzialmente riuscito. Notevole l’erudizione. Bisognerebbe capire il perché tutto questo sia successo. Credo che il fallimento del socialismo reale, già prima la caduta del muro, con il mancato miglioramento delle condizioni dei lavoratori, abbia giocato un ruolo importante. Ma soprattutto il fallimento della lotta di classe in senso rivoluzionario nei paesi occidentali, ha determinato uno spostamento sul “sovrastrutturale” con tutte le sue conseguenze. Mi riferisco all’esperienza dell’autonomia operaia con autoriduzioni delle bollette, occupazioni di case, scioperi nei servizi. I compagni ben presto si stancarono di fare da “avanguardie” a chi non aveva nessuna voglia rivoluzionaria ma voleva i mezzi per acquistare il tv color. Mi sembra che spesso le analisi politiche siano viziate dalla logica del “tradimento”. In questo modo la colpa viene addebitata ai cattivi dirigenti della sinistra, in luogo di un’analisi dei comportamenti e culture che proprio le classe subalterne esprimono.

  3. Marco Girotto
    1 Maggio 2021 at 14:52

    Buongiorno. Le analisi storico socio politiche sono si utili a semplificare un racconto plausibile di questi ultimi decenni. Vedi per esempio i racconti di Mieli in tv, sempre interessanti. Facendo una metafora, è come mettersi ad osservare un quadro, restando fuori dal contesto del quadro, cogliendo aspetti, situazioni, colori. È un vantaggio scegliere di starne fuori, osservanti. Diverso è invece il contesto di chi invece ha partecipato direttamente dentro questa storia, come persona, e pur nei limiti della persona, ha una visione più diretta, immediata, emozionale. Ma proprio di questo, la nostra emozione, tengo a sottolineare, ed entrare nel particolare di questo problema fondamentale. L’emozione, il movimento verso, con il quale miliardi di persone, sempre più numerose, stanno determinando il limite del loro stesso consumo, in base a bisogni personali basici, ma anche e spesso deviati da un sistema di propaganda e di induzione sempre più
    sofisticato ed invasivo. Di fronte alla crisi di sistema che ha provocato la propaganda manovrata da gruppi di privati, i veri dittatori attuali, non vi è stata una reazione internazionale. Anzi. Solo pseudo associativa atta a difendere parti di territorio in un primo momento, e poi la terra intera, in un momento successivo. Ma fatti? Pochissimi. E restano integre tutte le strutture di dominio, militari, e di induzione comunicativa. Non esiste un ruolo civile internazionale che sia efficace, se non delle ipocrite organizzazioni pronte invece proprio a fermare organizzazioni efficaci di intervento civile. Questo non riguarda solo quindi il cosiddetto popolo, come lo si è inteso ora, ma il ruolo che deve avere la persona nel concepire il suo intervento organizzato internazionalmente, come hanno fatto altri civili, definiti privati, che si sono imposti da perfetti dittatori attraverso società che io definirei a delinquere. Visto che parlate di pubblica utilità e di classismo, non passare per questo punto fondamentale del ruolo organizzativo dei civili e dei privati, distinguendo molto bene tutti i loro movimenti verso, le loro emozioni ed azioni rivolte al dominio oppure alla civile convivenza, non analizzando il contesto che contraddistingue quindi la vera attività della polis, la vera politica quindi, riducendo il tutto ai soli movimenti di governanti, o di leader, o di singoli stati, significa deviare dal contesto di una ricerca di una soluzione. E tornando al quadro di cui facevo la metafora sopra, si resta a guardare, apprezzandone la bellezza o meno, dimenticandosi gli aspetti fondamentali. Che è solo una nostra visione esterna. Nostra. E che il pittore era anche pazzo.

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